InfoAut
Immagine di copertina per il post

La tragedia delle Filippine ha anche un altro nome: deforestazione

 

La Conferenza delle parti (Cop 19) dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc), che prende il via oggi a Varsavia, non poteva farlo con un monito peggiore: il supertifone Haiyan /Yolanda, che ha distrutto almeno 10.000 vite e raso al suolo città e villaggi nelle Filippine e che ora minaccia Laos, Vietnam e Cina. Sembra la palingenesi della globalizzazione: la natura mutante che colpisce ad oltre 300 Km all’ora i luoghi dove la fabbrica-mondo cerca le braccia più a basso costo, attirandole in fabbriche lager e in baraccopoli costruite su colline sdrucciolevoli di fango.

Si tratta probabilmente del tifone più distruttivo della storia e della seconda più grande catastrofe climatica dopo i diluvi già dimenticati che negli anni passati hanno fatto strage nella valle dell’Indo in Pakistan; un monito alle migliaia di rappresentanti dei Paesi dell’Onu che a Varsavia rimanderanno ancora una volta l’irrimandabile, mentre la gente muore nel fango delle Filippine e nella siccità del Sahel e della Somalia o fugge dal mare che sale in Bangladesh e nelle isole del Pacifico.

Probabilmente non sapremo mai quanti esseri umani sono stati presi da Haiyan /Yolanda. Il presidente delle Filippine Benigno Aquino aveva promesso che le vittime sarebbero state pochissime grazie ad un piano di emergenza che non ha funzionato, annegato insieme ai poveri cristi nei suburbi delle città arrampicati sulle colline disboscate dall’urbanizzazione selvaggia o nei villaggi dell’interno dimenticati da Dio e dagli uomini, cancellati da un tifone che ci parla crudelmente del global warming e ci conferma, mentre noi aspettavamo impauriti che un pezzo di satellite iperetecnologico ci cascasse sulla testa o che Venere – una tempesta che nei Tropici sarebbe robetta – colpisse la nostra penisola, che le profezie della cassandre, degli scienziati e degli ambientalisti, sono terribilmente reali: i cambiamenti climatici colpiranno per primi i più poveri e vulnerabili e poi, a cascata, il resto del mondo, con profughi climatici, disperazione di vite senza più casa e risorse, ricerca di lavoro e di una briciola di benessere.

Ma la tragedia delle Filippine ha anche un altro nome: deforestazione. Secondo il Forest Management Bureau, la copertura forestale nelle Filippine è scesa del 70%, dai 21 milioni di ettari del 1900 ai circa 6,5 milioni di ettari nel  2007, soprattutto a causa del disboscamento intensivo e della successiva conversione all’agricoltura. Una perdita che ha portato a tassi estremamente elevati di erosione del suolo e ed ha probabilmente contribuito ad aumentare il numero di catastrofi legate alle alluvioni, che ogni anno uccidono centinaia di persone nelle Filippine.  Con la rimozione della copertura arborea e di altra vegetazione, soprattutto nelle zone montane e collinari, aumenta il rischio frane e peggiora le inondazioni, aumentando la velocità di deflusso delle acque, come abbiamo visto nelle terribili immagini che ci arrivano dalle Filippine. Uno studio del 2007 pubblicato si Global Change Biology ha trovato che un aumento del 10% della deforestazione comporta un aumento del 4 – 28% della frequenza delle piene.

Le Filippine, mentre ammucchiano i cadaveri sfigurati lungo le strade, non sanno quale sarà il loro futuro, ma sanno di essere al centro di un circolo crudele dove ormai, tra terremoti, alluvioni e tifoni, tutto quel che viene costruito con una bulimica conversione al consumismo viene distrutto per riportare indietro quel Paese alla povertà di sempre. Sanno di essere uno dei punti nevralgici di un mondo che cambia rapidamente e di un clima sempre più impazzito.

Il presidente Aquino che permetteva perdite zero, forse credendo di essere nella Cuba sotto embargo ma capace di pianificare dopo grandi tragedie, si trova ora a raccogliere un Paese piegato che non ha ancora capito quanto grande è la tragedia e quanto sarà immensamente costosa la ricostruzione. Speriamo che questo lutto immenso, questo cimitero di fango e macerie, serva almeno a ripensare le scelte di un Paese che vuole costruire centrali nucleari in uno dei territori più sismici ed idrogeologicamente instabili del mondo, e che ha in corso dispute territoriali con la Cina e i Paesi vicini per isolette che il tifone ha sommerso con le sue onde, ma che nascondono nei loro fondali quegli idrocarburi che hanno innescato il global warming e che con le loro emissioni di gas serra danno cibo a mostri  climatici come Haiyan /Yolanda.

