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Un bolscevico ai funerali di Kropotkin

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La morte di Petr Kropotkin avveniva l’8 febbraio 1921, teorico dell’anarco-comunismo o comunismo libertario. Malgrado il suo appoggio al fragile regime di Kerenskij il rivoluzionario russo ebbe tutti gli onori del caso da parte dello Stato sovietico. Il governo dei Soviet offrì alla famiglia di Kropotkin i funerali di Stato ma questa rifiutò. La sua salma fu esposta nella Casa dei sindacati, la stessa in cui fu esposta quella di John Reed, e per il corteo funerario furono liberati dalle prigioni molti anarchici per permettere loro di partecipare alle esequie. Nella manifestazione, in cui parteciparono oltre 20mila persone, (diventati centomila nella storiografia anarchica) campeggiavano striscioni con scritto “Dove c’è autorità non c’è libertà” e “L’emancipazione della classe operaia sarà opera della classe operaia stessa.” La casa natale di Kropotkin, un grande palazzo nel quartiere aristocratico di Mosca, venne restituita alla vedova e ai suoi compagni per essere trasformata in un museo per i suoi libri, documenti e ricordi personali sotto la supervisione di un comitato di studiosi anarchici.

Ai funerali partecipo un rivoluzionario e bolscevico convinto Victor Serge.

Se gli accenni diretti alla presenza degli anarchici nella rivoluzione sono scarsi, non si deve a pregiudizi settari, ma semplicemente al fatto che il loro ruolo era modesto. Ad esempio nel Congresso panrusso dei soviet che si apre la sera stessa della presa del Palazzo d’Inverno c’erano 5 anarchici su 562 delegati presenti (di cui 382 bolscevichi, 70 socialrivoluzionari di sinistra, 19 SR di altre tendenze, 21 menscevichi “difensisti”, 15 menscevichi “internazionalisti”, ecc.). L’esiguità della loro presenza si spiegava in parte col rifiuto di qualsiasi tipo di elezioni, anche di delegati revocabili, da parte degli anarchici più intransigenti, in parte con una loro sostanziale marginalità nella lotta di classe di quella fase.Molte notizie sulla progressiva rottura tra i raggruppamenti libertari e la rivoluzione sono state fornite dalla pubblicistica anarchica, che ha riproposto costantemente la stessa linea interpretativa vittimista.
Victor Serge non minimizza il ruolo degli anarchici tra il febbraio e l’ottobre, ma spiega bene il loro declino:
“Malgrado la loro confusione ideologica, la maggior parte di essi si era battuta bene in Ottobre. Il loro movimento, dopo la vittoria proletaria, aveva avuto uno sviluppo eccezionale: nessun potere faceva resistenza alla loro azione; essi procedevano senza alcun controllo alla requisizione di alloggi; il partito bolscevico trattava con la loro organizzazione da pari a pari; essi avevano a Mosca un grande quotidiano, l’«Anarchia».
Anche a Pietrogrado un giornale sindacalista-libertario aveva in certi momenti fatto concorrenza alla «Pravda» bolscevica, ma – secondo Serge – “non disparve che per colpa dei suoi redattori, divisi sul problema della guerra rivoluzionaria”.
Dal febbraio 1918 la stampa anarchica aveva inasprito i toni, ripetendo le accuse a Lenin “agente dell’imperialismo tedesco” mosse da tutte le altre correnti socialdemocratiche, e della stessa stampa borghese che era ancora legale.

  Victor Serge descrive le “forze anarchiche, divise in una serie di gruppi, sottogruppi, tendenze e sottotendenze che andavano dall’individualismo al sindacalismo” e che “comprendevano diverse migliaia di uomini, per la maggior parte armati”.
La demagogia sincera dei protagonisti libertari incontrava una buona accoglienza tra parti della popolazione. Uno stato maggiore nero aveva la direzione di queste forze che costituivano una specie di Stato armato – irresponsabile e incontrollabile – all’interno dello Stato. Gli stessi anarchici ammettevano che tra di essi prosperavano elementi sospetti, avventurieri e controrivoluzionari, dato che i principî libertari non permettevano di chiudere la porta delle organizzazioni di fronte a chicchessia o di sottoporre qualcuno a un controllo reale.
