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Olimpiadi: un NO che pesa

 

La conferenza stampa con cui la Raggi ha annunciato pubblicamente il no alla candidatura alle olimpiadi del 2024 merita di essere presa sul serio.

I giornali di oggi si concentrano sul metodo della scelta: la regia opaca del direttorio pentastellato, la “scortesia” riservata a Malagò lasciato ad aspettare mezz’ora in sala d’aspetto (come ogni altro privato cittadino verrebbe da dire), lo streaming rifiutato, la chiusura sul referendum, per arrivare a chi a sinistra si spertica in ricostruzioni puntigliose per dimostrare un’incoerenza nelle dichiarazioni del sindaco.

Ci sembra che ci si concentri su questo aspetto perché nel merito le motivazioni presentate lasciano pochi spazi alla critica.

Nonostante il tentativo dell’ampio fronte pro-olimpiadi di circoscrivere la questione grandi eventi alla diatriba sul rischio corruzione, la Raggi ha espresso una critica al “modello di sviluppo” di cui le olimpiadi sono espressione. Speculazione edilizia, gigantismo infrastrutturale completamente sproporzionato rispetto alle necessità del territorio, lavoro gratuito e temporaneo, creazione di nuovo debito pubblico per l’amministrazione comunale. Mettendo al centro questi temi il bersaglio diventa immediatamente l’agenda urbana che ha orientato le politiche degli enti locali nell’ultimo trentennio, di cui Roma ha rappresentato il “modello”.

In ossequio all’ideologia neoliberista nel periodo che va dai mondiali di calcio del 1990 fino allo scoppio della crisi nel 2008 (che anticipa di un anno i mondiali di nuoto del 2009, momento di implosione di quella stagione a scala locale) le amministrazioni che si sono alternate al Campidoglio hanno inseguito la competitività internazionale attraverso la realizzazione di grandi opere e grandi eventi: se nella prima categoria rientrano tanto le grandi opere infrastrutturali come la metro c quanto le grandi opere architettoniche (la nuvola di Fuksas, l’ara pacis, la chiesa di Meier a tor tre teste, la vela di Calatrava) nella seconda rientrano tanto i due giubilei e i mondiali di calcio e di nuoto quanto le notti bianche e il festival del cinema.

Questo modello di sviluppo ha trasformato la città contribuendo a una concentrazione della ricchezza che può essere colta anche nelle dinamiche demografiche: la città consolidata ha perso abitanti a favore della così detta città anulare generando un fenomeno di sprawl senza uguali in Europa. Oggi l’80% dei romani abita in una fascia intorno al raccordo anulare distante in media una quindicina di chilometri dal centro storico, in zone di recente costruzione con bassissima densità insediativa, con pochi servizi, senza spazi pubblici e il cui collegamento con il centro è di fatto affidato al trasporto privato.

Ormai diversi studi evidenziano come questa divisione spaziale traduca una divisione degli abitanti romani per reddito, livello d’istruzione e accesso ai servizi. Su tale divisione il movimento 5 stelle romano ha fatto le sue fortune elettorali riuscendo ad ottenere un consenso bulgaro nelle così dette nuove periferie. È alla composizione di questi quartieri che parla esplicitamente la Raggi nella conferenza stampa di ieri quando dice che la priorità della sua amministrazione è dotare di servizi le periferie piuttosto che fare ancora regali al partito del mattone.

Questa ci sembra la prima novità degna di nota: dopo tre mesi passati in balia delle polemiche giornalistiche la Raggi esce dall’angolo parlando alle periferie ed entrando in rotta di collisione con gli interessi della classe dirigente cittadina e nazionale (mai così coesa come sulla partita delle olimpiadi) lo fa rigirando la leva del debito pubblico: se per il partito della nazione il debito degli enti locali impone tagli ai servizi, privatizzazioni e licenziamenti per il 5stelle diventa strumento per far saltare i piani speculativi del partito del mattone. A conferma che il debito pubblico lungi da essere questione meramente tecnico amministrativa è in realtà terreno di scontro tra interessi incompatibili.

In questa ottica risultano comprensibili i mal di pancia mal celati dei sinistri. A chi ha passato gli ultimi anni a convincere il proprio elettorato che non c’è alternativa al modello di sviluppo neoliberale, trovando nel debito degli enti locali la “scusa” per seguire ossequiosi i dettami del governo Renzi, il rifiuto della candidatura olimpica dimostra che, per chi ne ha il coraggio, è possibile opporsi alla devastazione dei territori, allo sperpero di risorse pubbliche, all’arricchimento dei palazzinari, il vero nodo è che tale opposizione è incompatibile con la partecipazione al banchetto degli enormi utili che questo modello di sviluppo ha garantito alla classe dirigente e alle lobby.

Questa vicenda parla della possibilità di affrontare il ricatto del debito alzando il costo sociale della città, mettendo in contrapposizione gli interessi dei suoi abitanti con quelli di chi governa il paese, piuttosto che formulare astratti piani di ri-contrattazione degli interessi con cassa depositi e prestiti o incartarsi su richieste di audit.

Per evitare ambiguità occorre dire che sul piano della proposta il 5 stelle dimostra ancora una volta tutte le sue tare: questa fantomatica città della scienza nella vela di calatrava parla il linguaggio dell’ideologia di un astratto sviluppo tecnico-scentifico da contrapporre alla speculazione, così come pare evidente la diffidenza nutrita dalla Raggi rispetto agli spazi di partecipazione di massa: si parlava di un annuncio pubblico in una piazza di periferia si è scelto ancora una volta di rimanere chiusi a palazzo senatorio. L’enfasi di questo articolo non deve dunque essere scambiato per entusiasmo pentastellato, le potenzialità che vediamo sono tutte relative alla contraddizione che si apre tra la rigidità grillina (non necessariamente su posizioni progressiste) e i piani della governance nazionale, ci dispiace per chi continua ad essere convinto che il ruolo dei movimenti debba essere fare la stampella alle varie amministrazioni (a Roma negli ultimi anni sono state ribaltate tutte le consuetudini politiche, l’unica che non conosce ripensamento è la tendenza di pezzi di movimento ad accreditarsi con l’amministrazione di turno) per noi il compito è inserirsi in questa contraddizione, perché nei nostri quartieri si inizi a pretendere di più, per passare all’attacco. Tra le macerie della città neoliberale, organizziamoci per riprenderci tutto.

Abbiamo accompagnato l’articolo con una foto che ritrae l’allenatore della palestra popolare del Quadraro che si allena nella Vela di Calatrava, vogliamo chiuderlo invitando tutti all’inaugurazione della Palestra popolare del Quarticciolo in via ostuni 4 sabato 24 settembre.

Progetto Degage Roma

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