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Zombie banking: la spettrale estate delle banche italiane che illuminerà le banche di luce sinistra

La crisi delle banche italiane, di cui questa testata parla da tempo, è destinata al suo termine, a lasciare un sistema bancario, se ne lascerà uno riconoscibile come tale, ben diverso da quello presente nello scenario precedente alla crisi. Ben diverso e comunque legato a un rapporto tra risparmio e rischio maggiormente sfavorevole per un ceto medio in declino, per strati popolari in crisi permanente ma anche per il mondo delle piccole e medie imprese. In fondo, basterebbero queste parole, aggiunte alla constatazione che la crisi delle banche italiane è solo un capitolo a parte di quella delle banche europee, per aver assolto il compito di questo articolo: informare sulle trasformazioni sistemiche dei processi di conservazione ed erogazione del denaro. Processi che non sono solo interni al sistema bancario e finanziario, così come sono genericamente conosciuti, ma anche a una più generale crisi del valore. Inquadrando la questione in questo modo va infatti preso sul serio il Financial Times, in un articolo di analisi, quando inquadra questa crisi a partire da alcuni dati incontrovertibili, affermando che le banche non saranno mai più le stesse e, facendo forza sui grafici dell’articolo, va segnalato come in Europa, a partire dall’inizio della crisi (2007), il settore finanziario continentale abbia perso un valore pari all’intero Pil spagnolo. I servizi finanziari europei, con la crisi, nel complesso hanno perso infatti circa un trilione di euro di valore in termini di Pil. Si tratta del settore che, con la crisi, ha perso più di tutti in assoluto in Europa, persino più dei petroliferi seppur toccati da un ribasso spettacolare del prezzo del barile. Il tutto, per stracciare un po’ di luoghi comuni, mentre industria e tecnologie hanno aumentato il proprio valore in termini di Pil. Questo non è stupefacente per chi vede crescere questi dati regolarmente, ma è in distonia completa con le retoriche ufficiali. Quelle che al massimo ammettono la “lentezza della crescita“, parlano del “risanamento delle banche in linea con gli obiettivi europei” e che suggeriscono le immancabili riforme strutturali. Quelle non in grado di risolvere la crisi bancaria figuriamoci quella economica. Ma questi dati sono in distonia anche con le retoriche critiche che confondono i redditi dei banchieri con lo stato reale delle loro banche. Del resto, non è un mondo immediatamente intuibile quello dove l’indice S&P della borsa di New York tocca i massimi storici mentre i bilanci delle maggiori aziende che lo compongono vanno in rosso in quattro rilevazioni consecutive. E dove il più conosciuto speculatore di sempre, George Soros, scommette un miliardo di dollari proprio contro la borsa maggiormente in salute. Se tra qualche anno le banche non saranno più le stesse, sempre se ci saranno nella forma che conosciamo, anche il pensiero critico di questi fenomeni, fermo a parole d’ordine generiche e immobili, dovrebbe subire i suoi bravi upgrade. In ogni caso la crisi delle banche europee, per fermarsi a quelle, è il grande convitato di pietra dell’ultimo decennio.

Nel settore dei servizi finanziari europei, dal 2007, il bagno di sangue è avvenuto proprio nel settore bancario. Certo, le avventure nei titoli tossici oltreoceano hanno segnato le banche europee, e di brutto, ma la crisi soprattutto è di prospettiva. Qualche cifra intanto sul presente? Il Financial Times è chiaro: le azioni bancarie in Europa sono trattate al 40 per cento in meno del valore del 2007. Quelle delle banche tedesche ed italiane sono al 15 per cento in meno per lo stesso periodo (il Monte dei Paschi, perla del centrosinistra, al 99 per cento in meno dal 2007). Nello stesso periodo il sistema bancario europeo ha perso, tra crisi ed evoluzione tecnologica, 27mila filiali (il 13 per cento complessivo) ed oltre 210 mila posti di lavoro, il 10 per cento complessivo della forza lavoro nel settore. Non che l’occupazione si sia stabilizzata, solo per l’Italia nel prossimo quadriennio sono previsti 16 mila esuberi. Questo dopo averne persi 12 mila nell’ultimo triennio, compreso quindi il biennio della ripartenza renziana quello della ripresa “alla grande“.

