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Occupata l’Università di Pisa contro la guerra in Kurdistan

Ieri pomeriggio una partecipata assemblea al Polo Carmignani (UniPi) convocata da Rise Up 4 Rojava Pisa ha decretato l’occupazione dell’università per protestare contro la guerra che la Turchia sta portando avanti in Rojava (Siria del nord est) e nelle montagne dell’Iraq. All’occupazione di è presentata la prorettrice per la coesione della comunità universitaria e il diritto allo studio Enza Pellecchia; dopo un lungo confronto ha affermato che l’Università di Pisa prenderà pubblicamente posizione contro questa guerra della Turchia di Erdogan.

L’iniziativa è all’interno della due giorni Stop Turkish bombs che proseguirà domani con la partecipazione allo sciopero generale contro la guerra e al corteo che partirà alle ore 9.00 da piazza Vittorio Emanuele.

Alle ore 15.00 è stato lanciato un momento in piazza dei Miracoli e alle ore 17.00 ci sarà un’iniziativa pubblica al Polo Carmignani occupato di informazione e aggiornamento con dellә corrispondenti di Radio Onda d’Urto appena tornatә dal Rojava e l’intervento di alcunә docenti e avvocatә: Andrea Vento, Federico Olivieri, Martina Bianchi.

La rivendicazione è forte e la presa di posizione necessaria visto il gravissimo silenzio mediatico e culturale che sta accompagnando questa guerra.

Di seguito il comunicato dell’occupazione che ampiamente argomenta il perché sia stata scelta l’Università come sede di questa mobilitazione.

“Oggi 1° dicembre 2022, visto quanto sta accadendo nei territori della Siria del Nord e dell’Est, in quanto studentə dell’Università di Pisa abbiamo deciso di occupare il Polo Carmignani.

Dalle prime ore di domenica 20 novembre 2022, infatti, sono in corso intensi bombardamenti aerei da parte dello stato turco nei confronti dei territori autonomi della Siria del Nord e dell’Est (Rojava), bombardamenti che stanno colpendo soprattutto la popolazione civile. Il presidente turco Erdogan ha già dichiarato che queste operazioni sono solo l’inizio, e che presto comincerà un’invasione via terra.

Il Rojava è una delle quattro zone in cui è diviso il Kurdistan, una regione che da sempre è stata privata della sua autonomia, venendo divisa fra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Oltre ad essere diviso, il popolo curdo ha dovuto subire anni di oscurantismo da parte dei governi di questi Paesi, che non hanno mai permesso loro nemmeno di parlare la propria lingua o di esprimere la propria cultura. Dal luglio 2012 a seguito delle proteste delle  Primavere Arabe la popolazione del Rojava si amministra attraverso una forma di autogoverno, il confederalismo democratico, che promuove nella società le idee di femminismo e autonomia delle donne, ecologia, democrazia e convivenza pacifica tra i differenti popoli le differenti culture presenti nell’area. In questi anni, oltre agli attacchi dei governi locali, in primis Turchia e Siria, i popoli di questa regione hanno dovuto anche affrontare la violenza dell’Isis; quello stesso stato islamico che ha portato la morte e ha terrorizzato anche l’Europa. Non possiamo dimenticare come siano state proprio queste donne e questi uomini, spesso anche a costo della loro stessa vita, a sconfiggere l’Isis, appoggiati anche dagli Stati Uniti e dagli Stati europei nella Coalizione Internazionale.

Lo stato islamico non era stato ancora del tutto sconfitto che già il presidente della Turchia, Erdogan, ordinava delle operazioni militari contro le zone autonome del Rojava, nell’indifferenza dei governi occidentali che fino a quel momento si erano serviti delle forze curde. Questi attacchi sono stati e vengono tuttora condotti anche attraverso l’uso di armi chimiche, vietate da ogni convenzione internazionale.

L’operazione militare “spada ad artiglio”, iniziata il 20 novembre scorso ha l’obiettivo di cancellare l’esperienza democratica del Rojava ma non solo: sono in corso, infatti, anche attacchi congiunti da parte di Turchia ed Iran alle montagne del Kurdistan iracheno, centro da molti anni di vita e di organizzazione autonoma. Contemporaneamente, il governo iraniano sta conducendo operazioni militari anche nella zona del Rojhilat (Kurdistan iraniano), dove da mesi continuano le proteste in seguito all’uccisione di Jina Mahsa Amini, al grido di Jin Jiyan Azadi, “donna, vita, libertà”, uno dei principali slogan proprio delle donne rivoluzionarie del Rojava.

Per tutto questo, dal momento che facciamo nostri valori come l’ecologia, il femminismo, la democrazia, che sono i pilastri dell’esperienza rivoluzionaria del Rojava, sentiamo l’esigenza di schierarci anche a queste latitudini.

Abbiamo voluto mobilitarci per dare un segnale e per rompere il vergognoso silenzio mediatico e istituzionale che sta coprendo i crimini di Erdogan, e abbiamo deciso di occupare l’Università per riappropriarci di uno spazio di confronto e organizzazione all’interno della città. L’Università è sempre più uno spazio di apprendimento unilaterale, in cui le nozioni e la visione del mondo ci vengono impartite come se fossero le uniche possibili. In questi giorni invece vogliamo rendere le nostre aule un luogo aperto, di analisi e messa in discussione di ciò che ci sta intorno, e soprattutto di organizzazione.

In particolare, abbiamo deciso di occupare l’Università di Pisa perché in quanto istituzione accademica è coinvolta direttamente con le operazioni militari di questi giorni. La Turchia, infatti, oltre ad essere il secondo esercito della NATO, è uno dei principali acquirenti di armi “tecnologiche” prodotte in Italia da aziende come la Leonardo S.p.A., che ha una sede proprio ad Ankara, e con la quale i nostri atenei hanno da anni strette collaborazioni di ricerca e produzione di materiale bellico. È vergognoso e inaccettabile che i nostri saperi vengano utilizzati per costruire droni o elicotteri da guerra, come quelli che già in anni passati sono stati utilizzati nel corso delle operazioni militari contro le forze autonome del Rojava, e che anche in queste ore stanno bombardando indiscriminatamente civili, depositi alimentari, di rifornimenti energetici e campi dove l’amministrazione autonoma tiene in custodia oltre 60.000 persone affiliate ad Isis.

Leonardo S.p.A. e l’Università di Pisa da anni stringono accordi: chiediamo che venga fatta immediata chiarezza su queste collaborazioni. Vogliamo sapere per chi e in funzione di che cosa sviluppiamo i nostri progetti di ricerca, e soprattutto vogliamo la cessazione immediata di ogni rapporto fra l’Università di Pisa e aziende mortifere come Leonardo S.p.A.

Chiediamo al nuovo Rettore, Riccardo Zucchi, e all’intero corpo docente di prendere posizione pubblicamente contro ciò che sta accadendo, stralciando in primis gli accordi con Leonardo S.p.A.

Invitiamo l’intera comunità accademica a mobilitarsi in qualunque forma a sostegno del popolo curdo e della rivoluzione del Rojava.”

Da Riscatto Pisa

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