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Dagli inferi di Manchester agli inferi della banlieue

Un estratto da Cronache marsigliesi. Scorci di guerra civile in Francia di Emilio Quadrelli (MachinaLibro, 2025)

da Machina

Esce domani, 14 marzo, per MachinaLibro, Cronache marsigliesi. Scorci di guerra civile in Francia, testo che raccolgono una serie di articoli scritto dal compianto Emilio Quadrelli sulla città francese. Descrivendo la contraddittoria realtà delle banlieue, i conflitti dei soggetti razzializzati, il ruolo delle donne nelle lotte contro sessismo e patriarcato e nell’organizzazione politica dei collettivi territoriali, il libro fa emergere come Marsiglia incarni il laboratorio avanzato del modello capitalista contemporaneo.

Pubblichiamo oggi un estratto dalla postfazione di Atanasio Bugliari Goggia.

***

Sta nel mitra lucidato! Ciao Emilio!

(scritta per Emilio Quadrelli – con il simbolo della falce e martello – apparsa a Genova all’indomani della sua morte, citazione da Ma chi ha detto che non c’è di Gianfranco Manfredi)

Ho incontrato Emilio per l’ultima volta otto giorni prima della sua morte. Nonostante le sue condizioni fossero disperate, conservavo un ottimismo inossidabile sulle sue possibilità di sopravvivere agli eventi, un po’ perché non volevo cedere alla realtà – seppure, una lettura tutta materialista di ogni passaggio singolo e collettivo fosse tra gli insegnamenti essenziali di Emilio –, un po’ perché chi fin da giovanissimo ha agito al motto di «non un passo indietro» finisce per apparire immortale agli occhi di colui che dalle sue gesta ha appreso fino in fondo il senso dell’essere un «compagno». Nei giorni successivi ho ripensato a lungo a quell’ultima visita, e mi è tornata prepotentemente alla mente l’immagine con cui Simone de Beauvoir descriveva il commiato da Frantz Fanon ammalato di leucemia: «Quando stringevo la sua mano febbricitante, mi pareva di toccare la passione che lo bruciava. Ci comunicava il suo fuoco». Quella chiacchierata e l’estremo abbraccio con Emilio mi hanno trasmesso le medesime sensazioni. La travolgente passione politica e sociale di Emilio era interamente tesa negli ultimi anni nello sforzo di ridefinire i contorni del laboratorio politico della classe contemporanea allo scopo di decifrare il rompicapo della ricomposizione di classe al tempo della tendenza alla guerra inter- imperialista, una lucida volontà di cogliere i contorni di quella «geografia della fame» che lo aveva portato, tra le altre cose, proprio a una riattualizzazione del Fanon ostico, politico e militante de I dannati della terra e degli Scritti politici, depurato da quelle interpretazioni addomesticate proprie di una certa critica apparentata con la retorica postmoderna della fine delle ideologie sul piano culturale e della fine delle classi sul piano economico. Ed è proprio sulla nuova composizione di classe, sulla relazione tra linea del colore e «lavoro (lavoratore) senza fissa dimora» e su quella tra coscienza di classe del proletariato e necessità dell’organizzazione politica di lunga durata che si soffermano in primo luogo le Cronache marsigliesi. […]

