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A Lenin non piaceva Frank Zappa

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Dopo anni di disinteresse, i gruppi si sono lanciati sul terreno della «cultura», all’inizio un po’ caoticamente, a tentoni, in strettissimo contatto con la «propaganda politica», ora in modo un po’ più ampio e organico, tanto che sembra ormai possibile delineare una concezione della cultura militante, o meglio la risposta a una domanda di questo genere: qual è la cultura del perfetto militante? I gruppi hanno una ricetta pronta. Eccola:

 

Il perfetto militante al cinema DEVE VEDERE Un uomo da bruciare (dei fratelli Taviani), La terra trema di Visconti (possibilmente in edizione originale siciliana), Ladri di biciclette (di De Sica), Sciuscià (di Rossellini), La corazzata Potiemkim (di Eisenstein). In genere tutto il cinema prima degli anni sessanta. Il film deve essere pieno di personaggi popolari, con abiti stracciati e occhi buoni, pieni di volontà e di speranza, deve far parte d’una tradizione ineccepibile del movimento operaio, possibilmente deve avere un finale positivo. Il perfetto militante ODIA FERMAMENTE i film western in generale, perché americani, individualisti, e con troppe armi usate al di fuori di una corretta linea politica. In particolare sono da evitare i film di Sergio Leone, perché violenti, dinamitardi, e soprattutto perché il regista non firma gli appelli dei democratici conseguenti. Per ragioni analoghe sono da rifiutare i film di Peckinpah perché sanguinosi, perché raffigurano personaggi di piccolo-borghesi e quindi sono ambigui, e in ultima analisi di destra (infatti non finiscono mai col piccolo borghese che prende la tessera del partito, e sono dannatamente pessimisti). Bisogna sputare a più riprese contro Portiere di notte, perché dice che il nazismo è dentro di noi, quindi fa un discorso intimista e individualista, reazionario e, manco a dirlo, pessimista. Altrettanto per Ultimo tango a Parigi, che è anche decadente (sembra che usare il burro sia decadente), individualista ecc. ecc. In genere bisogna odiare tutti i film che parlano dell’individuo, che hanno personaggi non proletari, che finiscono male, e che sono troppo violenti, senza buoni sentimenti e senza speranza. Non parliamo poi di roba tipo Easy Rider, che occupandosi di giovani emarginati sono giovanilisti e non hanno nessuno sbocco politico. A teatro il perfetto militante DEVE VEDERE Dario Fo facendo però la faccia schifata se s’accorge che sta ridendo troppo, attento alla correttezza del discorso politico, su cui poi fare l’intervento al dibattito che conta molto di più dello spettacolo in sé. Fo bisogna andarlo a vedere sempre anche perché è fuori dal circuito ufficiale, Strehler invece no perché è dentro il circuito ufficiale, ma sotto sotto si ha una gran nostalgia dei suoi straccioni brechtiani, o del suo Brecht a stracci che dir si voglia. Il perfetto militante deve odiare fino in fondo Carmelo Bene (ambiguo, frivolo e di destra perché fa i film a colori e va nei teatri « borghesi»), Paolo Poli (perché è un po’ frocio, e non si capisce che «discorso» faccia), Giorgio Gaber (perché parla di sé, quindi è un individualista-masturbatorio, perché è pessimista al massimo, e perché si permette di dire che «Maria» è un problema politico).

 

Sul piano della MUSICA E DISCHI il perfetto militante deve sentire i Dischi del sole, tanta musica cilena, e popolare (la musica popolare sarebbero le canzoni di lotta scritte dagli intellettuali dei gruppi). Deve avere un atteggiamento di sospetto verso il rock e derivati perché musica americana, e perché usa gli strumenti elettrici (sembra assurdo, ma questa motivazione la si sente dire spesso). Il jazz va bene solo se gli si mette un titolo che abbia un significato politico (tipo «Cile rosso» o «L’Oriente è rosso»), sennò è difficile e non si capisce che «discorso politico» faccia. Gente tipo Leo Ferré ed altri cantautori francesi e italiani sono da evitare perché anarcoidi, libidinosi e pessimisti. La musica classica neanche a parlarne perché è borghese per definizione. In generale si può dire che la musica deve ricollegarsi a tradizioni del movimento operaio, o meglio contadino, deve parlare di lotta, deve avere preferibilmente un ritmo di marcia e poter essere cantata in coro (un coro che marcia appunto).

