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Cinque crisi e un funerale

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Cinque facce della crisi isitituzionale e il requiem del Partito Democratico.

1. crisi sul cambiamento di classe politica.
È (stato) un (non) governo del cambiamento. Senza parentesi, anzi. Chi ha paura di dirlo? Il 4 marzo ha rappresentato un terremoto nel quadro politico. Lo ha fattivamente cambiato. La riproduzione di una classe politica è entrata in crisi interrompendo la continuità di un assetto di governabilità. “Governo del cambiamento”, “Terza Repubblica”, “la Storia”… i protagonisti di questa vicenda si servono di iperboli narrative per marcare una discontinuità che si misura nei fatti: quelli del PD sono disintegrati, Berlusconi è intrappolato nel Loro film. Sono maldestri questi candidati alla successione? Poco male, se ne sono sentite di cotte e di crude in questi anni. Possibili scenari tecnici e future elezioni non promettono nulla di buono per le forze di garanzia istituzionale: nelle altezze del quadro politico un cambiamento c’è. Bye bye PD. Il cinismo e lo scherno sono gli ultimi stracci rimasti dei vestiti nuovi dell’imperatore: il Re è nudo e non sa di che coprirsi!

2. crisi di riformabilità.
Nella mossa di Mattarella c’è la presunzione/percezione che Lega e Cinque Stelle rappresentino sul lungo periodo un fattore di instabilità o, per dirla con le parole giuste, di sfiducia per gli investitori: è il segnale della fragilità di un comando politico che non ammette margini di riforma né sopporta le pure scarse pretese delle sue stessa democrazia rappresentativa. Anche solo il ricambio nella sua classe politica, quello che vede il Movimento Cinque Stelle primo partito e Lega secondo, minaccia una continuità di interessi. Secondo questo metro di fatto solo il Partito Democratico non rappresenta un problema e sono proprie le forze di questo polo ad aver maggiormente alimentato la rappresentazione di uno scontro tra ordinamento legittimo della nazione e il minaccioso blocco populista. Non sta scritto da nessuna parte che lo sviluppo dei processi politici secondo grammatiche neonazionaliste sarà da intestare solo a quest’ultimo polo. Il dispositivo della Nazione ancora una volta descrive prima di tutto un dentro e un fuori.

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3. crisi dell’ordinamento repubblicano.
Gli azzeccagarbugli che si arrovellano su questo o quell’articolo della Carta per valutare l’operato di Mattarella rimuovono un dato fondamentale: ogni dettato costituzionale mira a preservare il suo ordinamento. A ogni costo. Se c’è una scelta di Mattarella è quella di conservare degli equilibri di comando anche favorendo una controllata metamorfosi istituzionale. In barba a tutti i polititologi che dal 1994 si sono scapicollati a invocare una nuova repubblica dal premierato forte gli equilibri istituzionali non sono mai stati così smaccatamente presidenzialisti. Sette anni dopo torna il déejà-vu di un governo tecnico imposto dal Colle come fu l’esecutivo Monti nel 2011. Cinque anni dopo torna il déejà-vu della rapina del Colle. Come quel Napolitano che nell’aprile 2013 salvò le istituzioni e per senso delle istituzioni diede il bis pur di scongiurare la candidatura pentastellata al Quirinale. Scandaloso che il Capo dello Stato imprima il proprio indirizzo alla vita politica del paese? Serve a evitare altri problemi di ordine superiore. “Anche all’epoca, con la Grecia di Tsipras, ci furono problemi, e poi ci siamo accordati”, ha detto Angela Merkel commentando la situazione italiana. Chi conta di più nella scala gerarchica?

