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Dodici tesi su Wikileaks – di Geert Lovink e Patrice Riemens

Dopo aver dato un nostro contributo di decostruzione ed analisi dell’oggetto Wikileaks, pubblichiamo la traduzione di “Dodici tesi su Wikileaks” un testo di Geert Lovink e Patrice Riemens, apparso nella sua prima versione sulla mailing list “Nettime” nell’agosto di quest’anno ed ampliato a ridosso dell’esplosione del Cablegate. Crediamo sia una riflessione interessante  per allargare gli orizzonti del dibattito su quella che sembra essere una delle fratture più significative del panorama mediatico globale degli ultimi anni. Buona lettura!

 

Tesi 0

“Cosa penso di WikiLeaks? Penso che sarebbe una buona idea!” (ripreso dalla famosa battuta del Mahatma Gandhi sulla “Civiltà Occidentale”)

Tesi 1

Tesi 2

Nel bene o nel male, WikiLeaks si è lanciata nel regno della politica internazionale di alto livello. Di punto in bianco, WikiLeaks è divenuta un’attrice riconosciuta sia sulla scena mondiale che nelle sfere nazionali di alcuni paesi. Da piccola attrice qual’è, WikiLeaks, in virtù delle sue rivelazioni, sembra trovarsi alla pari con i governi o le grandi aziende (il suo prossimo bersaglio) – almeno sul piano della raccolta e della pubblicazione di informazioni. Allo stesso tempo, non è chiaro se ciò sia una caratteristica permanente od un fenomeno temporaneo, costruito dall’hype – WikiLeaks sembra credere alla prima opzione, e ciò sembra sempre più verosimile. Nonostante sia una misera attrice non statale e non aziendale, nella sua lotta contro il governo USA WikiLeaks non crede di affrontare un avversario al di fuori della sua portata – e sta iniziando a comportarsi di conseguenza. Si potrebbe definire questo il livello di “Talebanizzazione” della teoria postmoderna della “Terra Piatta “, in cui proporzioni, temporalità e luoghi sono dichiarati essere prevalentemente irrilevanti. Ciò che conta è la carica di celebrità e l’intensa accumulazione dell’attenzione mediatica. WikiLeaks riesce a catturare l’attenzione attraverso spettacolari hack informativi, laddove altri attori, specialmente gruppi della società civile e organizzazioni per i diritti umani, lottano disperatamente per far emergere il proprio messaggio. Mentre i secondi tendono a rispettare le regole ed a cercare legittimazione da parte delle istituzioni dominanti, la strategia di WikiLeaks è populista nella misura in cui fa leva sul disamoramento pubblico verso la politica mainstream. La legittimazione politica, per WikiLeaks, non è più qualcosa di graziosamente concesso dai poteri che sono. WikiLeaks bypassa questa struttura di potere del Vecchio Mondo e piuttosto va all’origine della legittimazione della politica nell’info-società odierna: l’estatica banalità dello spettacolo. WikiLeaks mette brillantemente in uso la “velocità di fuga” dell’IT, utilizzando l’IT per lasciarsi l’IT alle spalle ed irrompere prepotentemente nel regno della politica reale.

Tesi 3

Nella saga in corso chiamata “Il Declino dell’Impero USA”, WikiLeaks fa il suo ingresso sul palco come l’assassino di un bersaglio facile. Sarebbe difficile immaginarla capace di infliggere danni considerevoli ai governi russo e cinese, o persino a quello di Singapore – per non parlare dei loro affiliati “aziendali”. In Russia o in China operano enormi barriere culturali e linguistiche, per non parlare di quelle puramente afferenti al potere, che avrebbero bisogno di essere scavalcate. Di questo sono fattori anche costituzioni ampiamente differenti, persino se parlassimo delle più ristrette (e presuntamente più globali) culture e pianificazioni di hacker, info-attivisti e giornalisti investigativi. In quel senso, WikiLeaks nella sua incarnazione presente rimane un prodotto tipicamente “occidentale” e non può pretendere di essere un’impresa veramente universale o globale.