 

Sul piano dei FUMETTI il perfetto militante ama moltissimo Chiappori perché ha un discorso politico chiarissimo: Tutti uniti contro la DC. Da quando poi s’è messo a lavorare con Fortebraccio e ha detto che le BR sono di Freda e di Ventura, ha raggiunto il massimo livello controculturale possibile. Non piace molto Crepax perché è trotzkista perché cervellotico, intimista anche lui. Può andar bene solo per i manifesti, pur di persuaderlo a fare dei padroni con visi ributtanti e tanti operai rossi rossi e coi pugni chiusi. Hugo Pratt neanche a parlarne perché mistico e guerrafondaio (diabolica unione!).

 

Sul piano della LETTERATURA il perfetto militante legge pochissimo perché è troppo occupato a leggersi la rivista teorica del gruppo, il quotidiano del gruppo, il ciclostilato interno del gruppo, la circolare segreta della frazione ultrasegreta del gruppo ecc… Comunque, ama dire che Balzac è progressista perché Marx in un momento di distrazione ha scritto una roba del genere, però non ha mai letto Balzac. Ha letto un po’ di Gorki, Tolstoj e ha letteralmente divorato (quest’estate, al mare, naturalmente in Calabria) la Morante dove ha ritrovato tanti «valori», tanti straccioni, tanta gente povera e felice. La lista degli scrittori che odia è lunghissima, però rimane affezionato a quelli che ha studiato a scuola e che sono (bene o male) il nostro patrimonio nazionale con varie sfumature di «popolare».

 

Il perfetto militante SI DIVERTE alle feste popolari con salcicce, palo della cuccagna e falci e martello. Scansa accuratamente «sesso e droga» evasioni piccolo-borghesi. A tavola non ammette che agli operai possa piacere il whisky, lo champagne, magari il caviale e le ostriche. I veri proletari, l’autoriduzione, la fanno solo sui surgelati.

 

ALLA FINE tutto questo dà un quadro molto chiaro: il militante perfetto vive dei cascami della cultura riformista, tutto quanto appare di nuovo vuol valutarlo alla luce degli schemi della Terza Internazionale, costruisce un modello di cultura che è parallelo e corrispondente a un livello ben preciso di militanza e di pratica politica, all’insegna di queste parole d’ordine: EVITARE IL DUBBIO, SCANSARE LA CRISI, PARLARE POCO DI SÉ, MOSTRARE FIDUCIA E SPERANZA NELLA CRESCITA ORGANIZZATIVA DEL GRUPPO, NON APPRO VARE COMPORTAMENTI VIOLENTI E SPONTANEI CHE NON RIENTRANO NELLE TRADIZIONI «PURE». E infine: OCCHIO ALLA DECADENZA E AL PESSIMISMO: RECUPERARE LA CULTURA CONTADINA E I «VALORI» POPOLARI.

 

A noi invece piacciono i film western, quelli della «crisi», il teatro-provocazione (quando lo è veramente), il rock, i fumetti più illogici possibile, i libri senza martiri ed eroi, la riscoperta del proprio corpo, dell’immaginazione e della fantasia, ci piace il whisky e il comunismo lo pensiamo come una cosa molto lussuosa, dove nessuno starà a piedi nudi su una zolla di terra a sudare piscia e sangue. Certo non ci piace tutto questo indiscriminatamente, non confondiamo Sergio Leone con Marx, né Frank Zappa con Lenin, non presumiamo che un fumetto ci debba indicare la linea giusta, non ci affidiamo senza critica a tutto quello che cova di «nuovo» nella crisi, non consideriamo affatto che sia la stessa cosa «Rivoluzione sessuale» e Cazzi di gomma made in Denmark, o in Japan. Ma riconosciamo che la controcultura deve percorrere strade nuove, proprio perché siamo su un terreno di militanza nuova, dove il personale è politico, e la politica è violenza, e l’organizzazione è autonomia. E viceversa, se siamo su questo terreno di militanza, dobbiamo rifiutare a fondo, con un discorso magari più attento di questa prima provocatoria sortita, i cascami di una cultura riformista che non corrisponde alla nuova realtà operaia nell’età della «crisi». Non si può essere autonomi in fabbrica e sul territorio, e riformisti o neo-riformisti su ”tutto il resto”.

 

 

da «Rosso. Giornale dentro il movimento» – anno 3 – n. 14 – gennaio-febbraio 1975

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