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Lo sciopero a Ryanair e l’ipocrisia di Poletti, Calenda & Delrio

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Sciopero a Ryanair: personale a terra. L’ipocrisia della politica, invece, sempre in alta quota

Per la giornata del 15 Dicembre è stato indetto uno sciopero del trasporto aereo che interesserà anche Ryanair. I giornali già parlano di un “Venerdi nero” per il trasporto in arrivo.

La compagnia low-cost irlandese porta avanti da sempre una politica di non dialogo con i propri dipendenti. Negli anni è riuscita ad evitare la formazione di un’organizzazione sindacale e la firma di un contratto nazionale, potendo così approfittare del lavoro degli equipaggi e del personale di terra. La politica aziendale è durissima, i contratti sono fumosi e non garantiscono diversi diritti base del mondo del lavoro. Come sottolinea lo stesso personale di volo, lo sciopero di domani non ha come obiettivo l’aumento di retribuzione, ma il riconoscimento sindacale e la spinta ad una formulazione e firma di un contratto nazionale comune. Determinante sarà la partecipazione di steward e hostess che non hanno mai preso parte a vertenze lavorative.

Lo sciopero non sarà solo Italiano, anche i lavoratori di Ryanair di Irlanda, Germania e Portogallo hanno lanciato una giornata di astensione dal lavoro.

I vertici di Ryanair per scoraggiare la partecipazione allo sciopero hanno inviato una lettera, firmata dal capo del personale Eddie Wilson, a tutti gli equipaggi italiani, in cui viene detto chiaramente che chi prenderà parte all’agitazione subirà delle ritorsioni sullo status del proprio posto di lavoro. I provvedimenti che la compagnia ipotizza sono: il cancellamento della turnazione 5/3 (5 giorni lavorativi e tre di riposo), degli aumenti di stipendio, dei trasferimenti richiesti e delle promozioni.

La lettera ha causato critiche a Ryanair da parte sia dei sindacati che delle istituzioni e di quasi tutti i partiti politici; sul ruolo e sulle dichiarazioni di questi torneremo a breve.

La vicenda della compagnia low-cost si inserisce nel tracciato della nuova politica di gestione del lavoro che è stata inaugurata nell’ultimo decennio, sia per merito della crisi economica, sia per l’appoggio ricevuto dalle riforme degli stati europei del mercato del lavoro (es. il Jobs Act in Italia e Loi Travail in Francia). Interessanti, in questo senso, sono le dichiarazioni Michael O’Leary, amministratore delegato dell’azienda, che sostiene con estrema tranquillità che loro non violano nessuna legge europea sul lavoro e che anzi semplicemente la applichino. Attraverso un complesso meccanismo di smembramento dei contratti, di creazione di holding interinali terze e all’appoggio di paradisi fiscali, come nel caso dei big dell’informatica come Apple e Google, la multinazionale riesce ad eludere il fisco degli stati europei e di pagare pochissimo per i contratti dei propri lavoratori, che raramente sono dipendenti diretti dell’azienda. La scorsa estate un centinaio di piloti aveva abbandonato proprio per quest’ultimo motivo l’azienda, questi erano, e sono a tutt’oggi, costretti ad aprire una partita iva in Irlanda per ricevere non una busta paga, ma dei “rimborsi spese” per la durata dei voli e per la propria prestazione lavorativa.

Ryanair è la più grossa compagnia aerea a basso costo d’Europa ed è in continua crescita, come del resto tutto il mercato del trasporto aereo. Ma da questa crescita economica, che si inserisce in un più grande quadro generale di ripresa delle economie occidentali, chi ci guadagna? La domanda è essenziale per comprendere appieno la risposta così arrogante della multinazionale ai suoi equipaggi. Ci guadagnano loro. Intendendo per loro, ovviamente, i gruppi dirigenti, i fondi di investimento e gli istituti finanziari. La ripresa non sta comportando in alcun modo un aumento delle retribuzioni e quindi delle condizioni di vita di chi non detiene grossi capitali economici. Chi parla di ricadute a cascata non fa che cercare di mascherare quella che è palesemente solo ed esclusivamente una ripresa dei profitti. Sull’onda di questo rilancio e grazie allo sblocco normativo permesso dalle riforme del lavoro, le grosse multinazionali sanno di avere il coltello dalla parte del manico poiché sono ora in grado non solo di ricattare i dipendenti ma di mettere in scacco intere economie. Qualcosa che dovrebbe far riflettere, anche, sulle tanto decantate opportunità della “turistificazione” delle nostre città, in particolare del Meridione, dal momento che il turismo rappresenta e sempre di più rappresenterà un asse di sviluppo strategico sui cui stanno invastendo le élite politico-imprenditoriali del nostro paese (“Facciamo del Sud una gigantesca Sharm El Sheik” Oscar Farinetti dixit).