E’ quindi un tema che viene sostenuto da tempo su questa testata e che merita insistenza: nel migliore dei casi la banca, per come l’abbiamo conosciuta, ha attraversato, e sta attraversando, ristrutturazioni pari a quelle vissute dalla fabbrica fordista a partire dalla metà degli anni ’70. Come accaduto per la fabbrica fordista, sulla quale si sono basati cicli economici e di evoluzione sociale per circa settanta anni, al momento in cui il nuovo assetto produttivo non somiglierà per niente al vecchio ci ritroveremo, in modalità atterraggio brusco, in un altro genere di società. Una società che rischiamo di non capire e solo di subire. Già, perché la banca non è un fatto puramente tecnico ma il luogo dove si eroga, si produce (basta vedere l’ormai storico rapporto della Banca d’Inghilterra per entrare nella questione,quì ne trovate una sintesi) e si contratta l’elemento egemone delle relazioni sociali, quello che nel capitalismo comanda in ultima istanza: la moneta. Quando si parla di moneta non si parla quindi di un oggetto qualunque. Ma di un qualcosa che, nelle sue modalità di erogazione, governa economia e rapporti sociali. Altro che fatto “tecnico”. Ed è un qualcosa che si è ristrutturato ben prima di un oggetto qualunque: la moneta ha infatti di gran lunga anticipato lo stesso processo che, a suo tempo, ha vissuto il brano musicale con l’mp3: digitalizzazione, trasmissione in ogni luogo e in tempo reale. Alla fine però, come l’mp3, è entrata in piattaforme P2P (in questo caso di prestito) ed è divenuta imitabile (si pensi al mondo di cui i bitcoin sono solo la punta dell’iceberg). Ma non dobbiamo qui togliere la scena al vero, grande atto principale: quello dove crisi del valore ed evoluzione tecnologica si sposano. Il punto quindi che l’intera politica, figuriamoci quella italiana orgogliosa delle proprie regressioni, è destinata a non cogliere ancora a lungo, è che crisi complessiva del valore, della redditività bancaria ed evoluzione tecnologica non stanno cambiando violentemente, solo il mondo bancario ma anche le modalità sociali della distribuzione e della circolazione della moneta. In poche parole, tutto il rapporto sociale che sta attorno alla moneta che questo rapporto lo egemonizza. E basta ricordarsi quanto le modalità di erogazione di un mutuo cambiano i comportamenti del nucleo familiare che lo contrae per entrare, appena appena, nel problema.

Questo per capirsi su un tema: la crisi delle banche italiane, per fermarsi al fatto nazionale, non è solo quella di un ceto manageriale e politico bollito, o parolaio (si pensi a Renzi o all’impagabile comico presidente dell’Abi, Patuelli, già fine italianista e segretario del Pli). Un ceto bollito come nessuno in Europa, in grado inevitabilmente di fare le scelte sbagliate. Un ceto corporativo, abituato a dare in pasto “al mercato” settori di società per salvarsi dalle ristrutturazioni senza aver capito, stavolta, di rischiare di fare parte del pasto. Tutto vero, ma oggi si tratta soprattutto di evidenziare che la crisi di un sistema bancario nazionale è giunta a una fase di convulsioni che è, nel migliore dei casi, indice di profonde e dolorose trasformazioni di scenario. E oltretutto di uno scenario che, come in qualche racconto breve di Fredrick Pohl, contenuto da altri scenari. In questo caso dalla crisi del sistema bancario europeo e dalla più generale crisi della redditività delle banche nel mondo globale.

In un paese non più abituato a guardare gli scenari, dove il massimo del brivido politico consiste nel declamare il luogo comune che “bisogna far funzionare le cose” non è problema da poco. E qui un punto è chiaro, da posizioni diverse, sia governo che opposizioni, non avendo colto da angolature differenti la portata della crisi e delle trasformazioni del mondo bancario, non propongono che soluzioni da Zombie banking. Stiamo parlando di quel corpo di misure, messe in atto o auspicate che mantengono, finché possibile, le banche in stato di vita apparente. Il governo vuole le Zombie Bank per tenere in vita un ceto politico-manageriale vorace, corporativo, autoreferenziale. Le opposizioni, a vario titolo, immaginano soluzioni Zombie perché hanno in mente un mondo bancario che o non esiste più o non è mai esistito. In fondo tutti, sempre a vario titolo e immaginazione, auspicano quello che hanno fatto finora tante autorità di vigilanza, i banchieri, i bilanci degli stati, la governance europea la stessa Bce: tenere in vita artificiale corpi bancari morti. Non è certo solo una questione italiana ma, affermarlo troppo rischierebbe di sviare dalla realtà: in un modello economico-finanziario continentale devastante l’Italia si è comportata in modo demenziale.

