
Stralci di inchiesta (10): il lavoro agricolo nella campagna urbanizzata emiliano-romagnola
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Quadro storico e territorio
Come racconta nei suoi libri Valerio Evangelisti, a partire dall’Ottocento le migliaia di braccia invisibili del bracciantato locale hanno continuamente trasformato l’area che dalla piana padana giunge al delta del Po, tra Emilia e Romagna: bonifiche, canalizzazioni, lavoro nei campi, strade… che nemmeno le distruzioni della guerra hanno interrotto. Con l’appianamento e la regolazione del territorio che da misto terracqueo diviene progressivamente zona coltiva, divampano le lotte sociali. Ambientazione del film Novecento di Bertolucci, “capitale degli scioperi” e sede di moltissime forze politico-sindacali come le Leghe di Resistenza e Miglioramento. Qui si organizzano braccianti e primi operai, muratori e enormi masse di disoccupati, contadini suddivisi tra una miriade di forme “contrattuali”, luogo del movimento operaio, simbolo della lotta delle mondine, dell’applicazione massiccia delle prime forme cooperative e piccolo feudo socialista fino all’avvento del fascismo.
I canali per secoli sono stati uno snodo decisivo del traffico di merci e persone tra Modena, Bologna e altre città soprattutto verso Venezia, dove si giungeva via Ferrara attraverso il Po, il tutto puntellato da piccoli porti e mulini. Uno dei fattori che probabilmente più influiscono sul progressivo dileguarsi dell’atmosfera marittima che trasuda da questi frammenti di storia è da individuare nell’epoca delle ferrovie, che dal quarto ventennio dell’Ottocento iniziano a sostituirsi alla mobilità via acqua. Ma questa epoca dura molto meno di quella dei fiumi. Col diffondersi dell’automobile e un paese da ricostruire dopo la guerra, le opere pubbliche si concentrano sulle strade, interne e di collegamento tra le città. E a partire dagli anni ’80 si assiste ad un progressivo abbandono delle terre da parte dei piccoli imprenditori e ad un concentramento della proprietà, anche grazie alle politiche europee.
Questa serie appena abbozzata di passaggi modifica in profondità il paesaggio della campagna d’oggi. Quando ci si allontana dalle città emiliane infatti l’impressione è che l’occhio non sia mai del tutto libero di guardare lontano. Il panorama della pianura è infatti scandito da una morfologia fatta di linee rette, grosse costruzioni, bizzarre forme verticali. Sono i tralicci elettrici, la linea dell’alta velocità, l’inceneritore, le case sparse… Una nuova natura del territorio che ne increspa i placidi ritmi rurali, fissa nella retina strutture geometriche, fa pullulare di urbanità il paesaggio.
Fino a pochi decenni fa era piuttosto semplice individuare il confine della città, che oggi invece si spande molti chilometri oltre. Se si transita su queste zone di continua frontiera urbana in espansione si ammirano i ruderi di depositi ferroviari composto di innumerevoli capannoni oramai decrepiti e ricoperti dal verde. Si prosegue per caseggiati residenziali passando sotto le tangenziali, finché si costeggiano grandi fabbriche, spesso chiuse da tempo. Sul lato opposto ecco una sequenza di palazzi a due/tre piani che viene progressivamente sostituita da grosse ville, che si intravvedono e intuiscono, circondate da siepi, attraverso le cancellate che mostrano i vialetti di ingresso. Questa dimensione di continuità del costruito da un lato inizia a diradarsi in varie abitazioni di campagna. Dall’altro lato scorre un paesino, qualche baretto e piccole fabbriche chiuse.
La case rurali sono per lo più chiuse, ma non abbandonate. Probabilmente servono come base d’appoggio per il lavoro agricolo, e le più ben tenute per qualche villeggiatura estiva. Ci sono delle vigne, qualche appezzamento di grano, filari di mele, aree brulle e zone arate, qualche terreno ricoperto di un lieve manto verde di piante che crescono durante i periodi di riposo nella rotazione delle terre. Il tutto è squadrato in appezzamenti divisi linearmente, come si apprezza quando si sorvolano queste zone.
