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La rabbia popolare sfiducia il Governo provvisorio

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Il 3 giugno 1917 viene inaugurata l’apertura del primo congresso dei soviet dei deputati operai e soldati di Russia, al quale partecipa la totalità delle forze rivoluzionarie con una considerevole minoranza di bolscevichi (solo 105 delegati su oltre 1000), fortemente osteggiati dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi, ma forti del potere ottenuto grazie al sostegno popolare delle settimane precedenti.

Nei giorni successivi Lenin prende parola più volte per contrastare il predominio del blocco piccolo-borghese, intervenendo sul problema non risolto della guerra e, in particolar modo, sull’atteggiamento da tenere nei confronti del Governo provvisorio.

Suscita molto clamore la dichiarazione per la quale Lenin conferma che il Partito bolscevico è pronto, in qualunque momento, a prendere il potere a capo delle masse rivoluzionarie.

“Il passaggio del potere al proletariato , appoggiato dai contadini poveri, significa passare alla lotta rivoluzionaria per la pace con i modi più sicuri e più indolori che l’umanità conosca, significa passare a una situazione in cui saranno assicurati il potere e la vittoria degli operai rivoluzionari, in Russia e in tutto il mondo”.

Il congresso dei Soviet però, proibisce la manifestazione pacifica indetta dai bolscevichi per il 10 giugno, che aveva lo scopo di far conoscere al congresso la volontà degli operai e dei soldati di Pietrogrado, che esigevano il passaggio di potere nelle mani dei Soviet. I leader della borghesia sfruttano l’occasione per trasformare l’assemblea in un processo ai bolscevichi, accusandoli di voler strumentalizzare il malcontento delle masse per destabilizzare il Governo provvisorio e prendere il potere; in questi attimi di concitazione però, il menscevico Cereteli ammette che è pronto un piano di menscevichi e socialisti rivoluzionari per consegnare tutto il potere alla borghesia controrivoluzionaria, che si prepara ad attuare una dittatura militare.

Il fermento degli operai è comunque troppo evidente per vietare qualunque tipo di manifestazione popolare, e così il congresso decide di fissare la manifestazione per il 18 giugno, in modo da offrire uno sbocco all’ira delle masse e cercare di imporre delle parole d’ordine conciliatrici.

La mattina del 18 però, le speranze concertatrici di quanti si auguravano il definitivo assopimento del sussulto rivoluzionario vengono stroncate una volta per tutte: scendono in piazza più di 500.000 persone tra operai e soldati nella sola Pietrogrado, mentre le manifestazioni si diffondono a macchia d’olio nell’intero paese. La giornata di protesta si trasforma in un atto di sfiducia nei confronti del Governo provvisorio, le strade sono invase dalla bandiere rosse e dai cartelli con scritte rivoluzionarie, e la stragrande maggioranza dei manifestanti scandisce gli slogan dei Bolscevichi, mentre i piccoli portatori della “fiducia” si affrettano ad allontanarsi.

Uno degli striscioni più imponenti del corteo (nella foto) riporta frasi più che eloquenti: “Basta coi 10 Ministri Capitalisti/Tutto il potere ai Deputati del Soviet dei Lavoratori, Soldati e Contadini/ E ai Ministri Socialisti/ [Chiediamo che Nicola II Sia Trasferito Alla Fotrezza di Pietro e Paolo”

Il Governo è ormai allo sbando e le uniche risposte concrete che riesce a dare consistono nella prosecuzione intensiva delle azioni di guerra e la costituzione di un Consiglio economico per far fronte alla crisi incipiente. Così, mentre vengono imposte severe regolamentazioni sul consumo del pane e il ministro del lavoro Skolebev fa appello agli operai invitandoli a non commettere “atti arbitrari”, il Comitato centrale del Partito bolscevico prende tempo per studiare l’azione di lotta definitiva.

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