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OpIsrael reloaded: «Tel Aviv non è invulnerabile». In chat con l’Intifada digitale

A ridosso di qualsiasi conflitto si scatena sempre una guerra di cifre. La seconda parte di OpIsrael non sembra fare eccezione a questa regola. Quanti sono stati i siti travolti dall’ondata di attacchi che Anonymous ha scagliato contro le infrastrutture informatiche israeliane a partire dal 7 Aprile? Si è trattato davvero di un flop come hanno affermato le autorità di Tel Aviv? A quanto ammontano i danni economici provocati? Mentre l’operazione è ancora in corso, Infoaut per vederci più chiaro ha intervistato alcuni dei protagonisti attivi sul campo di battaglia. Sync, black e anon4 sono tre hacker che hanno preso parte all’assalto contro l’internet israeliana negli ultimi giorni. Ecco che cosa ci hanno detto.

 

black – Perché Israele continua la sua presa su Gaza e non molla.

anon4 – Il dibattito è sempre stato altalenante fra chi voleva rispettare la tregua, e chi intendeva agire in previsione del 7 aprile. Certo non è mai mancato chi ha continuato ad agire singolarmente o con altri team. La data del 7 è stata decisa perché è quella in cui si commemora l’olocausto. Volevamo detournare il significato di questa ricorrenza simbolica e riadattarlo a quella che è l’attuale situazione a cui sono costretti i palestinesi dalla ferocia israeliana. Olocausto non fu solo quello che coinvolse gli ebrei: olocausto è anche il genocidio perpetrato dalla mano sionista… oggi questa parola è più attuale che mai. Abbiamo scelto di ridare slancio all’operazione per via dei continui abusi e vessazioni perpetrate nei confronti del popolo palestinese (anche in presenza della tregua). Di esempi se ne possono annoverare a bizzeffe. In primis la terribile situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane: una vera e propria violazione tout court dei diritti umani. Per non parlare del caso di Samer Issawi, in sciopero della fame come segno di protesta, la cui vita è in grave pericolo.

Sync – Ed ovviamente gli strike della settimana scorsa su Gaza hanno affrettato i tempi. Ma per quanto mi riguarda nessun obbiettivo, nessuna richiesta, nessuna speranza. Non abbiamo sufficiente influenza per lanciare ultimatum ed Israele non si fa certo intimidire da noi. A mio parere è un azione più volta a creare impatto mediatico e disruption alla loro infrastruttura, oltre che per ribadire e rendergli nuovamente noto che non sono intoccabili.

 

IFF – Quali sono stati i target più importanti che siete riusciti a colpire?

black Abbiamo unalista. Sono troppi da elencare.

Sync – Eh! Qui è particolarmente difficile fare un resoconto dettagliato. I DDoS non si contano più. I deface neppure, anche perché ci sono stati mass deface fatti da crew che orbitano intorno ad Anons pur mantenendo posizioni proprie.

anon4 – Probabilmente tra quelli presenti nella lista che ti abbiamo indicato i più importanti sono quelli governativi e le banche. Ed anche il sito di forniture militari dell’IDF: si tratta di un obiettivo dalla forte valenza simbolica. Il tango down contro il Mossad è stato particolarmente importante: una nutrita schiera di botnet e singoli si è abbattuta sul loro sito in segno di rappresaglia verso il regime sionista. Abbiamo bersagliato qualsiasi target .gov possibile in pratica ed i portali del ministero dell’interno, dell’economia, degli affari esteri e dell’autorità di sicurezza israeliana sono stati defacciati: il perimetro digitale dei siti degli enti governativi sionisti è stato violato. Questo per noi serve per veicolare un messaggio chiaro: non siete invulnerabili.

 

IFF – Oltre alle azioni che più tipicamente avete portato avanti (DDOS & Leaks & Deface) questa volta avete preso possesso anche di migliaia di account Facebook di singoli cittadini israeliani. Per quale motivo avete optato per questo tipo di azione?

black – Perché l’obbiettivo era «destroy Israel». Ecco perché.

anon4 – Io non mi sono occupata di Facebook, però penso che chi lo ha fatto abbia voluto fare leva sulla provenienza degli account. Anche se ovviamente non tutti gli israeliani sono sionisti.