Tesi 4

Una delle difficoltà principali nello spiegare WikiLeaks viene dal fatto che non sia chiaro (nemmeno per gli stessi membri di WikiLeaks) se essa si consideri ed operi come un content provider o come un semplice condotto di dati trafugati (l’impressione è che si consideri entrambe le cose o come una delle due a seconda del contesto e delle circostanze). Questo, tuttavia, è stato un problema comune da quando i media si sono trasferiti online in massa e da quando le comunicazioni sono diventate un servizio piuttosto che un prodotto. Julian Assange rabbrividisce ogni volta che viene raffigurato come caporedattore di WikiLeaks; eppure WikiLeaks afferma di editare il materiale prima di pubblicarlo ed afferma di verificare l’autenticità dei documenti con l’aiuto di centinaia di analisti volontari. Dibattiti “contenuto vs. canale di trasmissione” di questo tipo sono andati avanti per decenni tra i mediattivisti, senza alcun risultato chiaro. Invece di provare a risolvere questa inconsistenza, sarebbe meglio cercare nuovi approcci e sviluppare nuovi concetti critici per ciò che è diventata una pratica di pubblicazione ibrida che coinvolge attori molto al di là del campo tradizionale dei mezzi di informazione professionali. Questo potrebbe essere il motivo per cui Assange ed i suoi collaboratori si rifiutano di essere etichettati nei termini delle “vecchie categorie” (giornalisti, hacker, ecc.) ed affermano di rappresentare una nuova Gestalt sul palcoscenico mondiale dell’informazione.

Tesi 5

Il progressivo declino del giornalismo investigativo causato dalla diminuzione dei finanziamenti è un fatto innegabile. In questi tempi, il giornalismo corrisponde a poco più che un remixaggio appaltato di PR. La continua accelerazione ed il sovraffollamento della cosiddetta economia dell’attenzione assicura che non ci sia più spazio per le storie complicate. I padroni aziendali dei media di circolazione di massa sono sempre più disinclinati a vedere discussi in dettaglio i funzionamenti e le politiche dell’economia globale neoliberista. Lo spostamento dall’informazione all’infotainment è stato abbracciato dai giornalisti stessi, rendendo difficile la pubblicazione di storie complesse. Wikileaks fa il suo ingresso in questo stato di cose come un outsider, avvolto dalla fumosa atmosfera del “citizen journalism”, del reportage fai da te delle notizie nella blogosfera e persino nei media sociali più rapidi come Twitter. Ciò che Wikileaks anticipa, ma finora non è stata capace di organizzare, è il “crowdsourcing” dell’interpretazione dei suoi documenti trafugati. Quel compito, stranamente, viene lasciato ai pochi giornalisti rimasti nell’organico dei mezzi di informazione selezionati e “di qualità”. In un secondo momento, gli accademici raccolgono i frammenti ed interpretano le vicende dietro alle porte chiuse dei gruppi di pubblicazione. Ma dov’è il commentariato critico in rete? Certo siamo tutti indaffarati con le nostre piccole opere di critica; ma rimane il fatto che Wikileaks genera la propria capacità di suscitare irritazione ai piani alti delle città precisamente a causa della relazione trasversale e simbiotica che intrattiene con le istituzioni mediali dell’establishment. C’è una lezione qui per le moltitudini – uscite dal ghetto e connettetevi con l’altro Edipico. E’ in quello che sta il terreno conflittuale del politico.

Il giornalismo investigativo tradizionale consisteva di tre fasi; dissotterrare i fatti, sottoporli a verifica e contestualizzarli in un discorso comprensibile. WikiLeaks fa la prima cosa, sostiene di fare la seconda, ma omette completamente la terza. Questo è sintomatico di una particolare tipologia dell’ideologia dell’open access, in cui la stessa produzione di contenuti viene esternalizzata ad entità sconosciute “là fuori”. La crisi nel giornalismo investigativo non viene né compresa né riconosciuta. Il modo in cui le entità produttive debbano sostenersi materialmente cade nel vuoto: si presume semplicemente che l’analisi e l’interpretazione vengano intraprese dai mezzi di informazione tradizionali. Ma ciò non accade automaticamente. La saga degli Afghan War Logs e del Cablegate dimostrano che WikiLeaks deve avvicinare e negoziare con media tradizionali ben affermati per garantirsi credibilità sufficiente. Allo stesso tempo, questi outlet mediali si dimostrano incapaci di processare il materiale integralmente, filtrando inevitabilmente i documenti in base alle loro specifiche politiche editoriali.

