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Pensieri e conflitti nelle contraddizioni materiali – Camminando insieme verso l’11 luglio

Un contributo dei SiCobas-Torino sulle mobilitazioni verso e dell’11 luglio.

 

Concettualizzare luoghi, istanze e rapporti di un sistema complesso capitalistico, contro cui si vuole combattere, può accendere e liberare passioni, energie e vitalità ampie e incisive del suo potenziale conflittuale intrinseco.

Da oltre un secolo, da quando il capitalismo ha cominciato a prendere forma come organizzazione sociale compiuta, con una sua base sociale, con il suo Stato , con le sue politiche, nel movimento operaio sono emerse due grandi linee di lotta, una riformista fondato sul miglioramento delle condizioni di vita all’interno del sistema capitalistico e l’altra rivoluzionaria atta a superare tale sistema.

Ambedue sono partite dalla teoria del “valore lavoro” : quella classista-rivoluzionaria ha guardato alla sfera della produzione (rapporti di produzione determinati dal rapporto capitale-lavoro), quella riformista ha guardato a quella della distribuzione nell’intendo di migliorarla a favore dei lavoratori .

Queste 2 principali visioni hanno trovato collegamenti nei processi e nei conflitti della nostra storia; conflitti di classe (classiste) quando la forza lavoro con le lotte si imponeva per migliorare le proprie condizioni economiche, “conflitti” sociali riformistici quando tali lotte rientravano nel quadro complessivo del sistema sociale capitalistico, quindi nello Stato “sociale” in quanto organizzazione complessiva. Conflitti che, a secondo la fase del ciclo capitalistico, hanno trovato diverso terreno sociale su cui svilupparsi.

 

Molti di noi ricordano gli anni ’70, quando dopo la forte spinta di classe degli operai che conquistarono migliori condizioni economiche , si aprì quel ciclo di riformismo sociale dai governi Andreotti-Berlinguer in cui lo scontro si incentrò tra le rivendicazioni salariali e quelle riformiste che negavano il salario, in cambio di riforme (scuola, sanità, casa, servizi …) e Stato sociale. Dagli anni ’80 inizia il crollo dei redditi da lavoro dipendente a vantaggio di altre classi, passando attraverso il riformismo sociale e il cosiddetto “stato sociale” che doveva distribuire salario indiretto tramite i “servizi sociali”ai lavoratori.

Infatti già prima della crisi del 2008 la quota di reddito nazionale che andava ai salari era diminuita di oltre 10 punti percentuali (200 miliardi di €) , quota andata a vantaggio di altre classi sociali, compreso la piccola borghesia (che oggi è sofferente).

 

Una gran massa di ricchezza che è traslata dai salari ad altra forme di reddito che con la crisi di questi ultimi anni, ha reso più critica la condizione di vita delle famiglie dei lavoratori, dove al peggioramento economico si è aggiunto una condizione di precarietà e ricatto, trascinando e deteriorando le condizioni di vita di ampi strati sociali.

Oggi le condizioni di fase sono assolutamente diverse dagli anni ’70, non possiamo prefigurarci la stessa realtà, dobbiamo saper riconoscere dove il nostro pensiero di conflitto può trovare energia e tendenza.

 

La nostra visione classista, quella di guardare in primis alla contraddizione tra capitale/lavoro, non ignora le contraddizioni complessive dell’essere sociale in questo sistema, bensì è quella di saper guardare l’origine dei processi da cui derivano le condizioni di riproduzione della vita materiale, quindi le sue contraddizioni, quindi l’origine e il quadro dei conflitti possibili.

Questa ottica può chiarirci la lettura dei processi neoliberisti sostanziati in “privatizzazioni, espropriazione dei beni comuni, riduzioni del welfare, grandi opere speculative, finanziarizzazione, ristrutturazioni, …. in cui TUTTO è posto in una serrata rivalorizzazione economica delle nostre vite, per alimentare la nuova fase di accumulazione di ricchezza atta a soddisfare quel profitto che oggi il capitale fatica a realizzare nella crisi del mercato globale.

 

I profitti si estraggono dal lavoro vivo (dallo sfruttamento), ma si realizzano nel mercato, nella circolazione e nella distribuzione sociale, in questo senso il processo capitalistico coinvolge da una parte i lavoratori sfruttandoli, dall’altra l’intera organizzazione sociale, sottomettendo tutte le attività umane a tale scopo. In questo senso sono i rapporti di produzione a determinare l’intera organizzazione economico-sociale.

In questo rapporto stà il lavoro dei salariati produttori materiali e intellettuali con la società, come altresì stà la lotta degli stessi contro lo sfruttamento con la lotta di tutti i soggetti sociali che subiscono tale assoggettamento alle regole dell’accumulazione e del profitto.

 

La crisi, la nuova fase di accumulazione, ha infranto la speranza di progresso in un graduale riformismo che potesse portare benessere duraturo per tutti, contro questo pessimismo sociale Renzi e i Governi Europei tentano di contrapporsi, raccogliendo la scettica speranza di quanti li hanno votati, una speranza che però andrà a sbattere con la realtà dei prossimi mesi.

Austerity non è proprio il termine appropriato di questa fase, essi (i capitalisti, i governi, …) vogliono che consumiamo e risparmiamo, acquistiamo casa e facciamo mutui, facciamo prestiti e compriamo computer, viaggi, elettrodomestici, automobili, libri, cure, mandiamo i figli a scuola, …., ma tagliano i salari, licenziano, sfrattano, pignorano.

