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I 61 licenziati alla Fiat Mirafiori

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Il 9 ottobre del 1979 la FIAT, dopo aver avvertito in anticipo PCI e sindacati delle sue intenzioni, decise di spedire a 61 operai una lettera di sospensione dal lavoro con la motivazione di aver tenuto un “comportamento non rispondente ai principi della diligenza, della correttezza e della buona fede”, tale da aver procurato un grave danno morale e materiale all’azienda per “comportamenti non consoni ai principi della civile convivenza nei luoghi di lavoro”.

Erano compresi lavoratori della Fiat Mirafiori, Rivalta e della Lancia di Chivasso, mentre nello stesso momento altre lettere giunsero ad operai dell’Alfa di Arese e della Magneti Marelli di Milano. Alcuni di loro, arrestati con l’accusa di appartenenza alle Brigate Rosse, si dichiararono prigionieri politici.

Immediatamente dopo l’arrivo della notizia scoppiarono scioperi spontanei in tutti i reparti, alcuni guidati dagli operai appena colpiti dall’editto padronale. La FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici, il sindacato unitario CGIL-CISL-UIL) dichiarò tre ore di sciopero per mercoledì 1° novembre, ma la mattina prima dello sciopero diffuse un volantino contro il terrorismo.

Le assemblee che precedettero lo sciopero vennero egemonizzate e strumentalizzate dai sindacalisti, che tentarono in ogni modo di concentrare l’attenzione sulla violenza in fabbrica, arrivando ad affermare che la FIAT avrebbe avuto delle “prove” contro i licenziati.

Il giorno dello sciopero però, le istanze concertatrici si fecero insignificanti di fronte alla partecipazione degli operai, che nell’assemblea del 1° turno di Rivalta (con oltre 2000 tute blu) decisero all’unanimità di continuare lo sciopero oltre le tre ore sindacali e con la presenza dei licenziati in fabbrica. La lotta continuò con cortei e “spazzolate” interne. Immediatamente la FLM ed i suoi delegati sabotarono la lotta, cercando di isolare i 61 lavoratori licenziati. Anche in altri stabilimenti si prolungò lo sciopero e proseguirono i cortei interni per molti giorni a seguire, nel totale disinteresse del sindacato; alcuni giorni dopo Lama dichiarò che la CGIL avrebbe aspettato di conoscere le prove di Agnelli, perché “il sindacato difenderà solo gli operai accusati ingiustamente”.

L’FLM impose poi ai lavoratori la firma di un documento come condizione per la difesa da parte del collegio sindacale nel ricorso alle lettere di sospensione:

«Atteso che il sottoscritto dichiara di accettare i valori fondamentali ai quali il sindacato ispira la propria azione ed in particolare di condividere la condanna senza sfumature non solo del terrorismo ma anche di ogni pratica di sopraffazione e di intimidazione, per la buona ragione che non appartengono alla scelta di valori, alle convinzioni, al patrimonio di lotta del sindacato stesso, consolidati da una lunga pratica di varie forme di lotta e di difesa del diritto di sciopero, così come risulta dal documento conclusivo del Coordinamento nazionale Fiat approvato all’unanimità a Torino l’11.10.1979 dai membri del Coordinamento stesso, delega a rappresentarlo nel presente giudizio, nonché nella procedura ordinaria, in ogni fase e grado, compreso quello esecutivo,…»

Dieci dei 61 imputati firmarono, ma accusarono duramente il “ricatto politico inaccettabile da parte del Sindacato”.

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