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“Mio figlio non è un terrorista”. La mamma di Mattia su L’Espresso

Mattia Zanotti, 29 anni, è in cella da cinque mesi insieme ad altri tre giovani attivisti. Con accuse pesanti. E un regime detentivo duro. La madre, Cristina Cicorella racconta la sua storia. E lancia un messaggio: ‘E’ solo un capro espiatorio’

DI TOMMASO CERNO

Mio figlio e gli altri tre compagni No Tav arrestati con l’accusa di terrorismo sono un capro espiatorio. La magistratura voleva dividere il movimento, infliggendo a quattro ragazzi che non sono della valle una pena esemplare, per spaccare, per demolire la loro protesta. Ma non ci sono riusciti, perché la Cassazione ha detto, finalmente, che quelle accuse non stanno in piedi. Eppure loro da mesi vivono un regime detentivo durissimo, ingiustamente». Su “l’Espresso” in edicola domani Cristina Cicorella lancia un appello per suo figlio Mattia Zanotti, 29, e per gli altre tre attivisti No Tav arrestati come pericolosi eversori e detenuti da cinque mesi. Il processo si apre adesso a Torino, dopo una decisione della Suprema Corte che ha bocciato la contestazione di terrorismo e chiesto di riformulare le accuse. Nonostante questo, i quattro restano in cella. E “l’Espresso” ha deciso di dedicare la copertina all’appello della donna. Mattia è al carcere duro da cinque mesi con altri tre attivisti. Li hanno accusati di un reato gravissimo che la Cassazione ha bocciato. La mamma, Cristina Cicorella, lancia un appello: ‘Liberateli, sono solo un capro espiatorio’

Nella lunga intervista, Cristina Cicorella ricorda l’arresto: «Si sono presentati a casa sua a Milano incapucciati, alle 5 del mattino, in sei o sette. Hanno minacciato di sfondare la porta, se non aprivano. Sono entrati e hanno installato un dispositivo elettronico nella stanza, credo servisse per evitare la possibilità di comunicare con l’esterno. Preso così, come si fa con Bin Laden». A cui è seguita una custodia in cella rigidissima: «Per dieci giorni non ci fu possibile vederlo e, quando finalmente andammo al carcere delle Vallette, io e suo padre Paolo, le prime parole non riguardavano i treni. Ci ha detto: “Mi dispiace tantissimo che vi abbiano portato in questo posto, questa accusa è una cosa lontanissima da me. Sono scosso, sento di avere i poteri forti contro di me”».

In questi mesi le condizioni della carcerazione sono state dure, con colloqui sospesi a lungo, nessuna possibilità di contatto con altri detenuti: «È un regime detentivo durissimo, un 41 bis cui hanno cambiato il nome. È quello per cui l’Europa parlò di tortura. Mattia è stato costretto alla sorveglianza continua, quello che ha patito di più. Io sono stata un mese intero senza vedere mio figlio».

Quando l’ha incontrato di nuovo, poi, «era stremato», ricorda. «Mattia è un giovane uomo, è forte, ma credo che avessero l’obiettivo di spezzare le sue convinzioni. Non ci sono riusciti. Sono state vessazioni pesanti, abusi giudiziari. Trenta avvocati a Torino hanno firmato un documento denunciando la gravità della situazione», si sfoga Cristina. Gli scontri cui si riferiscono le accuse avvennero nella notte fra il 13 e il 14 maggio 2013 a Chiomonte, sotto il bosco dove la mega-talpa meccanica scava il tunnel. Quella notte fu messo a segno un sabotaggio. Ma nel mirino c’era un compressore, un motore di ferro, non un essere umano: «In più, la partecipazione di loro quattro è solo presunta. Non so nemmeno se c’erano a Chiomonte. Quella notte, come altre volte, alcuni militanti No Tav hanno lanciato in direzione del cantiere petardi, si parla anche di molotov, per danneggiare il compressore.

Fra l’altro è stato già riparato e rivenduto, quindi il danno non era poi così grave», racconta ancora la madre a “l’Espresso”.  La donna critica anche le condizioni di sicurezza disposte per il processo di Torino: «È incredibile la militarizzazione della città, inaccettabile. Come mamma di Mattia non mi interessa quanto hanno speso, ma come cittadina sì. O vogliamo parlare della scorta ai giudici popolari? Messa solo per far loro paura, per dire “attenzione, qui c’è il terrorismo” in modo da indurre a un preciso ragionamento. O vogliamo parlare delle regole del processo? Chi entra nell’aula bunker per assistervi, e sarebbe un diritto, viene schedato. E se poi vieni fermato nell’ambito di una manifestazione quella presenza costituisce un elemento di prova circostanziale, come a dire: se tu hai anche partecipato al processo, sei con loro e come loro».

L’intervista integrale sull’Espresso qui in pdf -> Mio figlio non è un terrorista

 

Da notav.info

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