Mio figlio e gli  altri tre compagni No Tav arrestati con l’accusa di terrorismo sono un  capro espiatorio. La magistratura voleva dividere il movimento,  infliggendo a quattro ragazzi che non sono della valle una pena  esemplare, per spaccare, per demolire la loro protesta. Ma non ci sono  riusciti, perché la Cassazione ha detto, finalmente, che quelle accuse  non stanno in piedi. Eppure loro da mesi vivono un regime detentivo  durissimo, ingiustamente». Su “l’Espresso” in edicola domani Cristina  Cicorella lancia un appello per suo figlio Mattia Zanotti, 29, e per gli  altre tre attivisti No Tav arrestati come pericolosi eversori e  detenuti da cinque mesi. Il processo si apre adesso a Torino, dopo una  decisione della Suprema Corte che ha bocciato la contestazione di  terrorismo e chiesto di riformulare le accuse. Nonostante questo, i  quattro restano in cella. E “l’Espresso” ha deciso di dedicare la  copertina all’appello della donna. Mattia  è al carcere duro da cinque mesi con altri tre attivisti. Li hanno  accusati di un reato gravissimo che la Cassazione ha bocciato. La mamma,  Cristina Cicorella, lancia un appello: ‘Liberateli, sono solo un capro  espiatorio’
Nella lunga intervista, Cristina Cicorella ricorda l’arresto: «Si  sono presentati a casa sua a Milano incapucciati, alle 5 del mattino, in  sei o sette. Hanno minacciato di sfondare la porta, se non aprivano.  Sono entrati e hanno installato un dispositivo elettronico nella stanza,  credo servisse per evitare la possibilità di comunicare con l’esterno.  Preso così, come si fa con Bin Laden». A cui è seguita una custodia in  cella rigidissima: «Per dieci giorni non ci fu possibile vederlo e,  quando finalmente andammo al carcere delle Vallette, io e suo padre  Paolo, le prime parole non riguardavano i treni. Ci ha detto: “Mi  dispiace tantissimo che vi abbiano portato in questo posto, questa  accusa è una cosa lontanissima da me. Sono scosso, sento di avere i  poteri forti contro di me”».
In questi mesi le condizioni della carcerazione sono state dure, con  colloqui sospesi a lungo, nessuna possibilità di contatto con altri  detenuti: «È un regime detentivo durissimo, un 41 bis cui hanno cambiato  il nome. È quello per cui l’Europa parlò di tortura. Mattia è stato  costretto alla sorveglianza continua, quello che ha patito di più. Io  sono stata un mese intero senza vedere mio figlio».
Quando  l’ha incontrato di nuovo, poi, «era stremato», ricorda. «Mattia è un  giovane uomo, è forte, ma credo che avessero l’obiettivo di spezzare le  sue convinzioni. Non ci sono riusciti. Sono state vessazioni pesanti,  abusi giudiziari. Trenta avvocati a Torino hanno firmato un documento  denunciando la gravità della situazione», si sfoga Cristina. Gli scontri  cui si riferiscono le accuse avvennero nella notte fra il 13 e il 14  maggio 2013 a Chiomonte, sotto il bosco dove la mega-talpa meccanica  scava il tunnel. Quella notte fu messo a segno un sabotaggio. Ma nel  mirino c’era un compressore, un motore di ferro, non un essere umano:  «In più, la partecipazione di loro quattro è solo presunta. Non so  nemmeno se c’erano a Chiomonte. Quella notte, come altre volte, alcuni  militanti No Tav hanno lanciato in direzione del cantiere petardi, si  parla anche di molotov, per danneggiare il compressore.
Fra l’altro è stato già riparato e rivenduto, quindi il danno non era  poi così grave», racconta ancora la madre a “l’Espresso”.  La donna  critica anche le condizioni di sicurezza disposte per il processo di  Torino: «È incredibile la militarizzazione della città, inaccettabile.  Come mamma di Mattia non mi interessa quanto hanno speso, ma come  cittadina sì. O vogliamo parlare della scorta ai giudici popolari? Messa  solo per far loro paura, per dire “attenzione, qui c’è il terrorismo” in  modo da indurre a un preciso ragionamento. O vogliamo parlare delle  regole del processo? Chi entra nell’aula bunker per assistervi, e  sarebbe un diritto, viene schedato. E se poi vieni fermato nell’ambito  di una manifestazione quella presenza costituisce un elemento di prova  circostanziale, come a dire: se tu hai anche partecipato al processo,  sei con loro e come loro».
L’intervista integrale sull’Espresso qui in pdf -> Mio figlio non è un terrorista
 
Da notav.info