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Rivolta al carcere dell’Asinara

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A seguito del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, nel 1978, le condizioni dei detenuti politici nelle carceri italiane, soprattutto nelle “speciali”, peggiora sensibilmente.

Dal mese di marzo in tutte le strutture carcerarie italiane pacchi portati dai familiari non possono più contenere carne cotta, salumi, formaggio, dentifricio e sigarette.

In particolare, nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, che ospitava perlopiù detenuti politici appartenenti all’area della sinistra cosiddetta “eversiva”, la situazione è ancora più grave: i prigionieri sono costretti a mangiare solo ciò che gli viene fornito dalla direzione, molti di loro sono rinchiusi in quattro in celle di tre metri per quattro, e gli viene impedito di uscire per tutto il giorno, i reclusi di diverse celle non si incontrano mai, nemmeno durante l’ora d’aria, l’isolamento è totale.

Le medicine portate dall’esterno vengono sequestrate, con la scusa di farle analizzare, nella sala colloqui sono stati impiantati degli enormi divisori di vetro, che non permettono ai detenuti di avere contatti con i famigliari.

In particolare il reparto “Fornelli”, in cui sono stati rinchiusi la maggior parte dei brigatisti, nappisti e compagni più in generale, è la sezione del carcere dell’Asinara più tartassata: i secondini aprono e rubano da ogni pacco, spesso anche i soldi mandati dall’esterno vengono trattenuti dalle guardie carcerarie, che sfogano continuamente la propria frustrazione sui detenuti e sulle loro famiglie, costrette ad estenuanti attese per qualche minuto di colloquio con il prigioniero, dietro un vetro e tramite un microfono.

Le voci che girano nel carcere parlano anche di microspie che sarebbero state montate a seguito del sequestro e omicidio Moro in alcune delle zone comuni: lo stesso direttore del carcere, in un’intervista del 2009, ammetterà che le microspie erano state montate in alcune parti dell’isola, in particolare nelle zone dalle quali i detenuti transitavano prima di essere smistati ai vari bracci.

Sono queste le condizioni che portano, sabato 19 agosto 1978, giorno di colloqui, i detenuti politici, coordinati da alcuni appartenenti alle Brigate Rosse, a dare vita ad un’azione di protesta contro le condizioni inumane in cui sono costretti a vivere e contro i pestaggi dei secondini, organizzati e diretti dal direttore del carcere, Luigi Cardullo.

Quella mattina i primi cinque detenuti chiamati a colloquio attaccano con ogni mezzo a disposizione le mensole e i vetri divisori antiproiettile, spaccandovi sopra le sedie; i secondini, che inizialmente provano ad intervenire, vengono redarguiti, spiegando che il loro intervento avrebbe spostato la contraddizione, che in quel momento coinvolgeva esclusivamente l’esecutivo e gli organi del potere carcerario.

Nel frattempo i prigionieri al passeggio iniziano una mobilitazione di massa, mentre viene distribuito un volantino che, in particolare, propone un programma immediato su cui articolare la lotta: abolizione del’isolamento individuale e di gruppo, creazione di spazi di socialità interna, aumento delle ore d’aria, abolizione dell’isolamento dall’esterno, cioè eliminazione dei vetri divisori, aumento dei colloqui, abolizione del blocco dell’informazione e della censura.

I secondini, presi alla sprovvista, inizialmente non sanno come fronteggiare la rivolta, ma il direttore della prigione prende presto in mano la situazione, ordinando l’intervento delle guardie all’interno dei “Fornelli” per sedare la rivolta, mentre i cinque detenuti che avevano distrutto la sala colloqui vengono pestati e portati nel “bunker”.

Le forze dell’ordine entrano nel carcere come delle furie, pestando senza pietà chiunque fosse al passeggio, e continuando a picchiare anche quando i prigionieri sono a terra, inermi. Il corpo a corpo prosegue, i detenuti del terzo passeggio riescono anche a colpire ripetutamente il direttore Cardullo, mentre piano piano arretrano fino alle celle. Altri tre “politici” vengono prelevati e trasferiti al bunker.

Nella tarda serata Horst Fantazzini, rapinatore e rivoluzionario ribelle, che ha ricevuto colpi pesanti al viso e alla testa, va in coma; il suo stato di salute è talmente grave che viene trasferito d’urgenza all’ospedale di Sassari, ma viene riportato all’interno del carcere, nonostante le condizioni cliniche, dopo nemmeno ventiquattro ore.

Pesanti saranno le rappresaglie messe in atto dalla direzione carceraria che, oltre a spostare numerosi detenuti nel bunker d’isolamento, diminuirà il passeggio ad una sola ora, mentre le autorità riescono a mettere quasi totalmente a tacere tutta l’azione al di fuori del carcere, negando la dimensione di massa della rivolta ed attribuendola a “pochi brigatisti isolati”.

Durante tutta la settimana successiva vi saranno numerosi momenti di lotta all’interno e all’esterno del carcere di massima sicurezza dell’Asinara: se da una parte continueranno le azioni di organizzazione e di rivolta da parte dei detenuti, dall’altra numerose saranno le mobilitazioni delle organizzazioni dei famigliari, che occuperanno ripetutamente gli uffici del Giudice di Sorveglianza.

Sabato 26 agosto, la direzione del carcere, ormai logorata da una settimana di rivolta, e preoccupata per l’imminente visita dell’ispettore ministeriale, concederà ai detenuti il rientro ai Fornelli di tutti coloro che erano stati portati al bunker, il raddoppio dell’ora d’aria, assicurerà che non vi saranno altri trasferimenti al bunker, si dichiarerà disponibile all’autodeterminazione della composizione delle celle, ventilando anche la possibilità di effettuare un colloquio mensile senza vetri.

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