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Proteste di massa scuotono l’Iran in un momento cruciale per la regione

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Da tre giorni intense proteste stanno attraversando l’Iran. Mobilitazioni di massa contro i deludenti risultati economici del governo Rouhani e contro la guida suprema Khamenei sono partite dai centri più conservatori come Qom e Mashhad, e dalla città prevalentemente curda di Kermanshah.

Anche se stanno emergendo nel mainstream (e non solo) raffronti con la sollevazione dell’ “Onda Verde” del 2009, l’associazione è impropria. A differenza di allora – laddove l’opposizione era guidata da figure meno conservatrici ma pur sempre ricomprese nell’establishment quali Mousavi e Karroubi – non si contende il potere dopo una tornata elettorale di dubbia limpidezza, e non ci sono leader apparenti della protesta. Anche se nel 2017 il fronte dei dimostranti è ampio: dagli studenti dell’università di Teheran, ai commercianti curdi iraniani fino alla presenza di nostalgici della monarchia dello shah. Alle proteste del 2009 non venne dato di fatto nemmeno seguito politico dall’amministrazione Obama, fautrice dell’accordo sul nucleare con gli ayatollah e di una linea di politica estera meno servile nei confronti di Arabia Saudita ed Israele.

L’innesco del malcontento sarebbe ora da ricercarsi nel rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità soprattutto nel settore alimentare – in un paese dove il 40% della popolazione vive sotto la linea della povertà, ed ancora debilitato da anni di sanzioni. Anche se di diversa intensità rispetto ai paesi confinanti, non va sottovalutato il ruolo della repressione del regime negli anni verso i settori popolari. In particolare nel Baluchistan e nel Rojhelat, la regione dell’Iran a maggioranza curda, dove a pagare il prezzo del grilletto facile delle guardie di frontiera sono stati tra gli altri i poverissimi kolber (trasportatori di confine).

Non solo, le mobilitazioni esplodono in uno contesto regionale complesso. La fine delle operazioni convenzionali contro l’ISIS in Siria ed Iraq ha portato più di qualcuno a fare i conti in tasca al regime degli ayatollah del costo militare ed umano dell’intervento militare in quei paesi – ancorché coronato, dal punto di vista della leadership, dall’apertura di un corridoio geostrategico dal Golfo al Mediterraneo potenzialmente funzionale alla nuova Via della Seta cinese – e del programma missilistico. Per non parlare del rinfocolarsi delle tensioni in Palestina e nel Golfo, con l’atto di forza di Trump su Gerusalemme, le manovre di Israele nei Territori e nel Golan e le purghe di Mohammed Bin Salman, con la guerra civile in Yemen sullo sfondo.

Mentre si segnalano consistenti contromanifestazioni mobilitate dai paramilitari dei Basij e dei guardiani della rivoluzione in più città e lo scontro si radicalizza arrivando fino a Teheran (dove è stata cinta d’assedio l’Università dalle forze dell’ordine per impedire la saldatura tra studenti e manifestanti di piazza) c’è da notare come l’elemento di denuncia e ribellione al malgoverno e alla corruzione stia accomunando le proteste in Iran a quelle del Kurdistan Iracheno – da giorni in lotta contro il nepotismo del clan Barzani e dei partiti storici della regione. Seguiranno aggiornamenti…

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