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Sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto: due ragioni che spiegano perché non può essere difeso

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Lo sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto, avvenuto ormai quasi una settimana fa, impone una riflessione. Perché se è vero che le modalità non sono accettabili, è anche vero che non è la prima volta che lo stato – comprendendo questo governo, ma anche quelli precedenti, senza distinzioni – si manifesta solo ed esclusivamente con esse. Ed è vero che, come sempre, non si può parlare di una situazione senza guardarla nel suo complesso.

Quello che è successo, è che il 22 gennaio, martedì scorso, con un preavviso di meno di 24 ore, forze dell’ordine e pullman dell’esercito si sono presentati davanti al Cara di Castelnuovo di Porto – il secondo centro di accoglienza d’Italia per grandezza, dopo quello di Mineo. In pochi minuti, hanno preteso che le persone presenti nel Cara – donne, uomini, bambini, provenienti per la maggioranza da Nigeria, Somalia, Eritrea, Sudan – salissero sui pullman, direzione sconosciuta. La comunicazione circa le “operazioni” è arrivata solo il giorno prima ai gestori del centro. Diretta conseguenza del cosiddetto decreto Salvini e ordine, appunto, del ministro dell’Interno, il quale specifica che chi ha diritto alla protezione – perché in possesso di permesso di soggiorno per asilo, o perché ancora in attesa del giudizio finale della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale – continuerà ad essere accolto, ma in altre strutture, in altre regioni. Chi invece non ha diritto – ossia chi è in possesso di permesso di soggiorno per protezione umanitaria, e in base al decreto Salvini non gode dell’accoglienza – viene allontanato dal centro, e lì finisce l’intervento dello stato. Queste persone hanno cercato quindi in modo autonomo dei passaggi verso Roma, e non si sa dove andranno a finire.

Quello che è successo subito dopo, è che diverse persone hanno manifestato contro questa azione del governo. Il sindaco di Castelnuovo di Porto in primis, che ha sottolineato come questa operazione porti non solo al fallimento di ALCUNI percorsi positivi intrapresi con ALCUNE persone presenti nel centro, ma anche alla perdita del lavoro per oltre 100 persone, ossia i dipendenti della cooperativa Auxilium che aveva in gestione la struttura. Proprio i dipendenti hanno messo in atto una protesta davanti ai cancelli del Cara, insieme ad altre persone, che hanno manifestato solidarietà ai migranti e ai lavoratori: associazioni, sindacati, singoli. La parlamentare di LeU Rossella Muroni con la propria presenza ha bloccato un pullman in uscita dal centro, pretendendo delle informazioni circa dove venivano portate le persone. “Non discuto della legittimità dei trasferimenti, ma sui quei pullman ci sono donne, bambini, uomini. Vogliamo sapere dove andranno e cosa troveranno al loro arrivo”, ha affermato una volta lasciata la propria posizione, permettendo al pullman di passare. Si era saputo dove li avrebbero portati. Chissà se i trasferiti volevano andarci.

Quello che è successo, dopo, è anche che molte persone hanno offerto ai migranti coperte, vestiti, e anche posti letto in casa propria, in quella che i giornali definiscono una “gara di solidarietà”: locuzione molto usata dopo i numerosi sgomberi che DA ANNI stanno interessando questo paese, e Roma in particolare. Queste prove di forza dello stato, mai seguite (per non parlare di, utopia!, precedute), da interventi di sostegno alle persone, lasciano una desolazione che, a volte, viene colmata da singole cittadine e cittadini. Lo abbiamo visto dopo lo sgombero di Ponte Mammolo, che ha portato a quello che ora è conosciuto come Baobab, ad esempio. Non lo abbiamo visto con altre situazioni, come ad esempio lo sgombero di piazza Indipendenza.

Questo è, molto sinteticamente, quanto successo. Ma ci sono alcune cose che vanno dette. Il Cara non può essere difeso, per due ragioni: la prima, è contenuta nell’espressione che in questi giorni molti giornali stanno usando, ossia “il secondo Cara piu grande d’Italia”, che già di per sé dovrebbe far destare qualche dubbio. Il Cara di Castelnuovo è una ENORME struttura, che ha ospitato anche 800 persone (al momento dello sgombero c’erano poco meno di 400 persone). Una struttura recintata, con un gabbiotto di guardiania all’ingresso. Niente intorno: non un’abitazione, un bar, una stazione. Un senso di alienazione sconfortante si percepisce appena si arriva. Nel cortile che circonda la struttura, una stanza ospitava il presidio permanente di militari e carabinieri. Molte stanze versavano in condizioni fatiscenti, con le lenzuola di carta appese alle finestre, prive di tende o persiane. A colazione, pranzo e cena ci pensava un catering esterno. Il pocket money dato alle persone doveva essere speso all’intero di un piccolo market, dentro il centro.

La seconda ragione, forse la piu importante, comprende una riflessione piu ampia, che abbraccia il concetto di accoglienza. Ci sono strutture e strutture, certo, e il Cara di Castelnuovo era una delle peggiori. Ma il sistema di accoglienza in sé, quello portato avanti fin d’ora con la gestione delle cooperative, continua a proporre un modello gerarchico che non lascia spazio alla libera autodeterminazione delle persone, che inferiorizza, che obbliga le persone a concepire i propri diritti come concessioni, in situazioni prive di intimità, dove ogni passo è supervisionato da qualcuno a cui viene dato il potere di farlo: l’apertura della dispensa, l’orario per guardare la televisione, cosa mangiare e quando, tutto viene scandito dai ruoli presenti all’interno delle strutture.

Voi vivreste, felici, in questo modo?

Ora: le condizioni in cui è stato fatto lo sgombero sono indegne, certo. Esattamente come per gli altri sgomberi che si sono succeduti sempre piu frequentemente in questi anni: senza preavviso, senza soluzioni alternative, andando a creare sempre piu marginalità, destrutturando reti. Di fatto, creando piu problemi. A pensar male, verrebbe da dire che è una strategia: creare il disordine per poi dire che c’è bisogno di ordine. Ma solo a pensar male, sia chiaro.

Ma non è necessario legittimare una situazione indegna per opporsi a un’altra. Il Cara di Castelnuovo di Porto non è un modello positivo, come non lo è nessun centro, e men che meno “il secondo piu grande d’Italia”. Il Cara di Castelnuovo era un posto dove venivano, di fatto, messe le persone in attesa: del permesso di soggiorno, di un altro centro di seconda accoglienza, della cosiddetta relocation verso un altro paese europeo (ennesima trovata, peraltro guarda un po andata male, dell’Europa). Difendere il fatto che i bambini andavano a scuola, o che qualcuno sia riuscito a inserirsi in un percorso positivo di “integrazione” sociale, è dichiarare il nulla, visto che l’istruzione è un diritto sancito costituzionalmente, e per quanto riguarda i singoli che seguono percorsi..bè, dovrebbe essere, stando all’ufficialità, l’obiettivo dichiarato di ogni centro.

Con lo sgombero, le persone sono state trasferite, come pacchi, da un giorno all’altro. Qualcun altro ha deciso per loro.

Nel Cara, le persone dovevano rimanere (a volte anche anni) in condizioni pessime, in un circuito di assistenzialismo, in attesa dell’esito di una risposta: dalla Commissione, dall’Europa…qualcun altro decideva per loro.

In entrambi i casi, le volontà delle persone, le aspirazioni, le necessità sono annullate. Le due cose sono due facce, sicuramente diverse, ma di una stessa medaglia. E’ necessario riconoscerlo, per lottare non contro una singola operazione, ma contro un modello da smantellare.

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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