Tesi 6

WikiLeaks è una tipica SPO (Single Person Organization, o “UPO”: Unique Personality Organization). Ciò significa che la presa di iniziativa, il decision-making e la sua esecuzione sia largamente concentrata nelle mani di un singolo individuo. Come per le piccole e medie imprese, il fondatore non può essere esautorato a mezzo voto e, a differenza di molti collettivi, la leadership non ruota. Il che non è una caratteristica insolita all’interno delle organizzazioni, a prescindere dal loro operare nell’ambito della politica, della cultura o del settore della “società civile”. Le SPO sono riconoscibili, eccitanti, esaltanti e facili da rappresentare nei media. La loro sostenibilità, tuttavia, è largamente dipendente dalle azioni del loro leader carismatico, ed il loro funzionamento è difficile da riconciliare con i valori democratici. Anche per questo sono difficili da replicare e non si ingrandiscono con facilità. L’hacker sovrano Julian Assange è il leader apparente di WikiLeaks, la notorietà dell’organizzazione e la sua reputazione si fondono con quelle di Assange. Ciò che WikiLeaks fa e rappresenta diviene difficile da distinguere dalla piuttosto agitata vita privata di Assange e dalle sue abbastanza grezze opinioni politiche.

Tesi 7

WikiLeaks solleva la questione di cosa gli hacker abbiano in comune con i servizi segreti, dato che un’affinità elettiva tra i due è inconfondibile. La relazione di amore-odio risale ai primordi del computing. Non occorre essere fan del teorico tedesco dei media Friedrich Kittler o, per quanto importa, dei teorici del complotto per riconoscere che il computer sia nato dal complesso militare-industriale. Dalla decifrazione da parte di Alan Turing del codice nazista Enigma fino al ruolo giocato dai primi computer nell’invenzione della bomba atomica, dal movimento della cibernetica fino al coinvolgimento del Pentagono nella creazione di internet – l’articolazione tra l’informazione computazionale ed il complesso militare-industriale è ben consolidata. Informatici e programmatori hanno plasmato la rivoluzione dell’informazione e la cultura dell’openness; ma allo stesso tempo hanno sviluppato la crittografia (“crypto”), chiudendo l’accesso ai dati ai non-iniziati. Ciò che alcuni vedono come “citizen journalism” viene chiamato da altri “info war”.

WikiLeaks è anche un’organizzazione profondamente plasmata dalla cultura hacker degli anni ’80, combinata con i valori politici del tecno-libertarismo emerso negli anni ’90. Il fatto che Wikileaks sia stata fondata – ed in gran parte ancora diretta – da smanettoni irriducibili è essenziale per comprendere i suoi valori e le sue mosse. Sfortunatamente, a ciò si accompagna una buona dose degli aspetti meno allettanti della cultura hacker. Non che non si possa negare a Wikileaks l’idealismo, il desiderio di contribuire a rendere il mondo un posto migliore: al contrario. Ma questo genere di idealismo (o, se preferite, anarchia) si accoppia ad una predilezione per i complotti, un’attitudine elitista ed un culto della segretezza (per non parlare della condiscendenza). Ciò non è propedeutico alla collaborazione con persone e gruppi similmente orientati, i quali sono relegati ad essere semplici consumatori dell’output di Wikileaks. Lo zelo missionario di illuminare le masse imbecilli e di “svelare” le bugie del governo dell’esercito e delle aziende ricorda il risaputo (o famigerato) paradigma mediatico-culturale degli anni ’50.

Tesi 8

La mancanza di punti in comune con i congeniali movimenti dell’”un’altro mondo è possibile” spinge WikiLeaks a cercare l’attenzione pubblica attraverso rivelazioni sempre più spettacolari e rischiose, radunando perciò una “constituency” di supporter spesso selvaggiamente entusiasti ma generalmente passivi. Assange stesso ha dichiarato che WikiLeaks ha deliberatamente lasciato l’“egocentrica” blogosfera ed i media sociali assortiti ed attualmente collabora solo con giornalisti professionisti ed attivisti per i diritti umani. Eppure seguire la natura e la quantità delle rivelazioni di WikiLeaks dal suo inizio fino al presente ricorda in maniera inquietante l’osservazione di uno spettacolo di fuochi d’artificio, il che include un “gran finale” nella forma del dispositivo apocalittico dormiente del documento dell’”insurance” (“.aes256”). Ciò solleva seri dubbi sulla sostenibilità a lungo termine della stessa WikiLeaks, e possibilmente anche del modello WikiLeaks. WikiLeaks opera con uno staff estremamente limitato – probabilmente il cuore della sua operatività non è formato da più di una dozzina di persone. Mentre l’ampiezza ed il discernimento del supporto tecnico di WikiLeaks è provato dalla sua stessa esistenza, lo sbandierare da parte di WikiLeaks diverse centinaia di analisti volontari ed esperti non è verificabile e, per essere franchi, è a malapena credibile. Questo è chiaramente il tallone d’Achille di WikiLeaks, non solo dal punto di vista del rischio e/o della sostenibilità, ma anche politicamente – il che è ciò che ci interessa in questa sede.