Sync – Neppure io ho preso parte a questo lato dell’Op. Ma comunque l’intento è stato quello di mettere sotto pressione i cittadini di Israele. Forse capiranno cosa significa sentirsi braccati e sotto assedio come capita quotidianamente alla popolazioni di Gaza. Certo, non tutti sono sionisti! Ma il fatto che Netanyahu sia stato rieletto mi fa pensare che le posizioni della maggioranza non siano certo sensibili alla questione palestinese. La violazione degli account Facebook? La definirei come un “danno collaterale”: esattamente l’espressione che gli israeliani utilizzano per indicare i civili palestinesi che rimangono coinvolti sotto i loro “surgical strikes”. Che di chirurgico non hanno nulla.

 

IFF – L’azione era annunciata da più di un mese: su OpIsrael 2 si è effettivamente concentrata una forte attenzione mediatica. Com’era prevedibile Israele (uno dei paesi più tecnologicamente all’avanguardia in termini di cyberwarfare) ha preso le sue contromisure. Yitzhak Ben Yisrael, funzionario dell’ufficio informatico nazionale di Israele, ha dichiarato che “ci sono stati pochi danni” e che “Anonymous non ha le competenze per danneggiare le infrastrutture vitali del Paese non avrebbe annunciato l’attacco. Vuole fare clamore sui media su questioni che gli stanno a cuore”. Come commentate queste dichiarazioni?

black – Come no! E allora perché hanno chiuso la porta 80 su tutti i siti con dominio .gov.il ? Stanno solo provando a minimizzare. Come fanno sempre tutti i governi quando vengono attaccati da Anonymous.

Sync – Stavolta, reduce dall’esperienza della prima OpIsrael stanno approcciando la cosa in modo diverso. Da un lato tendono a minimizzare le ripercussioni dell’attacco e dall’altro enfatizzano il fatto che è più una protesta che un attacco cyber. Hanno risorse e know-how e sono in grado di mitigare o deflettere buona parte degli attacchi ma certamente ne stanno risentendo pesantemente anche solo per l’impiego delle risorse umane che hanno dovuto attivare per fronteggiarci. Senza contare i numerosi servizi finanziari/bancari e di informazione pubblica sono stati duramente colpiti, anche se per lassi di tempo variabili .

anon4 – Indubbiamente sono molto preparati e possiedono tutti gli strumenti necessari per tutelarsi. Ma potremmo rispondere citando tutti gli attacchi andati a buon fine. Poi ovvio… Stanno usando l’estintore per provare a spegnere il fuoco: il governo israeliano non può far altro che cercare di sminuire una tempesta così grande. Anon fa paura perché è incontenibile: non si sa come e quando potrebbe agire, dove e in quali modi. E poi c’è il danno economico.

 

IFF – Che secondo voi potrebbe essere quantificato in…?

black – Cifre? Non saprei.

anon4Alcune fonti parlano di due o tre miliardi di dollari.

Sync – Si ma è meglio non azzardare cifre… sarebbe difficile fare un’analisi veritiera . Stanno girando numeri estremamente – forse troppo – alti. In ogni caso ci risulta che Israele abbia aperto una linea diretta con Cisco per avere a disposizione gente ferrata in fatto di networking. Qualcuno che li aiuti ad usare al meglio gli apparati che già hanno al fine di aumentarne i livelli di sicurezza attraverso l’implementazione di tecniche particolari (come il packet scrubbing).