Veniamo dunque a queste tanto gridate e tuonate ire di esponenti del governo e dei partiti. Siamo sotto elezioni e la politica sa perfettamente qual è la condizione sociale del paese, non ci si può più permettere sparate come quelle sullo sciopero della logistica del 16 Giugno. Soprattutto per il Pd e i partitucoli “di sinistra” a lui affini che rischiano di prendere l’ennesima batosta elettorale, mantenere i toni degli scorsi mesi sul mondo del lavoro rischierebbe di essere non controproducente ma delirante. Dunque una spazzata, una bella riverniciatura ed ecco che risbucano fuori dall’armadio i paladini del lavoro onesto e dello sciopero, ovviamente quello inserito all’interno dello spazio legalitario. Ma sono le loro stesse dichiarazioni a mettere in luce la strumentalità con cui viene affrontata la questione Ryanair. Poletti s’insorge a difesa del diritto di sciopero, facendo finta di non vedere che a Ryanair si stanno mobilitando CONTRO la contrattazione aziendale e lo smantellamento del contratto nazionale ossia esattamente contro gli interventi legislativi di cui si è fatto sistematicamente promotore lui e il Partito democratico, che porta ormai da anni avanti una battaglia culturale ancor prima che politica per il decentramento dei rapporti sindacali quando non per il rapporto diretto tra azienda e dipendenti, diventati cosi sempre più isolati e ricattabili. Il ministro dei trasporti Delrio parla invece di “inaccettabile minaccia” da parte dell’azienda. Ma come? Non era lui che aveva chiuso l’anno scorso con la vergognosa marchetta in cui diceva, testuali parole, “salutiamo positivamente il piano industriale 2017 di Ryanair, che permette più voli, più opportunità al turismo e soprattutto più occupazione”? Arriva poi il ministro dello sviluppo economico Calenda: “Non è un mio ambito di responsabilità – dichiara – ma ritengo che si debba intervenire. Non si può stare sul mercato prendere i vantaggi e non rispettare le regole”. Ecco questo è il punto, il motivo per cui i ministri si sentono offesi e traditi, Ryanair prende almeno 80 milioni di euro di finanziamenti all’anno da ciascun aeroporto (che sono in gestione a gruppi pubblici quindi dello Stato) in cui ha il proprio hub, per garantire la propria presenza e i collegamenti nazionali ed europei. In un concatenarsi di dichiarazioni di esponenti di governo in cui sembra si faccia a gara a chi riesce ad apparire il più intransigente, nessuno sembra voler assumersi la responsabilità materiale sia di affrontare direttamente i vertici della multinazionale irlandese, sia dell’approvazione del JobsAct, legge che ha dato il via definitivo alla “liberalizzazione” del mercato del lavoro. D’altronde serve ricordare che chi lo ha formulato, scritto ed approvato sono le medesime persone e formazioni politiche oggi al governo?

Lo sciopero di domani si sta delineando come uno dei punti di scontro nel dibattito politico verso le elezioni della primavera, verrà messo in piedi il solito finto teatrino degli integerrimi politici che non accettano le imposizioni di grossi gruppi aziendali salvo poi, quando il caso si sgonfierà e lo scoop giornalistico passerà, ritornare a varare leggi che permettono la gestione aziendale come quella di Ryanair e anzi finanziarle per fare in modo che concedano la loro presenza nel mercato italiano. Come se fosse uno sforzo così difficile e oneroso entrare in una economia sconquassata dalla crisi economica e che promette lauti profitti economici!

Ciò che veramente è interessante, al di là del solito vergognoso show delle istituzioni, è lo sciopero in sé e le ricadute che esso può avere nel panorama delle lotte del mondo del lavoro.  Come prima dicevamo l’adesione di soggetti nuovi alle agitazioni lavorative può rappresentare uno scatto in più. Le vertenze degli ultimi mesi si stanno verificando sempre più spesso nelle grosse aziende e multinazionali, smascherando la retorica su tecnologia, innovazione & futuro e mettendo in luce lo sfruttamento umano di cui questi giganti si avvalgono per permettere il loro funzionamento.

 

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