In un editoriale il Manila Standard Today, scrive:  «Le Filippine, un arcipelago, sorgono in una parte del mondo pericolosa.  Siamo particolarmente vulnerabili come popolo in quanto i nostri leader non hanno ancora imparato l’arte di fare buon uso dei fondi del governo. Sappiamo bene che il nostro Paese non è messo bene per le tempeste atmosferiche e tanto meno per recuperare immediatamente dai danni che provocano. Tempi come questi ci ricordano che le politiche personali, le  lotte intestine e le denigrazioni sono banali e infantili rispetto alla distruzione diffusa e all’arduo compito di riabilitazione che deve affrontare il nostro popolo colpito. I filippini sono già resistenti nello spirito, ma solo una governance sincera e genuina, attraverso la prevenzione e infrastrutture materiali più forti, possono renderci meno impotenti contro le forze della natura».

Ha ragione John Vidal  quando sul  Guardian se la prende con i Paesi sviluppati che continuano a ritardare un accordo sul clima giuridicamente vincolante per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra, ma vedremo se, oltre la pietà e la corsa agli aiuti, il tifone spazzerà via nelle sale dell’Unfccc di Varsavia l’ipocrisia di chi piange i morti filippini considerandoli in cuor suo un inevitabile effetto collaterale della globalizzazione capitalista.

Va detto che la delegazione filippina da anni sta esponendo alle varie Cop Unfccc i tragici resoconti di prima mano degli effetti del cambiamento climatico e il capo della delegazione di Manila, Naderev Sano, durante la Cop18 di Doha del 2013 diventò famoso per il suo appassionato appello alla comunità internazionale perché agisse per arrivare ad un accordo che dia benefici già alla prossima generazione. Ora Sano è a Varsavia e si chiede disperato che fine abbiano fatto i suoi parenti che vivono nella martoriata provincia di Leyte.

 

Fonte: greenreport.it

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

deforestazioneglobalizzazione

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Il gruppo rap nordirlandese Kneecap è indagato dall’antiterrorismo inglese per il sostegno alla Palestina

In Irlanda del Nord i Kneecap, gruppo rap di Belfast, sono indagati dall’antiterrorismo britannico per il loro sostegno alla Palestina. Tutto è iniziato quando il trio hip-hop nordirlandese si è esibito sul palco del Coachella, festival annuale seguitissimo negli Stati Uniti. “Israel is committing genocide against the Palestinian people… It is being enabled by the […]

Immagine di copertina per il post
Culture

György Lukács, un’eresia ortodossa / 4 – Il partito e la dialettica marxiana

Il terzo paragrafo del breve saggio è dedicato alla questione del partito e alla sua funzione direttiva nel processo rivoluzionario, qui Lukács offre la più chiara e nitida esposizione della teoria leniniana del partito che il movimento comunista abbia mai elaborato. di Emilio Quadrelli, da Carmilla Ma proprio detta esposizione sarà oggetto di non poche […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Tonino Miccichè, crucifissu cumu a Cristu!

Senza il libro di Filippo Falcone, Morte di un militante siciliano (1999) probabilmente si sarebbe persa quasi del tutto la memoria. Con la necessità di ricordare viene orgganizzato il festival “Memoria e Utopia per Tonino Miccichè” a Pietraperzia, il 9, 10 e 11 maggio. di Angelo Maddalena, da La bottega del Barbieri Rocco D’Anna poco […]

Immagine di copertina per il post
Culture

“Carcere ai Ribell3”: Mamme in piazza per la libertà di dissenso

Presentiamo il libro “Carcere ai ribell3”, scritto dalle donne del gruppo Mamme in piazza per la libertà di dissenso. Con una delle “mamme” ripercorriamo alcune storie di compagn* e attivitst* che hanno incontrato il carcere nel loro percorso di lotta; raccontiamo delle pratiche di solidarietà portate avanti dalle “mamme” in sostegno dei/delle figli/e e delle […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Decolonizzare la scienza

Dalle spedizioni dell’Ottocento al divario nella geografia dei centri di ricerca, c’è ancora un problema di colonialismo?