Le Cronache marsigliesi, infatti, oltre che bozza indispensabile per future inchieste militanti sullo stato di salute del proletariato occidentale e sui «piani» del capitale, delineano il punto di approdo di un lungo percorso che ha visto Emilio confrontarsi a più riprese con il tema delle periferie francesi. Nel 2007 usciva Militanti politici di base. Banlieuesards e politica [1], una breve ricerca etnografica incentrata sulle rivolte parigine (e francesi) dell’autunno 2005, delle quali Emilio era stato quantomeno spettatore. Per chi, come il sottoscritto, da qualche anno era preso dallo scoramento per il pessimo stato di salute del movimento italiano, scorgendone le cause in primo luogo nell’abbandono, in sue ampie fette, di una visione solidamente di classe dei rapporti economici e sociali, a favore di improbabili visioni centrate su moltitudini e lavoro immateriale, si trattava di un lavoro che sul piano militante assumeva i tratti di una vera e propria rivoluzione copernicana. La classe operaia esisteva, bastava scendere negli inferi della produzione e cercarla con «un certo sguardo». Proprio facendo interagire questo e altri lavori di Emilio [2] con le Cronache, proverò a far emergere un paio di sue intuizioni, tra le tante possibili, sul tema banlieue. Il tutto sulla scia di una considerazione preliminare: la ricerca parigina del 2006 si rivela come una «storia del futuro», poiché Emilio coglie in nuce alcuni passaggi essenziali della dialettica tra capitale e «classe canaglia» che di lì a qualche anno si sarebbero materializzati in tutta la loro scelleratezza in termini di disciplinamento, esclusione, marginalizzazione e scivolamento in basso della nostra classe; le Cronache, invece, sintetizzano una «storia del presente», poiché le contraddizioni del capitalismo e il «posizionamento della classe» colti in anticipo da Emilio, sono oggi, al tempo della crisi – ciclica o irreversibile – e della tendenza alla guerra, diventati realtà in ogni angolo d’Occidente. In tal senso, con le Cronache Emilio opera un passaggio ulteriore: oltre a delineare i tratti del nuovo proletariato metropolitano, dunque la composizione di classe non nella sua astrattezza sociologica bensì nella sua concretezza politica, tenta di tracciare i contorni di una possibile progettualità politica per i subalterni, poiché «la fame di politica delle masse» necessita con urgenza di forme di organizzazione e autorganizzazione in grado di costruire visione del mondo ed esercizio della forza, capaci cioè di cogliere e stare al passo con il tempo storico. Una capacità di analisi e previsione che non deriva da un dono divino, bensì dall’aderenza di Emilio a quell’insegnamento leniniano che obbliga a restare costantemente sul filo del tempo, interpretando il mondo nuovo e, con esso, la soggettività di classe che si va delineando. Restando, in questa prospettiva, costantemente ancorata al metodo operaista, una pratica di inchiesta militante che Emilio ha tentato senza sosta di ricollocare all’interno di un contesto nuovo, per cogliere fino in fondo il «gemito degli oppressi» dentro le banlieue, assunte a paradigma di una condizione economica, sociale ed esistenziale in grado di raccontare vita e destini delle masse subalterne di tutto l’Occidente. Del resto, la celebre frase di Mao «solo chi fa inchiesta ha diritto di parola», che Emilio amava ripetere in continuazione, era la cifra della sua sfera politica ed esistenziale, nonché imprescindibile bussola intellettuale.

[…]

È importante richiamare l’affinità di Emilio con mondi illegali quale determinante che gli ha consentito di cogliere le trasformazioni del mondo del lavoro e dunque il qui e ora della classe: al tempo della crisi globale diventa infatti normalità per il proletariato metropolitano oscillare tra lavori saltuari, precari e flessibili di basso profilo e le continue incursioni nell’ambito delle economie illegali. Non si tratta di un’anomalia, bensì del modello attraverso il quale il capitale governa la forza-lavoro. Emilio, inoltre, è stato il solo studioso capace di consegnarci una cartografia delle émeutes del 2005 ponendola in connessione stretta con le attività dei circuiti criminali, evidenziando come la pace sociale abbia regnato in città e quartieri dove la criminalità organizzata godeva di un potere non proprio secondario. Nelle Cronache ha messo in rilievo come, almeno per Marsiglia, fosse saltato quel controllo e ricatto – «per nulla dissimile da quello che il padrone esercita nei confronti dei lavoratori precari» – che le organizzazioni criminali erano in grado di esercitare nei confronti della popolazione dei quartieri. Come anticipato, in Militanti politici di base legge le rivolte del 2005 come una storia del futuro, facendo emergere in primo luogo, sorretto dalle testimonianze di abitanti e/o militanti delle banlieue parigine, la politicità che fa da sfondo alla vita di quella fetta enorme di classe operaia; evidenziando, in sostanza, come gli e le abitanti di quei territori si rivoltassero contro il modello di governo sociale e l’organizzazione del lavoro. La ricerca parigina metteva in scena l’idea che l’emergere di nuove condizioni di lavoro nelle banlieue avesse rappresentato un tentativo da parte del capitale di testare sul terreno un modello basato su forme di lavoro del tutto precarie e prive di tutela e su modalità estreme di controllo sociale. Un paradigma che si voleva in quel momento imporre a livello globale. Le banlieue non esemplificano dunque la racaille, il lumpenproletariat, bensì la summa delle contraddizioni del modello di produzione contemporaneo, prefigurandone e anticipandone le conseguenze per quote non secondarie di popolazione. Emilio faceva così tabula rasa di ogni culturalismo, mettendo in luce come categorie analitiche che si pretendeva consegnate al passato rappresentassero invece il frame concettuale e analitico per cogliere i tratti della contemporaneità, l’involucro ideologico attraverso cui provare a interpretare un conflitto tutto materiale. Lo scorrere degli anni sembra avergli dato ragione, e in tal senso sovente ripeteva che «i fatti hanno la testa dura». Questi primi lavori sulle banlieue – che Emilio fa costantemente interagire con stadi di lotta del passato: dall’autonomia operaia alla lotta di liberazione algerina, dalla Rivoluzione russa a quella cinese – si confrontano con le trasformazioni del sistema capitalista e con i sommovimenti che fanno da sfondo alle vite proletarie. A partire da un dato preciso: nell’epoca del liberismo restano centrali la produzione delle merci materiali e la quantità di plusvalore che da queste è possibile trarre. Le rivolte delle banlieue, lungi dall’esemplificare un atto disperato figlio del degrado e del malessere sociale, racchiudono il germe più puro della coscienza di classe. Le Cronache marsigliesi, frutto di un soggiorno di un mese nella città del mistral, sono state scritte tra l’inizio di aprile e la metà di luglio del 2023, nel pieno delle proteste francesi contro la proposta di legge sul prolungamento dell’età lavorativa, sfiorando, nella parte conclusiva, le émeutes del 2023. Attraverso «storie di vita» e interviste in profondità, Emilio ha preso in esame due realtà: il Collectif Boxe Marseilles, impegnato sul fronte sportivo nonché nel lavoro sindacale e politico nel Coordinamento dei collettivi dei quartieri Nord, e il Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille.