Tesi 9

WikiLeaks mostra una sorprendente mancanza di trasparenza nella propria organizzazione interna. La sua scusa che “WikiLeaks ha bisogno di essere completamente opaca per costringere altri ad essere totalmente trasparenti” equivale, secondo la nostra opinione, a poco più dei famosi fumetti Spy vs. Spy della rivista Mad. Sconfiggi sì la controparte, ma in un modo che ti rende indistinguibile da essa. Rivendicarsi in seguito una superiorità morale non aiuta – anche Tony Blair è stato un maestro di quest’esercizio. Non essendo WikiLeaks né un collettivo politico né una ONG nel senso legale del termine, e nemmeno, quanto a ciò, una società o una parte di movimento sociale, abbiamo bisogno di discutere che tipo di organizzazione si tratti e con chi abbiamo a che fare. WikiLeaks è un progetto virtuale? Dopo tutto, esiste come sito internet (ospitato) con un nome di dominio, e questo è quanto. Ma possiede un obiettivo oltre all’ambizione personale del suo fondatore, o dei suoi fondatori? WikiLeaks si può riprodurre? Vedremo la nascita di sezioni nazionali o locali che ne mantengano il nome? Quali regole del gioco osserveranno? Dovremmo piuttosto considerarla come un concetto che viaggia da contesto a contesto e che, come un meme, trasforma sé stesso nel tempo e nello spazio?

Tesi 10

Forse WikiLeaks si organizzerà sulla base della sua propria versione dello slogan dell’Internet Engineering Task Forces “rough consensus and running code”? Progetti come Wikipedia ed Indymedia hanno entrambi risolto questa problematica a modo loro, ma non senza crisi, conflitti e scissioni. Una critica come quella qui portata non ha l’obiettivo di costringere WikiLeaks in un formato tradizionale; al contrario, è per sondare se WikiLeaks (ed i suoi futuri cloni, soci, avatar e parentele congeniali) possa rappresentare un modello per nuove forme di organizzazione e collaborazione. Il termine “rete organizzata” è stato coniato come possibile definizione di questi formati. Un altro termine è stato quello di “media tattico”. Altri ancora hanno utilizzato il termine generico di “internet activism”. Forse WikiLeaks ha altre idee sulla direzione che vuole prendere. Ma dove? Sta a WikiLeaks decidere per sé stessa. Finora, tuttavia, abbiamo visto poche prese di posizione in merito, lasciando che fossero altri a sollevare domande, ad esempio riguardo alla legalità degli accordi finanziari di WikiLeaks (Wall Street Journal).

Non possiamo sottrarci alla sfida della sperimentazione con le reti post-figurative. Come ha scritto il blogger Dave Winer riguardo agli sviluppatori di Apple, “essi non sono malintenzionati, sono semplicemente scarsamente preparati. Ancora più che i loro utenti, essi vivono in un Campo di Distorsione della Realtà, e le persone che fanno il Computer Per il Resto di Noi non hanno nessuna idea di chi il resto di noi sia e di ciò che stia facendo. Ma questo va bene, c’è una soluzione. Fare ricerca, porre alcune domande, ed ascoltare.”