 

Se vuoi lavorare devi accontentarti e ringraziare, se ti comporti bene ti rinnovo il contratto per altri 3 mesi, se scioperi ti licenzio, se ti iscrivi al Sicobas sei sobillatore e ti licenzio, se hai finito gli studi e fai uno stage è un favore, non chiedere soldi, se lavori troppo sei fortunato, se fai straordinari, meno male che c’è, se sei disoccupato aspetta, non chiedere sostegni che non ci sono soldi, se sei in cassa integrazione speri che la copertura cassa arrivi, se sei pensionato stai zitto sei super garantito, se sei studente studia e basta, avrai un futuro, se hai 50 anni sei troppo vecchio per lavorare, se sei giovane (non figlio di papà) sei troppo giovane a meno che non ti accontenti di quello che posso darti, se sei immigrato parla col caporale e per il contratto firma questo foglio in bianco e piega la schiena, non rischiare il permesso di soggiorno, se sei precario con contratto a tempo determinato di 3 mesi, aspetta forse tra 3 anni ti sarà rinnovato, intanto vediamo come ti comporti, …

 

Quindi più che austerity è sfruttamento, ricatto e precarietà, riduzione dei già bassi salari, …

E’ svalorizzazione del lavoro salariato, è svalorizzazione della vita di chi produce, è guerra di classe !

In questo senso il termine “Austerity” , non sintetizza l’attacco ai lavoratori, essa tende a dare l’idea di una politica generalizzata a tutta la società.

Se a essere sfruttato e a pagare è chi non possiede mezzi diversi dal proprio lavoro per vivere , diverso è per altri strati di classe, che invece vivono appropriandosi della ricchezza prodotta dal lavoro .

 

Spesso produciamo nel nostro immaginario conflittuale, simboli e icone che rappresentano una controparte, ma altrettanto spesso ci sfugge come questi simboli siano espressione e collegamento del nostro vivere.

Per questo è importante conoscere i meccanismi reali di riproduzione della nostra esistenza onde evitare di proiettarsi verso un simbolismo formale di spettacolarizzazione del conflitto che appaga il nostro immaginario..

Spesso parliamo di “finanziarizzazione”, di “capitale finanziario,” come se fossero la causa dei processi che viviamo e non l’effetto di un lungo processo di accumulazione capitalistico che ha trasformato e inglobato il capitale produttivo in capitale finanziario..

 

Tale capitale finanziario trova linfa nei processi produttivi di valore e plusvalore della produzione capitalistica mondiale di merci, inglobando sempre più le sue categorie economiche come profitti industriali e commerciali, rendite fondiarie e imposte.

Le speculazioni, i valori fittizi, il credito speculativo sono le forme con cui si tiene in vita il capitale finanziario, ma l’alimento resta sempre l’espropriazione di lavoro vivo umano sociale estorto nei processi produttivi, plusvalore, pluslavoro che prendono forma nelle rendite e nelle speculazioni finanziarie.

 

La “finanziarizzazione”, “il capitale finanziario”, trasformando tutte le somme di denaro in capitale, coinvolge ampi strati sociali che hanno potuto accumulare significative somme di denaro, trasformandoli in piccoli rentiers, creandosi cosi una significativa base sociale, ma è altrettanto vero che molti di essi, con le grandi azioni speculative nel lungo periodo lentamente vengono espropriate.

Queste considerazioni devono aiutarci a cogliere il nesso che c’è tra le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e le azioni del capitale speculativo finanziario, perché le vittime non sono gli imprenditori soffocati dal credito o investitori truffati, bensi milioni di proletari che con il proprio lavoro e con le proprie sofferenze, da sempre sono costretti ad alimentarlo.

Quel nesso che ci può far intravedere dove risiede la potenziale energia distruttiva di questo infernale e mostruoso meccanismo parassitario.

 

Molto da dire ci sarebbe sullo “stato sociale” molti lo considerano salario differito, altri come istituzione da difendere contro le politiche liberiste, sta di fatto che esso è comunque una parte di un estorsione forzosa di lavoro vivo, cioè di plusvalore-pluslavoro che va alle imposte. Che la difesa dello “stato sociale” debba essere un obiettivo delle lotte è questione da approfondire, ma comunque è da considerarla nell’ottica del ruolo dell’imposta nei rapporti di produzione sociali .

In queste stridenti contraddizioni sono entrate in lotta ampie “soggettività” sociali, da quelle della casa, ai movimenti contro l’espropriazione dei beni comuni, a quelle dei territori come in Campania, in Val Susa, in Sicilia, a Milano contro l’Expo, ai noF35 …

 

Solo in parte, nel conflitto, sono entrati i lavoratori, anche se quelli della logistica che hanno avuto una certa estensione, altri seppur con momenti di lotta intensa sono stati purtroppo sporadici e isolati.

Su queste problematiche ci dobbiamo misurare, l’11 luglio può essere un’altra occasione su cui fare passi avanti nel conflitto più generale e ampio.

 

In quest’ottica la tenda presidio di fine giugno a Torino è l’occasione per raccogliere la soggettività della precarietà e dello sfruttamento, per andare verso l’11 luglio più composti e decisi.

 

Sicobas Torino

http://sicobas.org

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