Una parte degli stessi anarchici avvertiva il pericolo e sentiva la necessità di “epurare” i loro ambienti, cosa praticamente impossibile senza autorità né organizzazione disciplinata. Il giornale «Anarchia» a volte pubblicava avvisi importanti di questo genere:
“Consiglio della Federazione anarchica. Si verificano abusi deplorevoli. Degli sconosciuti, presentandosi a nome della Federazione, procedono ad arresti e ad estorsioni di fondi. La Federazione dichiara di non tollerare alcuna requisizione a fini di arricchimento personale.” Il maggiore storico dell’anarchismo russo, Paul Avrich, conferma indirettamente che gli arresti dell’aprile 1918 non avevano soppresso il movimento. La repressione aveva raggiunto il culmine “solo dopo il bombardamento del quartier generale comunista a Mosca nel settembre 1919”. I cosiddetti “Anarchici Clandestini”, insieme a militanti socialisti rivoluzionari di sinistra, il 27 settembre di quell’anno avevano assaltato a colpi di granate la sede del comitato di Mosca del partito comunista, durante una sessione plenaria del comitato. C’erano stati 12 morti e 55 feriti, tra cui alcuni molto noti, come Nicolaj Bucharin, il direttore della «Pravda» Emelian Jaroslavskij, e Juri Steklov, direttore delle «Izvestija». Anche se molti esponenti libertari si erano dissociati, i comunicati incendiari che annunciavano “l’inizio di un’era della dinamite”, che sarebbe finita solo “con la distruzione del dispotismo”, provocarono una nuova massiccia ondata di arresti. Alcuni militanti si fecero saltare in aria appena si presentò la Čeka nella dacia che avevano requisita, altri furono processati. Pressoché tutto il movimento anarchico aveva plaudito all’assassinio del rappresentante tedesco von Mirbach, e anche ai tentativi insurrezionali che lo avevano accompagnato. Ma la preoccupazione dei bolscevichi non si era tradotta in una repressione generalizzata.Una figura prestigiosa dell’anarchismo russo,  Pëtr Aleksandrovic Kropotkin aveva conservato non solo la libertà, ma aveva continuato a scrivere al “caro Vladimir Ilič” esprimendo critiche severe a varie misure economiche e politiche prese dal governo sovietico. Kropotkin aveva un passato glorioso, ma come altri anarchici si era screditato nel 1914, perché si era schierato a favore dell’Intesa, sostenendo la necessità di abbattere l’impero tedesco e smembrare la Germania. Aveva finito poi, quasi ottantenne, per appoggiare la rivoluzione d’ottobre, scrivendo appelli per difenderla rivolti ai lavoratori delle potenze imperialiste che sostenevano i Bianchi. I suoi argomenti sono interessanti, e hanno contribuito all’immagine internazionale della rivoluzione russa, che presentava così:
“Prima di tutto, i lavoratori del mondo civile e i loro amici appartenenti ad altre classi, dovrebbero indurre il [loro] governo ad abbandonare del tutto l’idea di un intervento armato negli affari della Russia – aperto od occulto, militare o in forma di sovvenzioni ad altre nazioni.
La Russia sta vivendo ora una rivoluzione della stessa vastità e importanza di quella sperimentata nel 1639-1648 dalla nazione inglese e nel 1789-1794 dalla Francia; e ogni nazione dovrebbe rifiutarsi di giocarvi il ruolo vergognoso che la Gran Bretagna, la Prussia, l’Austria e la Russia giocarono nella rivoluzione francese.
