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Noi e i compagni in carcere. Presentazione di una campagna di lotta

 

La lotta dei compagni alle Vallette

Cinque detenuti No Tav avevano iniziato, a fine gennaio, una serie di proteste all’interno della prigione torinese. Queste proteste erano relative ad una serie di abusi, scandalosi e non ammessi sul piano giuridico, operati dalle guardie carcerarie nei loro confronti e nei confronti di tutti i detenuti (annullamento dell’ora d’aria, restrizioni delle ore di socialità e di altri spazi di agibilità). La protesta era consistita nel semplice rifiuto passivo a rientrare nella propria cella al termine dell’ora di socialità, ed era stata protratta più volte, anche in concomitanza con il concerto di Militant A fuori dal carcere.

Immediatamente il sindacato delle guardie carcerarie aveva chiesto il trasferimento dei compagni, e il direttore Buffa (d’accordo con il Procuratore Caselli) aveva disposto la dispersione dei prigionieri No Tav nelle carceri piemontesi. Ad oggi, visto che Jacopo e Tobia sono ai domiciliari, restano reclusi Giorgo a Saluzzo, Mambo ad Alessandria e Luca ad Ivrea. Particolare attenzione merita la situazione di Giorgio, accusato dal direttore delle Vallette, e poi da quello del carcere di Saluzzo, di essere l’“ispiratore” delle proteste di queste settimane. Arrivato a Saluzzo è stato qualificato come “detenuto pericoloso” e condotto nella sezione “ISOL” della prigione. Dopo pochi giorni la direzione del carcere lo ha convocato e, nel giro di venti minuti, sottoposto a un ridicolo procedimento disciplinare, al termine del quale è stato condannato a quindici giorni di isolamento totale.

 

Saluzzo: un regime anomalo di isolamento

La sezione “ISOL” del carcere di Saluzzo non è considerata dalla direzione un luogo di punizione. È il luogo dove sono condotti tutti coloro che non hanno una pena definitiva e sono, anzi, semplicemente indagati o in attesa di giudizio. Eppure questa sezione presenta tutti i caratteri dell’isolamento: non esiste un cortile per l’ora d’aria collettiva, e per ogni cella c’è un cortile di 8 m. per 2 m. circondato da alte mura, che lo separano da quelli delle celle limitrofe: nelle rare occasioni in cui l’aria è concessa (circa una volta al mese) i prigionieri sono separati e obbligati a sostare immobili in spazi senza luce, senza poter vedere gli altri detenuti. L’unica occasione, per loro, di vedere qualcuno è la Messa della domenica. Nella sezione “ISOL”, inoltre, avvengono intimidazioni continue. Perquisizioni delle celle, battiture delle guardie sulle porte, pestaggi di detenuti.

Risulta evidente che la sezione “ISOL” di Saluzzo, non essendo pensata per detenuti sottoposti al regime 41bis (cosiddetto “carcere duro”) ed essendo anzi popolata da cittadini in attesa di essere giudicati, è uno strumento di punizione preventiva ed intimidazione verso detenuti che, per ragioni da chiarire, sono sottoposti a un trattamento peggiore di chi deve scontare pene altissime, compreso l’ergastolo. Il fatto che Giorgio, che era stato velatamente minacciato dal direttore delle Vallette, ed è stato indicato dai suoi rapporti come l’ideatore delle proteste in quell’istituto, sia stato trasferito proprio in questo carcere e in questa sezione, conferma che la sezione saluzzese “ISOL” rappresenta un’anomalia giuridica nel regime carcerario, ossia uno strumento per infliggere sofferenze aggiuntive a chi, pur innocente perché non ancora processato, è considerato socialmente o politicamente “pericoloso”. Non considerando questa condizione punitiva sufficiente, la direzione del carcere infliggerà i 15 giorni aggiuntivi di isolamento totale a Giorgio, unico a ricevere questo trattamento tra i prigionieri della sezione: appena sarà disponibile una cella (il carcere è sovraffollato, ciò che lo rende ancora più invivibile) dovrà restare chiuso senza uscire per due settimane.

