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Se non son voucher è lavoro a chiamata: +78% di lavoro intermittente nel terzo trimestre del 2017

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Nuova impennata del lavoro a chiamata nel terzo trimestre di quest’anno. Dopo l’abolizione dei voucher nell’aprile del 2017, già il semestre successivo avevamo visto un’esplosione del lavoro a chiamata (+75,6%) che a fine anno tocca ormai il +77,9% rispetto al 2016. A questo bisogna aggiungere anche il significativo aumento di contratti di somministrazione (+23,8%) che configura così un travaso ormai strutturale verso il lavoro ultra-precario.

Istat e Ministero del lavoro, dal canto loro, si rallegrano che questo boom abbia riportato il tasso di occupazione “a livelli pre-crisi” stabilizzandosi al 58,8% della popolazione. Tutti contenti che si possa finalmente ripartire dalla casella di partenza, insomma. Solo che rispetto al 2008 ci troviamo con più lavoro a chiamata, più interim e senza l’articolo 18 mentre l’anno scorso, in Italia, i super-ricchi (persone con un patrimonio finanziario personale superiore al milioni di euro) sono aumentati del 10% passando da 229 a 252 mila. 

Ancora una volta la crisi per i grandi imprenditori si rivela esattamente per ciò che è. Non certo una tragedia ma una ghiotta occasione, utili per tagliare diritti e abbassare l’asticella dell’accettabile: bisogna far ripartire l’economia. La loro ovviamente.

Ma di questo che ne possono sapere i sindacati che ormai non fanno altro che ripetere la parola “occupazione” come un disco rotto? Che ne può sapere un Partito democratico che ha passato gli ultimi quattro anni a preoccuparsi dei profitti delle grandi imprese, coccolandole con sgravi fiscali e sovvenzioni di ogni sorta?

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