Inoltre bisogna tener presente che la rivoluzione russa – che tenta di costruire una società in cui il prodotto degli sforzi congiunti dei lavoratori, delle capacità tecniche e delle conoscenze scientifiche vada interamente a beneficio della comunità – non è un mero incidente nella lotta tra i partiti. È qualcosa che la propaganda comunista e socialista stavano preparando da quasi un secolo, fin dai tempi di Robert Owen, di Saint Simon e di Fourier; e benché il tentativo di instaurare la nuova società attraverso la dittatura di un unico partito sia apparentemente destinato al fallimento, bisogna tuttavia riconoscere che la rivoluzione ha già introdotto nella nostra vita quotidiane idee nuove riguardo ai diritti dei lavoratori, alla loro vera posizione nella società, ai doveri di ogni cittadino: idee ormai incancellabile.” Questo riconoscimento della portata e del significato della rivoluzione non escludeva che Kropotkin esprimesse critiche severe nei confronti di molte scelte del governo sovietico. A volte basate sulla convinzione che i problemi dell’approvvigionamento, della penuria e dell’aumento dei prezzi dipendessero da un’ossessione centralista e della “smania di comandare degli uomini di partito, che sono per la maggior parte comunisti senza esperienza (gli ideologi di vecchio stampo operano soprattutto nei centri più grandi)”, col risultato di distruggere “l’influenza e la forza creativa di queste vantate istituzioni, i soviet”. In un’altra lettera al “caro Vladimir Ilič” del dicembre dello stesso anno Kropotkin attaccava invece una misura annunciata ufficialmente sulle «Izvestija» e sulla «Pravda»: “il governo sovietico ha deciso di prendere come ostaggi alcuni socialisti rivoluzionari dei gruppi di Savinkov e di Černov, così come alcune guardie bianche del centro nazionale tattico e alcuni ufficiali di Vrangel’ e, in caso di attentato alla vita dei leaders dei soviet, di giustiziare «senza pietà» questi ostaggi.” La lettera proseguiva con esempi di rivoluzionari come Luise Michel, Malatesta o Voltairine de Cleyre che avevano difeso chi aveva tentato di ucciderli o avevano rifiutato di accusarli, e faceva appello alla coscienza rivoluzionaria dei bolscevichi:
“Io credo che ai migliori di voi il futuro del comunismo stia più a cuore della vita stessa e che pensando a questo futuro rinuncerete a questi provvedimenti. Con tutti i suoi gravi difetti – e io, come sai, li vedo bene – la rivoluzione d’ottobre ha provocato un enorme cambiamento. Ha dimostrato che una rivoluzione sociale non è impossibile, come avevano cominciato a pensare nell’Europa occidentale. E, con tutti i suoi difetti, produrrà un mutamento verso l’uguaglianza, che nessun tentativo di tornare al passato potrà eliminare. “Kropotkin ricordava a Lenin che “proprio atti di questo genere compiuti da rivoluzionari del passato hanno reso più difficile l’esperimento comunista”. Ma dimenticava semplicemente che queste misure erano una risposta difficilmente sostituibile ad attacchi spietati.
Comunque Kropotkin nonostante le sue critiche non sempre obiettive, era circondato dal rispetto dei bolscevichi per il suo passato. Come altre personalità ritenute indispensabili alla rivoluzione (ad esempio lo scienziato Ivan Pavlov, per i suoi meriti di studioso dei riflessi condizionati, e nonostante la sua aspra polemica con i comunisti e con il marxismo), Pëtr Kropotkin beneficiava di un trattamento alimentare speciale, con razioni doppie di quelle disponibili per tutti in quei tempi di carestia. Mancava solo un mese all’insurrezione di Kronštadt… Può sembrare strano non aver ancora neppure accennato alla rivolta di Kronštadt, ma non è casuale: anche se è al centro delle polemiche e dei miti anarchici, in realtà gli anarchici non vi  ebbero un ruolo significativo, come ammette Paul Avrich, il maggiore storico dell’anarchismo, oltre che autore di uno dei libri più importanti su quell’episodio.Kronštadt aveva avuto una storia di latente radicalismo che risaliva alla rivoluzione del 1905. La rivolta del marzo 1921, come le precedenti insurrezioni del 1905 e del 1917, fu una sollevazione spontanea e non provocata – come spesso si dice – dagli anarchici o da qualche altro singolo partito o gruppo. I suoi partecipanti erano radicali d’ogni tendenza: bolscevichi, social-rivoluzionari, anarchici e molti che non avevano alcuna affiliazione di partito. Gli anarchici che avevano svolto a Kronštadt un ruolo di primo piano nel 1917, non si trovavano più sul luogo quattro anni più tardi. Alcuni come Železnjak o Bleikhman erano morti nella guerra civile, ed altri erano impegnati nell’Armata Rossa su vari fronti. Ma, soprattutto, concludeva Avrich, “lo spirito dell’anarchismo, che era stato così potente a Kronštadt durante la Rivoluzione del 1917, era quasi scomparso”.
