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Obama: il presidente più razzista nella storia degli Stati Uniti

Dopo le grandi manifestazioni del 2006 Bush usò il pugno duro, incrementando le deportazioni e le forme di intimidazione verso i migranti attraverso il Department of Homeland Security. Inoltre presentò un pesante impianto di riforme che inaspriva le già severe norme presenti. Questo scatenò l’opposizione di una coalizione di forze: fondazioni, sindacati, organizzazioni per i diritti dei migranti ed il Partito Democratico, canalizzando verso quest’ultimo le energie espressesi nel 2006. I dati elettorali rispetto all’elezione di Obama sia nel 2008 che nel 2012 parlano chiaro al riguardo, con percentuali “bulgare” di voti per lui da parte delle comunità di immigrati. Tuttavia l’attuale presidente a partire dal 2009, seppur in sordina, darà piena continuità alle precedenti politiche addirittura irrigidendone alcuni tratti. Giusto per fare un esempio, non molto tempo fa sul New York Times il Magistrate Judge Bernardo P. Velasco della Federal District Court si vantava di un record: essere riuscito in soli 30 minuti ad emettere la sentenza rispetto all’espulsione o meno di ben 70 migranti [le persone sono 70 perché questa è la massima capienza delle celle della corte]. Ognuno degli accusati aveva 25 secondi per ascoltare le proprie accuse, rispondere ad esse e quindi ricevere la sentenza. Mentre Charles R. Pyle è conosciuto per essere il più lento: due ore e 35 minuti di media, ossia addirittura oltre i due minuti a persona (sic!). Qui sono passati a migliaia e migliaia negli ultimi anni, potendo ricevere condanne dai trenta giorni ai sei mesi di prigione per il reato di immigrazione clandestina. Che possono arrivare a vent’anni se un migrante con una grave condanna penale viene fermato negli Stati Uniti dopo essere già stato espulso una volta. Se in Italia c’è stato bisogno di mascherare gli attuali Cie presentandoli pubblicamente come strutture non detentive, qui invece è legge esplicita la condanna penale della migrazione senza permesso.

D’altro canto fu un’altra amministrazione Democratica, quella guidata da Clinton, ad inaugurare quello che viene definito dai critici come “immigration industrial complex”. Questa etichetta indica il sistema (che coinvolge trasversalmente i partiti politici) che è venuto strutturandosi attorno alla carcerazione e al respingimento dei migranti: l’industria delle prigioni private, le risorse militari impiegate, le compagnie impegnate nello sviluppo di tecnologie per la sorveglianza ecc… e tutti gli interessi politici ed economici di cui queste rappresentano l’aspetto più visibile (non all’“opinione pubblica” però). Le ragioni che sostengono questo sistema sono dunque di carattere legato a business privato, ma anche al guadagno politico di voti, che si gioca sull’abilità tra il mostrarsi duri sull’immigrazione ma con la capacità di mostrare la faccia buona e umana con le comunità immigrate.

Inoltre negli Stati Uniti, molto più che in Europa, il tema del cambiamento climatico è sempre più centrale e polarizzante nel dibattito pubblico. Dunque oltre ad i motivi sopra elencati va aggiunto che molti attivisti delle reti migranti, sostenuti da autorevoli scienziati, sostengono che la spiegazione decisiva di queste politiche anti-immigrazione sia in realtà da ricercarsi in questo: i cambiamenti climatici nel prossimo secolo investiranno soprattutto il Sud del mondo. Ciò espone al potenziale di migrazione oltre un miliardo di persone. E dunque i confini a Sud (che si tratti di Stati Uniti o Europa) vengono militarizzati in previsione di questo scenario. Una argomentazione assai insidiosa… Ovviamente a tutte queste osservazioni va aggiunta anche le dimensioni del razzismo, declinato sia nelle sue forme più becere, sia in quelle “classiche” (gli immigrati rubano il lavoro agli americani disoccupati), fino a quelle istituzionali e dell’“esercito di riserva di mano d’opera” di antica memoria.

Le organizzazioni in difesa dei diritti dei migranti hanno impiegato parecchi anni prima di “aprire gli occhi” su Obama. Ma adesso si sta diffondendo la sensazione che per mettere in discussione il lacerante e nefasto meccanismo della deportazione elemento strategico divenga la capacità di separazione dal Partito Democratico. Roberto Lovato, storico militante e co-fondatore dell’importante sito Presente.org, in una recente intervista al periodico The Indipendent ha affermato: “La grande tragedia per i diritti dei migranti non è solo l’ostilità dei Repubblicani contro gli immigrati, quanto il cinico calcolo che ha condotto il movimento per i diritti dei migranti ed il potere elettorale dei Latino ad essere appendici del Partito Democratico. Nel momento in cui abbiamo imboccato questa direzione abbiamo perso la nostra via”. Va detto che questa canalizzazione verso i Democratici è stata costruita anche attraverso i milioni che questi hanno speso a partire dai primi Duemila nel finanziare cooptandole varie organizzazioni legate ai diritti dei migranti.

Ad ogni modo la ricorrente frase usata nei movimenti “non potete fermare il vento gli fate solo perdere tempo” è assolutamente calzante per descrivere quello che pare un moto inarrestabile di movimento di persone che, dopo essere state per secoli espropriate di tutto, finanche del loro ambiente, cercano legittimamente ora di riappropriarsene anche attraverso lo spostamento verso gli Stati Uniti. Certo è che la violenza e brutalità con la quale si cerca di fermare questo vento sono una delle dimensioni più drammatiche degli Usa attuali.

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