 

IFF – A quest’operazione hanno partecipato almeno una ventina di crew dalle più diverse estrazioni linguistiche, culturali ed ideologiche. In che modo siete riusciti a tenere insieme componenti come i RedHack (dall’impostazione decisamente marxista) con altre, magari più orientate ad iconografie e pratiche riconducibili al mondo islamico militante?

anon4 – Partiamo dal presupposto che i numerosi team si sono coordinati per raggiungere un obiettivo comune: danneggiare economicamente e simbolicamente le infrastrutture israeliane sioniste. Questo è quel che emerge da un’analisi “macro”. Azioni come queste poi portano spesso con loro tutta una serie di “sotto-obiettivi”. Mi spiego meglio. Tu prima citavi i RedHack: la battaglia che portano avanti è priva di componenti religiose e mira ad attaccare il regime nazi-sionista-capitalista israeliano. Chiaro che con gruppi con con una forte componente religiosa militante la musica cambia: per loro, il detto “un unico popolo, un unico stato socialista laico” non vale. È altrettanto vero che “sotto-obiettivi” di questo genere emergono però maggiormente in azioni che vedono protagonisti i singoli gruppi. Meno in operazioni di ampia portata come #OpIsrael dove, secondo me, il messaggio principale è “Free Gaza, Stop al genocidio del popolo Palestinese, end the occupation!”. Come si coniuga l’azione dei vari team? Come ho detto poc’anzi, agendo verso un obiettivo comune. Ma attenzione: questo non significa che in nome di una meta collettiva si sacrifichino determinati principi. Prendiamo infatti le distanze dai gruppi di estrazione nazi che colgono l’occasione per attaccare Israele in nome dell’antisemitismo. Né Anonymous, né i Redhack, né altri team che si ispirano ai valori di libertà e uguaglianza potranno mai collaborare con questi soggetti.

 

IFF – Sembra confermato che l’IDF abbia agito anche sull’elemento umano per limitare i danni dell’attacco, portando a termine una serie di arresti di hacktivisti nella striscia di Gaza mentre questo era in corso. Ritenete si sia trattato di un fatto isolato, magari legato all’eccezionalità della situazione, oppure che le agenzie di law enforcement potrebbero ricorrere a questo tipo di espedienti con più frequenza in futuro per contrastare attacchi in rete? Un’ipotesi di questo tipo era stata ventilata da Micheal Peck, collaboratore di Forbes, il quale, in occasione dell’attacco dei Redhack al Mossad si era domandato quale sarebbe potuta essere la risposta di quest’ultimo, visto il suo modus operandi e «la sua lunga storia in operazione letali, assassinii compresi».

Sync – Non credo che hacktivists/hackers invisi ad Israele rischino persecuzioni estese e mirate, tortura o strikes con droni: sarebbe “bad press”. Credo anche che arrestare elementi già noti o sospettati di aver condotto azioni di cyberwarfare contro lo stato israeliano sia controproducente visto che inevitabilmente rafforzerà la posizione che molte persone hanno in merito alle metodologie proattive, brutali ed inumane con cui i sionisti perseguono i propri nemici o individui percepiti come tali. Stanno solo flettendo i muscoli per scoraggiare eventuali nuovi partecipanti. Io credo che queste azioni di rappresaglia da parte dell’IDF significhino solo una cosa: che sono “butthurt” e che i danni che gli stiamo causando sono più significativi ed estesi di quanto non vogliano ammettere.

black – A mio parere si tratta di un caso isolato: questa è stata una grande operazione in cui molti hacker team hanno partecipato. Al momento non sono al corrente del numero degli hacktivisti presi in custodia: per tirare delle somme la cosa migliore è vedere gli svolgimenti dei prossimi giorni.

 

IFF – Fino a quando durerà l’operazione?

anon4 – Impossibile dirlo.

Sync – No idea. ‘Till we get bored 🙂 . Ad ogni modo c’è da dire che gli israeliani per mitigare soprattutto i DdoS stanno blacklistando ip singoli, intere classi ed in casi estremi tutti gli ip di range non allocati ad Israele.

anon4 – Furboni.

black – Yeah.

Sync – Sono metodi efficaci ma drastici. Hanno ripercussioni anche per l’utenza legittima. Ed in ogni caso rappresentano un danno di immagine: è come dire che per evitare che mi facciano i graffiti sul muro di casa lo abbatto. A quanto pare i nostri mezzi non sono così inefficaci no?

 

InfoFreeFlow (@infofreeflow) per Infoaut

 

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