La prima parte si compone quasi esclusivamente di stralci di intervista, minima è l’interazione dell’autore, sulla scia dell’ipotesi che sia fondamentale la restituzione empirica degli attori sociali oltre che l’essere loro gli autori del testo, secondo il principio per cui «il fenomeno è sempre più ricco della legge». Nelle due ultime parti il lavoro si confronta anche con le rivolte che hanno scosso la Francia a seguito dell’esecuzione a Nanterre del giovane Nahel per mano poliziesca, soffermandosi nuovamente sulla composizione di classe, sul profilo sociale di questa novella classe operaia di periferia, stretta nella morsa dei nuovi paradigmi di produzione capitalistica che contraddistinguono la contemporaneità e di processi di disciplinamento e controllo sociale parzialmente riadattati per arginare i risvolti sociali di una crisi economica senza scampo e consegnare al contempo una forza lavoro ammaestrata alle esigenze proprie dell’epoca della crisi. Marsiglia, in tal senso, incarna il laboratorio avanzato del modello capitalista contemporaneo. Se Emilio nella sua riflessione sulle banlieue ha provato, in maniera sicuramente originale – sorretto dalla cassetta degli attrezzi fornita dall’operaismo italiano e dal pensiero leninista, nonché dal metodo dell’inchiesta militante (e, a tratti, dalla storia orale sull’esempio di Revelli, Bermani e Portelli) – a delineare l’attuale «piano del capitale», nelle Cronache si è focalizzato maggiormente, come detto, sulla soggettività della classe, nel tentativo di delineare le possibilità dell’organizzazione politica di questo «lavoratore senza fissa dimora»: «dal partito di Mirafiori al partito della banlieue», o meglio, dal partito storico al partito formale. Un passaggio teorico non più rimandabile in un contesto di proletarizzazione delle masse e di tendenza alla guerra inter-imperialista diretta a rimettere in moto il ciclo di accumulazione capitalista. La guerra come strumento che, attraverso una immane distruzione di capitale costante e capitale variabile, consente al capitalismo di rinascere e rifiorire. La premura di Emilio nel voler tentare di indicare possibili scenari di lotta e organizzazione della classe – tema costante della sua produzione sulle banlieue, assunte in tal senso a paradigma di una condizione sociale ed esistenziale non ascrivibile al solo mondo francese – è particolarmente accentuata nei suoi ultimi lavori, e in tal senso le Cronache vanno accompagnate dalla lettura di L’altro bolscevismo e Le problème n’est pas la chute mais l’atterrissage [3] che aiutano a chiarire come il punto di vista della classe, in questa fase storica, sia molto più avanzato dell’organizzazione della stessa, anche in virtù del fatto che dall’orizzonte contemporaneo paiono scomparire non solo la memoria delle lotte e la divisione in classi della società ma anche la legittimità stessa delle masse senza volto e dei loro repertori d’azione. L’ideologia dominante pare aver cancellato l’idea stessa del conflitto come mezzo legittimo di mutamento sociale, riconducendo tutto al tema classico delle classi pericolose, paradigma del potere che trasforma le vittime in colpevoli. Il testo qui presentato è particolarmente prezioso poiché a parlare sono quei e quelle militanti di base che tentano costantemente di organizzare il proletariato di banlieue. Si tratta, più in generale, di quei gruppi organizzati che si impegnano senza sosta a plasmare la coscienza politica di quei petits protagonisti delle rivolte, che, mentre si adoperano per raggiungere l’unità politica, organizzativa e programmatica, cercano di portare dalla propria parte émeutiers e potenziali émeutiers, coinvolgendoli in una militanza politica a tutto tondo. Poiché, occorre sempre ricordarlo, in banlieue vive il nuovo proletariato, «il frutto più avanzato del modello capitalista, non certo un residuo del passato». Si tratta di un processo di coscientizzazione dei giovani delle periferie, dell’«istruzione» all’azione collettiva, del passaggio di consegne della memoria delle lotte, processi indispensabili per trasformare la rabbia dei petits – la coscienza di classe – in coscienza politica, così che l’impegno di lunga durata si affianchi alle rivolte. Per inquadrare possibili percorsi di organizzazione e lotta di questo proletariato, occorre in primo luogo emanciparlo da tutte quelle retoriche culturaliste e ordini discorsivi che su di esso si sono abbattuti. In tal senso, le Cronache si rivelano preziose perché a prendere parola sono militanti appartenenti a quella classe continuamente in bilico tra precariato, disoccupazione, semilegalità e illegalità tout court, che caratterizza sempre più il ciclo di accumulazione capitalista contemporaneo. Una massa operaia e proletaria del tutto estranea alle relazioni industriali novecentesche, la cui condizione per molti versi assume tratti e caratteristiche addirittura ottocentesche. Una massa senza volto delle periferie che ha poco a che spartire con tutto ciò che risiede all’esterno di questi territori o, meglio, di questa appartenenza di classe: i movimenti «bianchi» di città, i partiti politici di sinistra ed estrema sinistra che da sempre agiscono a colpi di divisione e cooptazione, un certo associazionismo di banlieue con finalità di controllo della classe sociale, i settori di classe garantiti che hanno lottato contro la riforma delle pensioni, l’esperienza dei gilet jaunes, «grande movimento di popolo ma non di classe». Una nuova composizione di classe che, sulla scia dell’insegnamento leniniano, occorre organizzare attorno a una idea-forza sulla quale costruire una nuova ipotesi di potere. Il punto di vista operaio, ci dice Emilio, deve tornare a essere la bussola per elaborare una tattica organizzativa. Dalla classe al partito, e non l’opposto. Dagli inferi della fabbrica e non dal cielo delle idee. Si tratta della necessità dell’egemonia della frazione più avanzata del proletariato che, attraverso la sua linea di condotta, «impone nella prassi i tempi e i ritmi dello scontro di classe». In tal senso, la banlieue diventa il laboratorio politico della classe contemporanea: «l’oggettiva condizione di esclusione e marginalità delle popolazioni che abitano il contesto delle banlieues, ossia delle zone periferiche delle metropoli globali, prefigura il destino di gran parte delle classi sociali subalterne contemporanee, rappresentando quindi la storia del nostro presente. In altre parole, la banlieue è l’esatta cristallizzazione della condizione proletaria attuale, una condizione frutto di quelle pratiche di governance coloniale che rappresentano il progetto strategico per eccellenza dell’attuale comando capitalistico. In tale ottica, allora, le banlieues sono le nostre officine Putilov» [4].

