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Dalla padella alla friggitrice. Sulle proteste universitarie a Torino

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Ieri il secondo appuntamento chiamato per contestare il nuovo Campus urbano sorto accanto a Palazzo Nuovo, ha visto la partecipazione di oltre 200 universitari.

Inizialmente il flash-mob doveva partire dal MC Donald’s, che proprio in vista della mobilitazione ha però deciso di chiudere i battenti e rimandare l’apertura, prima piccola vittoria. Ci si è quindi spostati per raggiungere il Burger King, cercando di bloccare l’attività e farle perdere gli incassi: sono stati forzati entrambi gli accessi ma la polizia si è schierata spintonando e cacciando gli studenti.
Per la seconda volta gli studenti si sono diretti verso il Rettorato, ormai dependance della questura. Il Rettore non ha avuto il coraggio di presentarsi nemmeno stavolta: Non c’è, diceva un funzionario che, nel goffo tentativo di raffreddare gli animi, ha proposto di ricevere una delegazione di tre persone. Ma gli oltre 200 universitari hanno declinato il contentino. Troppo facile: “il Magifico ci deve ricevere tutti”
Non disposti ad accettare per la seconda volta questa umiliazione, gli studenti si sono poi spostati all’altro ingresso, chiuso da un cancello di ferro, dietro il quale tutta l’amministrazione universitaria guardava gli studenti mentre venivano caricati. La giornata si è poi conclusa con un’assemblea di fronte al Burger King, determinata a continuare la mobilitazione.

A una settimana di distanza dalla prima mobilitazione, la partecipazione continua a crescere, si comincia a chiedere il conto e continuano ad emergere delle cose che non si è più disposti a sopportare.
L’apertura del Burger King in una struttura non ancora terminata, per cui l’università ha stanziato 50 milioni, è stata la famosa goccia che fa traboccare il vaso.
Ci sono tante questioni che si aprono, e che stanno animando questa protesta.
C’è un senso di ingiustizia rispetto a uno spreco di risorse che sono di tutti.
C’è anche il sentirsi presi in giro, perché gli studenti non vengono mai interpellati. In niente.
C’è sicuramente anche un senso di inimicizia verso ingombranti multinazionali che possono permettersi tutto: gli spazi delle università, lo sfruttamento dei dipendenti, l’alto impatto ambientale causato da queste catene produttive.
Ma c’è qualcosa, che è veramente importante, che si percepisce nello stare assieme anche se non è ancora troppo chiaro cosa sia. Di certo un qualcosa che va ascoltato, un qualcosa che sarebbe miope rischiare di circoscrivere in una proposta politica statica e predefinita, perché ciò significherebbe perderne la ricchezza e complessità.
È più come un generale senso di saturazione, che ormai è troppo e non si può sopportare di più: spese continue per tutto, stress, malessere. “Questa università fa schifo, e aprono un Burger King”, “Non ci ascoltano, abbiamo bisogno di altro non di questo posto di merda”, “È tutto a spese nostre”. Bastava guardarsi attorno per capire gli umori, bastava guardare avanti e c’era sempre qualcuno che ci stava mancando di rispetto, che non era dalla nostra parte.
Il Rettore, il Burger King, la polizia.
“Il punto è che qua decide sempre qualcun altro cosa dobbiamo fare, la polizia, il rettore…”

La vivacità di queste giornate non farà tornare i conti a chi tenta di mettere bandierine, o prova a sovracostruire con campagne politiche.
Una cosa sembra fondamentale, fare in modo che stavolta siano gli studenti a decidere cosa fare di quella palazzina, ancora in piedi nemmeno per metà. Ed è stato questo che ha incoraggiato un appuntamento settimanale in cui incontrarsi. E questa aspettativa è giusta, imprescindibile e non va delusa: basta guadagnare a spese degli studenti. A loro va tutto a noi non resta niente.
Vogliamo che quei 50 milioni vengano usati per garantire le nostre necessità, e questo va fatto ora. Non c’è alternativa possibile.

Da Collettivo Universitario Autonomo

 

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