
Guerra alla Guerra! Blocchiamo Tutto!
Di seguito il comunicato di GUERRA alla GUERRA rispetto a valutazioni e prospettive del percorso.
Quando abbiamo lanciato la proposta di un percorso unitario che avesse come ispirazione la costruzione di un processo contro la guerra e per la fine del genocidio in Palestina le condizioni in cui lo abbiamo fatto erano molto diverse.
Quest’estate, la necessità di fare un tentativo di ricomposizione che vedesse come priorità la pratica di un obiettivo per piegare le scelte politiche del nostro Governo, e che desse un segnale forte contro il riarmo e in solidarietà alla Palestina e al suo popolo che resiste si inseriva in un quadro di quiete prima della tempesta.
Oggi una piccola tempesta ha scombinato tutto. Abbiamo vissuto giorni che valgono anni. Abbiamo praticato collettivamente, a centinaia di migliaia, in milioni, degli obiettivi grazie alla messa in pratica dello slogan “blocchiamo tutto”.
Sul piano generale inoltre, principale bussola per orientare il nostro agire, vediamo l’avviarsi di una tregua che apre grandi questioni rispetto a come si svilupperà la situazione sul territorio; come si porranno i nostri governi nella futura “ricostruzione” di Gaza, quali saranno gli interessi, chi ci vorrà guadagnare, chi dovrà pagare per un genocidio e per un’occupazione che non è ancora finita; quali sviluppi e accelerazioni avranno le politiche belliciste e di riarmo nel nostro paese e non solo. Un ulteriore elemento di prospettiva ce lo deve dare la missione della Flottilla, da considerarsi come un soggetto a tutti gli effetti parte integrante e motore del movimento, con il quale mettersi in connessione. Così come lo sono i lavoratori portuali, con i quali occorre stabilire sintonia nell’iniziativa, per sostenerli e per scambiare competenze e saperi.
Pensiamo che lanciare un appuntamento nazionale a novembre in questa fase non risponda più alle esigenze che riscontravamo soltanto un paio di mesi fa. A fronte della velocità con cui la Storia oggi va avanti pensiamo sia fondamentale non collocarsi al di fuori di essa ma immergersi in questo momento storico e cogliere le necessità, nuove, che impone.
Questo ragionamento ci spinge dunque a sospendere l’idea di una manifestazione nazionale a Roma per l’8 novembre perché sarebbe fuori tempo e fuori contesto. Pensiamo che sia fondamentale allo stesso tempo contribuire a rendere duraturo il movimento. Per fare questo diamo alcune indicazioni che guardano ad alcuni aspetti che ci sono sembrati preponderanti in queste settimane: la geografia della lotta, l’efficacia, la capillarità.
In questo senso dunque, invitiamo a costruire momenti di confronto e partecipazione con chi ha preso parte alle iniziative di mobilitazione di queste settimane; a darsi gli strumenti per rimanere in contatto e dare aggiornamenti in tempo reale delle iniziative; a coordinarsi per futuri momenti di blocco a livello nazionale, cercando di alimentare l’efficacia di dove si blocca, perché e chi. I carichi di armi, il loro trasporto e la logistica della guerra, la loro produzione, sono alcuni degli obiettivi da tenere a mente come centrali in questa fase. Il ruolo dei media mainstream nel narrare il genocidio e il ruolo dei governi occidentali; i tentativi di criminalizzare le lotte e chi ne prende parte; un cambio di passo nella gestione delle piazze; sono altri elementi su cui avviare un ragionamento complessivo e organico.
Territorializziamo il processo di lotta e diamoci un tempo di verifica collettivo che possa permettere di ritrovarci e mettere a fuoco cosa serve e cosa non serve in questo momento storico per andare nella direzione di una ricomposizione e di una mobilitazione di massa duratura, contro i piani del governo che intende renderci tutti e tutte disponibili alla guerra. Abbiamo detto che la Palestina ci sta liberando, costruiamo il nostro percorso di liberazione oggi nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nel lavoro, nei territori.
Invitiamo a sostenere, partecipare e convergere nei prossimi appuntamenti che il movimento attuale si darà, nelle prossime occasioni di sciopero generale e a moltiplicare le iniziative territoriali capaci di indicare la logistica e l’infrastruttura della guerra come obiettivi sui territori ai quali guardare per continuare un processo di contrapposizione ai piani bellici, di riarmo e di “ricostruzione” coloniale che anche il nostro Governo sta già attuando per speculare e guadagnare dal piano di colonialismo di insediamento sedendosi al banchetto del “business della pace” in Palestina.
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