La polemica portata avanti per anni dagli anarchici sulla repressione nei loro confronti non era molto più fondata della loro appropriazione della paternità della rivolta, che in realtà aveva coinvolto largamente marinai comunisti e soprattutto “senza partito” della fortezza e delle navi ancorate nel suo porto, e rifletteva il diffuso malcontento per la carestia e le distorsioni provocate dal “comunismo di guerra”. Un malcontento presente in gran parte del mondo contadino (da cui provenivano molte delle reclute che avevano rimpiazzato la vecchia guardia del 1917, a mano a mano che veniva chiamata a dirigere le unità dell’Armata Rossa) e a cui il X Congresso del partito stava tentando di rispondere introducendo la NEP. Altra tesi infondata diffusa da più parti, ma particolarmente viva tra gli anarchici, è quella di un ruolo diretto e particolarmente spietato di Trotskij, che in realtà pur condividendo la responsabilità con tutto il gruppo dirigente, non partecipò neppure all’attacco, e tantomeno alle misure punitive attuate dalla Čeka nelle settimane e nei mesi successivi, che tra l’altro non erano rivolte contro il movimento anarchico, ma avevano una logica di vendetta sugli insorti, che si presumeva avessero fatto correre un rischio gravissimo alla rivoluzione. Tutti i dirigenti comunisti, effettivamente, erano convinti che la rivolta fosse strettamente collegata alle centrali dei Bianchi in esilio, che si erano già vantate molte volte di avere legami con la guarnigione della fortezza, e che si temeva potessero arrivare in soccorso a Kronštadt con la flotta del Mar Nero “ospitata” dalla Francia nella base tunisina di Biserta. Il panico aveva travolto tutto il gruppo dirigente, che aveva dimenticato che gli organi dei Bianchi all’estero erano poco credibili, dato che ad esempio avevano annunciato spesso il successo di inesistenti attentati a Lenin. Il fatto che dopo la fuga alcuni dei membri del comitato avessero scritto a Vrangel’ per offrire i loro servizi, peraltro conosciuto successivamente, non doveva impedire di riconoscere il carattere spontaneo e improvvisato della rivolta. La spietatezza e i tempi differiti della repressione provocarono comunque un salto qualitativo nell’involuzione della società sovietica. Se i caduti durante l’attacco si equivalevano tra gli assalitori e i difensori, ed anzi nella prima fase le perdite erano state maggiori tra gli attaccanti, facilmente colpiti dalle artiglierie protette dalle mura fortificate, il danno politico e morale maggiore fu provocato proprio dalla lunga coda di processi e di esecuzioni sommarie che si protrasse per mesi, a pericolo scampato, e che fu facilitata dagli archivi abbandonati dai dirigenti dell’insurrezione al momento della loro fuga in Finlandia. Spesso si fucilava chi aveva soltanto votato una risoluzione o aveva annunciato di dare le dimissioni dal partito comunista. Un discorso a parte merita il fenomeno delle formazioni contadine di Nestor Machno, che il movimento anarchico considera parte dei suoi successi, e che in realtà, indipendentemente dall’assimilazione di alcune idee anarchiche da parte del “piccolo padre” di Guliai Pole durante la sua lunga detenzione prima del 1917, va interpretato nel quadro dei difficili rapporti tra il potere sovietico e i contadini a partire dal 1918. Le formazioni machnoviste, come molte altre milizie “verdi” (cioè né bianche né rosse…), si allearono in diversi periodi con l’Armata Rossa, ma in altri la combatterono aspramente: questa e non la prevenzione ideologica fu la ragione dei conflitti che si determinarono. Ma il machnovismo è parte della storia della guerra civile in Ucraina e nella Russia meridionale, più che di quella dell’anarchismo, che ne ha fatto una sua bandiera e un suo mito.La separazione tra il movimento libertario e quello comunista fu dannosa per entrambi. Le tendenze alla burocratizzazione e alla riduzione dei soviet a vuoti contenitori fu accelerata dalla repressione degli