4. crisi del simbolismo democratico
Va presa sul serio questa domanda. Facciamo per un attimo astrazione da Salvini e Di Maio. L’unica maggioranza di governo possibile, espressione delle due principali forze politiche licenziate dalle urne, è stata sabotata perché invisa all’Europa e agli investitori stranieri. Questo il senso della storia. Resta una fiducia tradita e una credibilità del gioco democratico fortemente compromessa per quanti su quel terreno avevano riposto speranze – ancora – di cambiamento. Il nodo del reddito in un paese che sta esaurendo per estinzione dei creditori le riserve dei risparmi familiari, la possibilità di lavorare meno con la revisione della Fornero… sono quesiti inevasi e che ritorneranno in forme ancora più aliene alle sensibilità dei garanti della governabilità di quelle ora rimandate a settembre (o a luglio, a seconda della data delle nuove consultazioni). Ma nell’immediato c’è da fare i conti con il fatto che quel simulacro di democrazia di cui se ne percepisce il tradimento oggi non sfugge a questa alternativa: o con il diktat finanziario o contro. Non c’è nessuna terza via, e se la posizione di chi sta con Mattarella per non stare con i populisti, i fascisti e altri mostri consimili segue la profezia del commissario Oettinger sulle virtù educative e ri-educative dei mercati sull’elettorato, la dimensione del contro non è scritta e resta ancora spuria e da esplorare anche se oscura e ignota. Una cosa è certa comunque: i progetti pentastellati di rigenerazione delle istituzioni corrotte si schiantano sul gran rifiuto di Mattarella.

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5. la crisi del nemico in politica
Una provocazione e una specificazione. Con grande orrore di tutti gli alchimisti che a sinistra hanno provato a scimmiottare la via greca. Salvini e Di Maio, quelli del blocco populista, sono stati dalle nostre parti la cosa fin’ora più simile a Tsipras. Scherniti e messi alla berlina dalla stampa, messi in guardia e bocciati dalle istituzioni. Tutto un gioco politico di cui in ultimo beneficeranno alle prossime elezioni? Probabile, “se torniamo a elezioni per il veto a Savona, quelli prendono l’80 per cento” avrebbe detto d’Alema in un fuori onda di questi giorni. Verosimile. Ma – e siamo alla specificazione – il punto è che è stato preventivamente riservato loro lo stesso ostracismo che ha colpito il leader ellenico non per martirizzarli né tanto meno perché rappresentano un’effettiva minaccia antisistema. Sia il Cinque Stelle che la Lega sono distanti dall’essere forze antisistema. Quel babbione di Mieli che su Rai Due riprende Di Battista con tono minaccioso e paternalista domandando se “rispetta il presidente Mattarella?” non ha potuto che incontrare un garbato sì. Bravo ragazzo.

Salvini lo sa con tutta probabilità, Grillo ne ha il presentimento: per sostenere il ruolo del nemico di questi assetti sistemici occorrerebbe una… rivoluzione. Ma non è affar loro. Si accontentano dell’opposizione. Allora perché lo stop al governo Conte? È negli sviluppi dei fenomeni sociali che hanno ora scelto come propri interpreti il tandem Cinque Stelle-Lega che si annida una minaccia per la stabilità istituzionale. Un popolo che non è il nostro perché parla la lingua oggi degli attori della commedia su cui Mattarella prova a calare il sipario, ma in cui certamente si trova la nostra gente. Non c’è bisogno di portarle, le loro bandiere. Ma aver voglia di conoscere chi le espone è il presupposto necessario perché nuovi valori guidati da un istinto di liberazione possano essere scoperti e guadagnati assieme.

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Possibilità di decidere, la politica, possibilità di vivere a condizioni più umane e non a quelle imposte dall’indice spread, la libertà. Nessuno lo dice. Questa è una società nemica ma senza nemici. È il gioco democratico autosabotato che non sopporta antagonisti e antagonismi. Neanche potenziali. L’aspetto drammatico è che ogni istanza politica di potere e decisionalità oggi rappresenta una potenziale minaccia per il punto di vista della democrazia confusa con la difesa delle istituzioni. L’aspetto drammatico per noi è che di queste istanze non ne conosciamo i linguaggi o ne confondiamo i simboli con i significati, impauriti da complotti e fascisti immaginari ingaggiamo battaglie con mulini a vento pur di non metterci a cercare da dove invece il vento spira. Ma qui sta la posta in palio.

 

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