Se ci si gira indietro si vedono in lontananza i colli, uno skyline di palazzoni popolari, la tangenziale. Sulla sinistra grigio e azzurro, sulla destra il panorama è più giallo e secco. Sullo sfondo si staglia una linea perpendicolare che attraversa tutto il panorama. A perdita d’occhio questo tubo bianco di cemento, intrammezzato da pareti grigie antirumore, scorre da supporto ai treni veloci, i tracciati della TAV che tagliano tutta la pianura.
Si attraversa un insieme piuttosto monotono di piccoli campi Scorrono tantissimi edifici chiusi, alcuni crollati. Capannoni industriali che paiono inattivi, piccole isole di cemento. Dal deserto dei campi svettano anche strambe architetture verticali (torrette di sapore antico, ciminiere orfane delle loro fabbriche, campanili), mentre il resto degli edifici non supera mai i due piani. Molte delle abitazioni sparse alla rinfusa per i campi non paiono come residenze fisse, ma piuttosto il supporto per le stagioni di lavoro più intenso. Si scorgono qua e là piccole serre dai teli bianchi, qualche arnia di api, depositi di balle di fieno, cimiteri, vari silo.
Nei campi non c’è quasi mai nessuno, si incrociano alcuni trattori verdi e rossi fermi, mentre ci si lascia definitivamente alle spalle i grossi inceneritori, altre grandi infrastrutture che spuntano dai campi e tra le case. Un alto cilindro bianco innestato su un grosso parallelepipedo azzurro. Poi piccoli agglomerati urbani con grosse case, strutture circolari, una ditta agricola. Un paio di furgoni in movimento e il piccolo campanile di una chiesa. Le case poi riprendono a distanziarsi tra loro, c’è un fienile con alcuni mezzi meccanici e un enorme capannone con centinaia di balle di fieno impilate. Il tutto è costantemente incorniciato dalle lunghe filiere dei tralicci elettrici che si dipanano in ogni direzione. Però in poco gli occhi non li percepiscono più, perché queste strutture d’acciaio tendono a farsi paesaggio. Come fossero alberi vuoti con le loro liane, paiono l’abbozzo di una giungla metallica.
Non si supera nessuna specifica soglia di rientro in città, con la sensazione piuttosto di essersi mossi lungo un continuum con differenti gradi di intensità. La “campagna”, la sua dimensione intempestiva e il suo sfasamento, non disegna oggi un fuori dalla città. Città e campagna si compenetrano. La città e la campagna per come le si immaginava in passato sono oggi due rovine che abitano una dentro l’altra.
Intervista a M.
Io prima avevo un contratto come metalmeccanico, poi a seguito di qualche rivendicazione all’interno dell’azienda mi sono fatto licenziare e ho preso la disoccupazione, anche per seguire certe lotte politiche. Ho fatto un anno a casa poi ho pensato di vedere come funzionava questo settore. Adesso sono sei anni che sono in una azienda agricola. Facciamo frutta e uva. L’azienda è a conduzione familiare (marito e moglie ormai in pensione e il figlio che ha 35 anni). Io e un’altra ragazza siamo assunti a tempo determinato e ci rinnovano di tre mesi in tre mesi. Siamo tutto in regola, ci vengono messe giù tutte le giornate. In campagna funziona che si va a giornate: in un mese, in base alle giornate che fai, te le mettono in busta e ti pagano. La norma sarebbe questa. Più eventualmente gli straordinari. Quindi noi nel periodo invernale e primaverile lavoriamo in cinque, mentre quando c’è la raccolta lavoriamo in dieci-dodici (il picco è ad agosto). Anche qui incredibilmente c’è un contratto vero a tempo determinato: aprono il nulla osta e mettono giù tutte le giornate, come si dovrebbe fare. […] Come tipo di lavoro io faccio potatura, manutenzione dei vari impianti e raccolta quand’è periodo. Uso del trattore quando ci sono da fare certe lavorazioni. Comunque la mia azienda è piuttosto anomala, diciamo che è come dovrebbe effettivamente essere una azienda agricola, ma di solito non funziona così. Come lavoro la pesantezza dipende dai periodi, ma in generale si fa. […]
