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Charlie Hedbo: dietro le quinte lo scontro Isis-al Qaeda


Si attende di capire se i due attentatori di Parigi facciano parte, come loro stessi avrebbero urlato due giorni fa, di al Qaeda in Yemen, oppure dello Stato Islamico (Isis). Manca ancora una rivendicazione ufficiale. La radio dell’Isis ieri ha descritto come “eroi” gli autori della strage compiuta nella redazione di Charlie Hebdo, tuttavia l’ipotesi che al Qaeda sia tornata a colpire in Europa resta la più credibile. La sanguinosa vendetta contro il giornale satirico francese con ogni probabilità ha avuto anche lo scopo di diffondere segnali di vita di al Qaeda, dopo gli ultimi 1-2 anni passati dall’organizzazione a limitare i danni della scissione operata dallo Stato Islamico del “califfo” Abu Bakr al Baghdadi. Il carattere “movimentista” dell’Isis si è dimostrato vincente rispetto alla posizione mantenuta dall’emiro di al Qaeda, Ayman al Zawahry.
Il successore di Osama Bin Laden resta fedele all’idea di una formazione segreta, guidata da pochi uomini fidati, impegnata a pianificare attentati clamorosi, piuttosto che dare vita subito a un califfato, come ha invece fatto al Baghdadi. Zawahry, astuto ma senza carisma, e con uno sguardo troppo rivolto, dal punto di vista arabo, ad Afghanistan e Pakistan, ha perduto l’appeal che aveva fino a qualche anno fa. Non ha più la fedeltà di diverse organizzazioni jihadiste che, dopo la proclamazione del califfato nel nord dell’Iraq e della Siria, si sono affiliate all’Isis. Persino il Fronte al Nusra, l’espressione (in Siria) più concreta sul terreno di al Qaeda in questo momento, ogni giorno perde combattenti e comandanti che passano dalla parte del “califfo” al Baghdadi.
Da qui la necessità di Zawahry di tornare a “fare notizia”, con un attentato clamoroso, approfittando delle prime importanti difficoltà che incontra la macchina da guerra dell’Isis, bloccata dai guerriglieri kurdi a Kobane, frenata dal riorganizzarsi delle forze di sicurezza in Iraq e dai bombardamenti della “Coalizione” capeggiata dagli Stati Uniti. Al Baghdadi ora deve anche amministrare le città che ha conquistato e non solo combattere. Il match tra Al Qaeda e l’Isis, si svolge ad ogni livello, anche su quello della comunicazione. Ad esempio, nell’ultimo numero di Dabiq, la rivista on line dello Stato Islamico, i seguaci di al Baghdadi mettono al centro del loro discorso le differenze esistenti con al Qaeda. La storia principale ha per titolo “Al-Qaeda del Waziristan,” ed è stata scritta da un presunto disertore di al Qaeda, noto come Abu Jarir ash-Shamali, impegnato a dimostrare che l’eredità di Abu Musab al Zarqawi appartiene solo all’Isis.
Zarqawi, ucciso da un raid statunitense nel giugno 2006, era stato il leader della Jamaat al-Tawhid wal Jihad, poi divenuta lo Stato Islamico in Iraq (Isi), e infine, con l’avvento di al Baghdadi, Stato Islamico in Iraq e in Siria (Isis). Nel dicembre 2004 giurò fedeltà ad Osama bin Laden che lo nominò “emiro” in Iraq. Senza pietà, determinato, animato da un profondo odio più per i “rafida”, gli sciiti, che per i soldati americani che occupavano l’Iraq, Zarqawi è stato uno dei maggiori sostenitori del “takfirismo”, (takfir ” empietà massima”), che prevede la “scomunica” non solo dei governi ma anche della maggioranza delle comunità islamiche. In sostanza per Zarqawi erano eretici tutti i musulmani che non condividevano il suo punto di vista.

Perciò fino a quando è rimasto in vita, l’emiro dell’Isi ha passato il suo tempo a massacrare e tagliare teste fra gli sciiti e anche fra i sunniti a suo giudizio “peccatori” e, quindi, non più musulmani. La macabra eredità di Zarqawi, un mito per i jihadisti, al Baghdadi la rivendica tutta. E il racconto di Abu Jarir a-Shamali serve proprio per quello. E non manca di segnalare le difficoltà organizzative di al Qaeda dopo l’uccisione di due dirigenti di primissimo piano, Atiyyah Abd al Rahman e Abu Yahya al Libi, in attacchi di droni americani.
Il “quadro negativo” della situazione di al Qaeda fatto da a-Shamali non trova però conferma nelle indiscrezioni che filtrano dalla complessa galassia jihadista. Al Zawahri avrebbe istituito un comitato di gestione, denominato “Lajnat Bukhara”, molto efficiente, per ridare slancio ad al Qaeda. Soprattutto starebbe spostando dall’Asia uomini e armi per affermare nuovamente la sua presenza in Iraq. Perciò la strage di Parigi è una potente inserzione pubblicitaria sulle televisioni di tutto il mondo, necessaria al leader di al Qaeda per vincere la delicata partita che sta giocando con Abu Bakr al Baghdadi e per il favore di decine di migliaia di miliziani del jihad globale. E qualcosa si sta già muovendo. Nuovi, forse, sostenitori di al Qaeda ieri hanno postato un ringraziamento per coloro che «hanno vendicato il Profeta» e una immagine con una X rossa sul volto del vignettista Charb ucciso due giorni fa. E citano “The Dust will never settle down”, uno dei più celebri discorsi dell’imam Anwar al Awlaki Awlaki, delfino di Osama bin Laden, ucciso in Yemen da un drone Usa nel 2011.
Michele Giorgio – Il Manifesto

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