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Libera e Vera Arduino

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Vera Arduino nasce a Torino il 15 Gennaio del 1926, primogenita di una famiglia operaia di militanza comunista. Il padre, Gaspare Arduino (1901-1945) è operaio alla Fiat e la madre, Teresa Guala, alla Manifattura Tabacchi. Dopo aver fatto i tre anni di avviamento professionale inizia a lavorare come operaia alla Wamar. Introdotta alla politica dal padre, partecipa alle attività clandestine del PCI. A partire dal 1943 partecipa alla Resistenza assieme al padre e alla sorella Libera (1929-1945). Entra nei Gruppi di difesa della donna aggregati alla XX Brigata Garibaldi Sap, facendo la staffetta in Barriera di Milano con i partigiani in montagna.

Libera Arduino nasce a Torino il 13 Settembre del 1929, secondogenita di una famiglia operaia di militanza comunista. Dopo aver conseguito la quinta elementare inizia a lavorare presso l’industria meccanica Castagno. Introdotta alla politica dal padre e dalla sorella Vera (1926-1945), partecipa assieme a loro alle attività clandestine. Assieme al padre e alla sorella a partire dal 1943 partecipa alla Resistenza e entra nei Gruppi di difesa della donna aggregati alla XX Brigata Garibaldi Sap occupandosi del servizio di assistenza in Barriera di Milano.

La notte dell’11 Marzo del 1945 sono catturate nella loro abitazione di Via Moncrivello 1 da fascisti appartenenti alle Brigate nere, fintisi con l’inganno partigiani. Assieme a lei sono arrestati il padre Gaspare, un ospite, Alberto Ellena e due vicini di casa, Rosa Ghizzone e il marito Mario Montarolo. Il padre Gaspare è fucilato la sera stessa in Corso Belgio assieme a Mario Montarolo, mentre Alberto Ellena riesce a fuggire. Libera e Vera, trattenute per due giorni assieme a Rosa Ghizzone, sono trucidate la notte fra il 12 e il 13 Marzo del 1945 sulla sponda del Canale Pellerina a Torino. Rosa Ghizzone riesce a scappare ma muore quattordici mesi dopo per le ferite riportate quella notte. A Vera e Libera Arduino è dedicata una via cittadina, una lapide in corso Lecce e un istituto superiore statale

“Per il funerale delle Arduino alcune fabbriche hanno mandato delegazioni, altre durante i funerali si sono fermate. Alla Paracchi, la fabbrica dei tappeti, una ragazza è salita sul tetto e ha messo la bandiera rossa. Un compagno elettricista, che era nelle SAP, aveva staccato tutti i fili d’allarme perché i fascisti non chiamassero i rinforzi. Questa ragazza ha anche parlato là dentro alle operaie, poi l’abbiamo fatta scappare”. “Ricordo quando ho partecipato ai funerali delle Arduino. Io tenevo sotto braccio mamma Arduino che sembrava inebetita, seguivano l’altra bambina Bruna e poi molte donne e uomini. Per via Catania abbiamo visto venirci incontro un operaio in bicicletta che gridava: ‘Gli uomini fuggano tutti perché davanti al cimitero ci sono i fascisti, ce ne sono già due camion carichi’. Così gli uomini si sono allontanati, davanti al cimitero siamo arrivate solo noi donne”.

Quando vengono uccise avevano 16 e 18 anni.

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