anarchici. Alcuni di loro continuarono a partecipare alla rivoluzione a diversi livelli e fino a tutto il 1921 avevano ottenuto qualche rappresentante eletto nei soviet, ma il grosso respingeva in blocco il potere sovietico, immaginando che fosse definitivamente e deliberatamente corrotto dalla volontà di imporre ovunque i “commissari” comunisti. Ignoravano gli allarmi continui dei principali esponenti bolscevichi di fronte agli stessi processi che essi denunciavano. Quanto era lontano il vero Lenin da quello che gli anarchici immaginavano, tutto teso a sostituire la democrazia sovietica con “commissari” comunisti scelti solo in base alla tessera! Anche Trotskij, che è diventato nella propaganda anarchica la causa di ogni male, in realtà si preoccupava tanto del disordine e del rifiuto di ogni disciplina, o del ricorso al saccheggio come normale fonte di approvvigionamento di certi reparti dell’Armata Rossa, quanto del comportamento di molti comunisti.Le tensioni con gli anarchici e in particolare con Machno quindi non erano dovute alla pretesa dei dirigenti comunisti e in particolare di Trotskij di “imporre a ogni costo il dominio del partito” nell’Armata Rossa, ma alla necessità di combattere il dilettantismo e l’improvvisazione “guerrigliera”, pericolosa di fronte a un esercito “Bianco” guidato da ufficiali di grande preparazione militare temprati dalla Grande Guerra. Non a caso uno dei punti di maggiore attrito riguardava l’uso degli “specialisti”, cioè di quegli ufficiali disposti a mettere al servizio del nuovo potere sovietico le loro competenze “tecniche”, sia sul piano dell’utilizzazione dell’artiglieria, dell’aviazione o della flotta, che non poteva essere improvvisata da militanti combattivi ma privi di una preparazione specifica, sia su quello dell’organizzazione dell’esercito e della elaborazione di piani strategici. Alcuni giovani ufficiali dell’esercito zarista d’altra parte avevano aderito sinceramente alla rivoluzione perché disgustati dalla insensatezza della Guerra Mondiale, altri per patriottismo e indignazione di fronte all’aperta ingerenza straniera a sostegno dei controrivoluzionari “Bianchi”; qualcuno invece soltanto per avere assicurato uno stipendio. Ma era impossibile farne a meno. In ogni caso a fianco di ognuno di essi Trotskij aveva voluto un commissario comunista, che assicurava il rapporto con la truppa, e teneva sotto controllo quegli ufficiali che potevano essere sospettati di attendere solo l’occasione per passare al nemico. Il commissario politico intanto si formava per divenire ufficiale. La propaganda anarchica, a volte in ambigua alleanza con la fronda di un gruppo di ufficiali “comunisti” del fronte sud legati a Stalin come Voroscilov e Budionnij, che attaccavano gli specialisti per colpire l’odiato Trotskij, presentava invece l’utilizzazione di ufficiali di carriera come la prova di un tentativo di restaurazione capitalistica. Era un’accusa assurda e priva di fondamenti.
Ma quella polemica faziosa rese più profondo il solco che impedì ogni ravvicinamento tra la maggioranza del partito e gli anarchici. Presto la repressione colpì non solo le altre tendenze del movimento operaio, ma anche e soprattutto gli elementi più critici all’interno del partito comunista.Era inevitabile a quel punto che la sospensione “temporanea” del diritto di formare frazioni nel partito, decisa sotto l’effetto psicologico della rivolta di Kronštadt e di quelle contadine che in quello stesso 1921 esplodevano in varie parti della Russia e dell’Ucraina, diventasse permanente e soffocasse ogni dialettica interna. La minaccia dell’espulsione peserà da allora in poi come una condanna a morte per ogni dissenso organizzato: fuori del partito divenuto “monolitico”, non c’era più quello spazio che aveva permesso rotture e ricomposizioni nei quindici anni che avevano preceduto la rivoluzione.

Guarda “Funeral of Peter Kropotkin-1921 [Eng]“:

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