 

La persecuzione dei compagni in carcere rappresenta un’emergenza politica

In questo contesto, chiediamo a tutte le persone sensibili alla tematica carceraria, alle compagne e ai compagni dei movimenti, alle associazioni culturali e politiche che hanno a cuore i diritti sanciti per legge, di appoggiare una mobilitazione in favore di tutti i carcerati in lotta, di tutti i detenuti No Tav, e in particolare di chi si trova sotto attacco ed è sottoposto ad isolamento per aver chiesto pacificamente, assieme ad altri compagni, dignità e rispetto dei diritti per i detenuti torinesi. Non ci interessa sollecitare forme di pietismo o di compassione. Giorgio stesso nella sua lettera, e i detenuti della sezione “ISOL” nel comunicato, che hanno firmato collettivamente, chiariscono che non è questo l’atteggiamento che loro interessa. Semmai, occorre rilevare alcune circostanze di fatto:

(1) Giorgio è in regime di isolamento ed è in attesa di essere sottoposto a un regime di isolamento ulteriore e più duro, per una sola ragione: aver contestato una disciplina carceraria disumana, e illegittima dal punto di vista legale, in una delle carceri più sovraffollate d’Italia, quella torinese. Si tratta a tutti gli effetti di una forma di persecuzione politica, che mira a mostrare come chi si oppone all’ingiustizia, mettendo in primo piano l’interesse collettivo rispetto a quello individuale, rischia di andare incontro a sofferenze maggiori di quelle ordinarie. Giorgio non intende piegarsi a queste ritorsioni ed affronterà serenamente le punizioni che gli verranno inflitte, ma è nostro compito aprire un caso e una campagna su questa vera e propria infamità, che ancora una volta mostra nel migliore dei modi quale sia il clima politico e il rispetto del dissenso del nostro paese.

(2) La sezione “ISOL” del carcere di Saluzzo è di per sé un’aberrazione: detenuti in attesa di giudizio, e dunque innocenti per il codice penale italiano, sono rinchiusi mesi e talvolta anni secondo un regime punitivo che, se è inaccettabile in assoluto dal punto di vista morale (come scrivono i prigionieri nel comunicato, chiunque si indignerebbe se ad essere rinchiusi in quella forma, e in quelle condizioni, fossero degli animali), è anche del tutto incompatibile con l’ordinamento vigente in materia di detenzione carceraria. Occorre dunque diffondere l’appello dei detenuti di Saluzzo in rete e attraverso i canali sociali e politici che abbiamo, stimolando una presa di posizione pubblica da parte di realtà associative, politiche e culturali su questa vicenda.

Tutto questo – persecuzioni politiche ai No Tav in carcere e aberrazioni giuridiche, specifiche e diffuse – è possibile perché il carcere è, oggi, in Italia, un luogo completamente separato da tutto il resto. Normalmente, una volta che il detenuto entra in sezione si rompe qualsiasi legame sociale e politico con l’esterno, così che le direzioni degli istituti di pena possono agire in piena libertà contro i prigionieri e contro le scarse garanzie giuridiche che li dovrebbero proteggere. Il rapporto tra detenuto e direzione carceraria (per non parlare di quello tra detenuto e guardie carcerarie) è brutale e arbitrario, e chi vive in carcere si abitua ben presto a far propria una considerazione cinica e fatalista degli eventi, in cui le limitazioni giuridiche all’autorità dello stato sul prigioniero sono tranquillamente ignorate (nello stile più tipico di una società capitalista) a causa della certezza dell’impunità da parte dell’istituzione reclusiva e del silenzio che continua ad avvolgere i misfatti del personale carcerario.

 

La mobilitazione delle prossime settimane

Occorre spezzare questo isolamento e questa situazione di abuso. Il comunicato che giunge a tutte e tutti noi dai detenuti di Saluzzo deve essere occasione per una mobilitazione reale che, pur partendo dall’imprigionamento di un compagno, vada al di là di questo, ponendo una questione che riguarda quella sezione di isolamento, quel carcere, e la situazione generale delle carceri nel nostro paese. Le lotte efficaci nelle prigioni sono quelle che iniziano dall’interno, come in questo caso. Per dare speranza ai detenuti, tuttavia, per permettere alle lotte di crescere, e per segnalare la possibilità della costruzione di comportamenti collettivi contro questa situazione (e non meramente individuali: autolesionismo, suicidi), occorre una lotta ampia e coordinata chi è dentro e chi è fuori. Per questo non è sufficiente continuare con i presidi sotto le carceri, che pure sono importantissimi: è urgente creare un caso politico sull’attuale condizione detentiva dei No Tav e di tutti i detenuti e le detenute, che sappia conciliare la denuncia della persecuzione collettiva e individuale contro i No Tav arrestati con un discorso complessivo sull’insostenibilità di una situazione carceraria che è di abuso sistematico e terribile sovraffollamento.

 

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