[…]

Note

[1] E. Quadrelli, Militanti politici di base. Banlieuesards e politica, in M.Callari Galli, a cura di, Mappe urbane. Per un’etnografia della città, Guaraldi, Rimini 2007.

[2] Mi riferisco in particolare a: Algeria 1962-2012: una storia del presente. Dalla guerra di liberazione alla «guerra asimmetrica», La casa Usher, Firenze 2012.

Si vedano inoltre: Black, blanc, beur. Lotta e resistenza nelle periferie globali, «Infoxoa», n. 020, Roma 2006 e Burn baby burn. Guerra e politica dei banlieuesards, «Wobbly», n. 10, Genova 2006.

[3] E. Quadrelli, L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, DeriveApprodi, Bologna 2024 e Id., Le problème n’est pas la chute mais l’atterrissage. Lotte e organizzazione dei dannati di Marsiglia, «Carmilla online», 1-4 (26 marzo 2023-22

aprile 2023).

[4] E. Quadrelli, L’altro bolscevismo, cit., p. 188.

***

Atanasio Bugliari Goggia si occupa di temi relativi al mutamento sociale metropolitano, con particolare attenzione alle dinamiche di opposizione organizzata e alle tecniche di controllo sociale all’interno dei contesti urbani. È autore di Rosso banlieue. Etnografia della nuova composizione di classe nelle periferie francesi (2022) e La santa canaglia. Etnografia dei militanti politici di banlieue (2023), entrambi editi da ombre corte.

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