Le persone assunte per la raccolta nella mia azienda sono per lo più studenti e studentesse universitari e gente che ha perso il lavoro, ma soprattutto giovani universitari. Abbiamo avuto alcuni lavoratori che attraverso la C.I.A. (Confederazione Italiana Agricoltori) sono venuti a fare degli stage – come ad esempio corsi di potatura – per gente disoccupata da lungo periodo. Tre di questi, tutti ghanesi, sono poi venuti anche a raccogliere. […] Sentendo in giro so che molto spesso vengono a fare sia potatura che raccolta famiglie intere dalla Polonia e dall’Ucraina (poi nei campi ci sono anche marocchini, algerini, pakistani, ghanesi), che vivono direttamente nei casolari di campagna dove lavorano. Addirittura alcuni so che partono dal sud, vengono al nord, poi tornano giù. Nel senso che iniziano la raccolta giù, poi raccolgono le pere qui e poi riscendono. […] La tendenza è quella [di un aumento dell’impiego di migranti e di un abbassamento dei salari]. Secondo me fanno un permesso turistico e qui lavorano totalmente in nero. Loro fan dei ritmi pesanti, giornate da 9-10 ore compresi sabato e domenica, non c’è mai stop. […] I punti di ritrovo dei lavoratori sono le moschee, le chiese evangeliche o pentecostali, poco altro se non i posti dove vengono a caricare le persone per portarle a lavorare. Sennò la gente va a lavorare molto in autobus e bicicletta. […] La raccolta inizia a maggio-giugno con le ciliege, nella zona di Vignola. Poi c’è luglio per susine, prugne e pere in tutta la zona di Modena e provincia. Ad agosto pere, Modena e tutta la bassa, più tutto il bolognese e il ferrarese. Settembre pere, e per chi le ha a novembre ci sono le mele. Col boom ad agosto, lì c’è la maggior parte della gente.
[…] In generale ci sono quattro tipologie: chi ti apre il nulla osta e ti mette giù tutte le giornate, che sarebbe la regola; chi ti apre il nulla osta e in un mese ti mette su cinque-otto giornate a seconda di come ti metti d’accordo, e il resto in nero; chi utilizza voucher (non so se mettendo giù tutte le ore o solo alcune); chi è totalmente in nero. La paga per chi è in nero capita di sentire anche 5 euro l’ora, o comunque il netto che ci sarebbe in regola te lo danno in nero. Non è che dici: “Lavoro in nero, mi danno 10 euro l’ora… Allora forse ci faccio anche un pensierino”. No, ti prendo in nero e ti do il netto che sono 7 euro, o appunto 5, per 9/9 ore e mezza nel periodo di massima raccolta. […] Tramite il frigo, dove c’è lo stockaggio e la conservazione della frutta per poi venderla ai vari mercati, vengono proposti spesso lavoratori, per lo più stranieri, che comunque dovrebbero essere in regola. […] A livello rivendicativo il punto centrale di fatto sarebbero i soldi e i contratti. Molte aziende non mettono giù tutte le giornate, ma tu con quelle hai accesso alla disoccupazione agricola (con circa 100 giornate in un anno). I ritmi di lavoro alla fine son quelli che devi fare, poi dipende da quante ore ti fanno fare e quanto nero c’è lì. […] I controlli di fatto non esistono, io non ne ho mai visti. Tu apri il nulla osta, che se ti succede qualcosa sei coperto, però poi magari ti mettono giù la metà dei giorni che hai fatto tanto nessuno controlla, e questo lo fa l’80% delle aziende. Si farebbe anche presto a controllare, basterebbe guardare le bolle di consegna dei camion, quanti quintali di consegna fanno e dividerlo per le giornate lavorative dichiarate. Ma non lo fanno mai.
[…] A livello di organizzazione c’è chi produce frutta e ha direttamente il frigo dentro la sua azienda, e quindi le conserve le vende direttamente ai mercati. C’è quello che si appoggia a un commerciante, che vende ai mercati. Oppure c’è una società cooperativa di tanti produttori che ha un frigo, e distribuisce ai supermercati, all’estero… Una cosa più in grande. Così avviene la distribuzione. […] C’era grande preoccupazione per il mercato russo quando ci sono state le sanzioni, ma adesso sembra che abbia riaperto. Per quanto riguarda il vino invece, per la produzione di uva, c’è grande preoccupazione per quanto riguarda il mercato inglese: l’80% della produzione di prosecco va lì… Con l’uva è un pò diverso dalla frutta perché si prendono delle quote, tu compri delle quote per piantare un vigneto. Sei socio della cantina (la tua produzione va tutta lì) che produce il vino e lo vende, poi paga i produttori in base al mercato. A livello di competizione ci sono molti paesi che producono a meno, in particolare dal Sud America.
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