Tesi 11

La critica ampiamente diffusa all’auto-inflitto culto della celebrità di Julian Assange invita a formulare alternative. Non sarebbe meglio dirigere Wikileaks come un collettivo anonimo od una “rete organizzata”? Alcuni hanno espresso il desiderio di vedere molti siti fare altrettanto. Si sa già che il gruppo di Daniel Domscheit-Berg, il quale si è dissociato da Assange a settembre, è già al lavoro su un clone di Wikileaks. Ciò che si sottovaluta in questa chiamata alla proliferazione di Wikileaks è il grado di conoscenze specialistiche necessarie per dirigere con successo un sito di soffiate. Dov’è la cassetta degli attrezzi di Wikileaks? C’è, forse paradossalmente, molta segretezza all’opera in questa modalità di rivelare le cose. Scaricare semplicemente un kit software Wikileaks e partire non è un’opzione realistica. WikiLeaks non è un’applicazione blog plug and play come WordPress, e la parola “Wiki” nel suo nome è realmente fuorviante, come Jimmy Wales di Wikipedia si è sforzato di evidenziare. Contraria alla filosofia di collaborazione di Wikipedia, Wikileaks è un negozio chiuso, diretto con l’ausilio di un numero sconosciuto di volontari senza volto. Si è costretti a riconoscere che il know-how necessario per gestire una struttura come Wikileaks è piuttosto arcano. Non solo i documenti devono essere ricevuti anonimamente, ma anche essere ulteriormente anonimizzati prima che siano rilasciati online. Necessitano inoltre di essere “editati” prima di essere recapitati ai server delle organizzazioni internazionali dell’informazione e delle fidate, influenti “pubblicazioni ufficiali”.

Wikileaks ha costruito un patrimonio di fiducia e confidenzialità nel corso degli anni. I nuovi arrivati dovranno percorrere lo stesso, e temporalmente oneroso, processo. Il principio di Wikileaks non è di “hackerare” (le reti degli stati o delle aziende), ma di agevolare gli insider di queste grandi organizzazioni in un’opera di copia di dati sensibili e confidenziali, ed inoltrarli nel dominio pubblico – rimanendo anonimi allo stesso tempo. Se aspirate a divenire un nodo di leaks fareste meglio ad impratichirvi di processi come OPSEC alias operations security, un piano passo dopo passo che “identifica informazioni critiche per determinare se azioni alleate possano essere osservate dai sistemi di intelligence avversari, determinare se l’informazione ottenuta dagli avversari possa essere valutata a loro utile e quindi eseguire misure scelte che eliminino o riducano lo sfruttamento da parte degli avversari delle informazioni critiche degli alleati” (Wikipedia).
Lo slogan di Wikileaks recita: “il coraggio è contagioso”. Secondo gli esperti, chi volesse avviare un’operazione in stile Wikileaks avrebbe bisogno di nervi d’acciaio. Così, prima di invocare una, dieci, molte Wikileaks, chiariamo che le parti coinvolte corrono rischi. La protezione degli informatori è prioritaria. Un’altra problematica è la protezione delle persone citate nei leaks. Gli Afghan Warlogs hanno mostrato che le fughe di notizie possono anche causare “danni collaterali”. L’editing (e l’elisione) è cruciale. Non solo OPSEC, anche OP-ETICA. Se la pubblicazione non viene effettuata in una modalità che sia assolutamente sicura per tutte le persone interessate, c’è il rischio che la “rivoluzione nel giornalismo” – e nella politica – scatenata da WikiLeaks venga bloccata di colpo.

Tesi 12

Non riteniamo che prendere posizione pro o contro WikiLeaks sia ora la cosa più importante. WikiLeaks continuerà ad esistere finché non naufragherà da sé, o finché non verrà distrutta da forze opposte. Il nostro scopo è piuttosto quello di (provare a) valutare ed accertare ciò che WikiLeaks può, potrebbe – e forse persino dovrebbe – fare, e di aiutare a formulare come “noi” possiamo relazionarci ed interagire con WikiLeaks. Nonostante tutti i suoi inconvenienti, e contro tutte le previsioni, WikiLeaks ha reso un contributo notevole alla causa della trasparenza, della democrazia e dell’openness. Come direbbero i francesi, se una cosa del genere non fosse esistita, avrebbe dovuto essere inventata. La svolta quantitativa – che sembra presto destinata a diventare qualitativa – dell’information overload è un aspetto della vita contemporanea. Ci si può solo aspettare che l’eccesso di informazione rivelabile continui a crescere – ed esponenzialmente. Organizzare ed interpretare questo Himalaya di dati è una sfida collettiva che chiaramente ci aspetta, che lo si voglia chiamare “WikiLeaks” o con qualsiasi altro nome.

Tradotto da InfoFreeFlow crew

 

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