Immagine di copertina per il post
Culture

Dagli inferi di Manchester agli inferi della banlieue

Un estratto da Cronache marsigliesi. Scorci di guerra civile in Francia di Emilio Quadrelli (MachinaLibro, 2025)

Immagine di copertina per il post
Culture

La rivoluzione come una bella avventura / 5: S-Contro, storia di un collettivo antagonista

Sergio Gambino, Luca Perrone, S-Contro, Un collettivo antagonista nella Torino degli anni Ottanta, con i contributi di Salvatore Cumino e Alberto Campo, DeriveApprodi, Bologna 2024 di Sandro Moiso, da Carmilla «Noi sentivamo di avere una collocazione forte! Io nell’84, quando abbiamo cominciato, avevo vent’anni, eravamo giovani, ma ci sentivamo di avere un grande compito e anche […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Immaginare il comunismo, oggi.

Phil A. Neel, Nick Chavez, La foresta e la fabbrica. Contributi ad una fantascienza del comunismo, Porfido Edizioni, Torino 2025. di Sandro Moiso, da Carmilla Continua con la presente pubblicazione l’opera meritoria delle Edizioni Porfido di traduzione, pubblicazione e proposta all’attenzione del pubblico italiano delle riflessioni condotte sulla rivista online «Endnotes», di cui in passato ci […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane

Siamo lietə di annunciarvi l’uscita di “Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane”, un nuovo elemento della collana “Quaderni della Complicità Globale” realizzata in collaborazione con il progetto editoriale Kairos – moti contemporanei. da Nodo Solidale Nel volume abbiamo raccolto delle interviste, completamente inedite, dedicate all’educazione all’interno dei processi di organizzazione dal basso e  […]

Immagine di copertina per il post
Culture

E facciamo sto viaggio insieme!

Militanza Grafica e InfoAut insieme con una serie di vignette e grafiche per una contro-informazione di movimento. Uniamo le forze per colorare, per disegnare e per creare un nuovo mondo insieme. Una volta al mese troverete, una linea di vignette create ad hoc per il network di contro informazione storico italiano InfoAut. Unire la creatività […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La lunga frattura – Un contributo al dibattito su guerra e riarmo

In questi mesi la storia corre veloce, in poco tempo alcuni dei capisaldi su cui si è retto l’ordine mondiale definitivamente consolidatosi dopo il crollo del muro di Berlino stanno vivendo profonde tensioni e ristrutturazioni.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Cosa è andato storto nel capitalismo?

Questa è una brutta notizia per Sharma, forte sostenitore del capitalismo. Cosa è andato storto?

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La diffusione del dengue, l’agroindustria e il cambiamento climatico

Le cause dell’epidemia di dengue sono molteplici, conosciute e anche poco affrontate: cambiamento climatico, deforestazione, uso di pesticidi, impatto sui predatori delle zanzare e mancanza di pianificazione territoriale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Dove siamo? Tra disordine e responsabilità – Parte 1

Continua irresistibile il degradarsi dell’ordine globale antecedente e si manifestano attori, burattini e teatranti della tempesta che viene. Non abbiamo ancora visto niente, ma è la storia che si è rimessa in moto e questa è gravida di possibilità, nei brevi termini non per forza di buone notizie. Alcune riflessioni per puntate in vista dell’anno che viene.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La deforestazione dell’Amazzonia: una bomba a orologeria per nuove pandemie

Sede della più grande biodiversità del pianeta, l’Amazzonia è anche una bomba a orologeria per la comparsa o la ricomparsa di malattie dal potenziale pandemico.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Amazzonia: la periferia della periferia

L’Amazzonia è una sorta di enorme territorio di sacrificio.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La deforestazione minaccia la Terra Indigena del popolo Juma

La Terra Indigena dei sopravvissuti del popolo Juma – perseguitati e quasi estinti a causa delle ondate di massacri durante il periodo coloniale e nei conflitti agrari – è circondata da pascoli, incendi, deforestazione, accaparramento delle terre e caccia illegale.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

La lotta delle donne Dayak per proteggere le foreste nel Kalimantan centrale

La storia di un gruppo di donne nel Kalimantan chiamato “Hurung Hapakat”, che significa “Lavorare insieme”. Collettivamente, e scontrandosi contro una seria repressione, hanno recuperato alcune terre dalle piantagioni di palma da olio per rivendicare anche la loro sovranità alimentare, dignità e saggezza.
E non sono le sole.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Disboscamento clandestino: guerra palese a sud di Città del Messico

Negli ultimi tre anni, la popolazione del sud di Città del Messico ha reso nota la grave situazione del disboscamento clandestino, che finora ha devastato quasi 3.000 ettari della foresta di San Miguel Topilejo.