L’operazione di mantenimento in vita, di banche morte, è il fenomeno che ha determinato la politica europea dal 2007. Oltretutto con pochi reali risultati: dopo Lehman, Deutsche Bank era gonfia di titoli tossici, in grado di poter far saltare il pianeta come durante una guerra finanziaria su larga scala, e lo è anche adesso. Per non parlare delle banche francesi, Credit Agricole in testa. Ogni modo l’operazione Zombie banking, tenere il morto in vita apparente dopo la crisi, è stata fatta da tutti i paesi dalla Germania all’Italia anche se in forme molto diverse. Ed è la stessa operazione che auspicano, con tante proposte minimali, le opposizioni quando si ricordano di parlare delle banche: tenere in vita organismi che, per il mondo che si è formato,di fatto sono già morti. Poi ci sono i mistici del mercato: quelli per cui i licenziamenti significano salute, corpo sano che espelle le tossine (inevitabilmente, i lavoratori). Quando invece, a differenza dei gridolini dei mistici del mercato ad ogni annuncio di taglio, il fenomeno è altro: lo Zombie Banking, dal 2007, presuppone i licenziamenti dei lavoratori per protrarre lo stato di vita artificiale delle banche di cui si impossessa. Ma quando è prevista la caduta degli zombie, visto che lo stato di vita apparente non è mai infinito?

In Italia, la decretazione o meno della fine della vita apparente delle banche passa attraverso la vicenda Monte dei Paschi. Il cui titolo, da florido che era fino a non molti anni fa, è passato a valori infinitesimali. Le cui percentuali di crediti deteriorati sono molto alte, tali da far saltare la banca. Il cui capitale è ridotto a quantità ridicole per una banca di quel genere (meno di ottocento milioni). Semplificando il possibile, la soluzione della vicenda Monte dei Paschi è ritenuta esemplare, dopo le nuove norme sui salvataggi bancari. Perchè altre banche, più grandi di MPS, avranno bisogno di interventi seri (Unicredit) ed è comunque l’intero sistema bancario nazionale ad essere messo alla prova in questi passaggi cruciali. Bene, senza riassumere le (lunghe) precedenti puntate, a che punto è il salvataggio di MPS?

Tenendo conto che qui, quando si parla di salvataggio, si intende una operazione di zombie banking, la riposta non può che essere: male, nel migliore dei casi ancora in alto mare, e con possibili ripercussioni negative per l’intero sistema bancario italiano (e, a cascata, su vaste porzioni di società italiana). Non è chiara la composizione del portafoglio degli investitori per l’aumento del capitale, qualcuno si è sfilato dopo iniziale interesse, non è chiaro neanche l’ammortare dei crediti non performativi da smaltire (ad esempio c’è chi sostiene che in MPS le obbligazioni senior, quelle più onerose per la banca, siano maggiori di quanto stimato oggi). Ma anche se l’aumento di capitale in MPS avvenisse, e le difficoltà ad oggi ci sono e non poche, e i crediti deteriorati fossero smaltiti dove andrebbe quella banca? E‘ come ristrutturare a nuovo un negozio di alimentari, pagargli le tasse arretrate etc e rimetterlo al lavoro in un quartiere deserto. Perché il grande problema delle banche, quello che fa dichiarare lo stato di crisi permanente, è la crisi del modello di redditività. Con le ristrutturazioni tecnologiche, economiche, i bassi tassi di interesse, la crisi del valore, le banche non riproducono ricchezza. Un’occhiata a questo articolo è utile come primo inquadramento del problema. Capito perché si parla di Zombie? Si tiene in vita qualcosa che non è in grado di respirare nemmeno se le cose andranno meglio.

Il rapporto con Pil, su cui lo staff del mago Renzi-Do Nascimento sta scrivendo grande letteratura di intrattenimento, per il sistema bancario è il classico cane che si morde la coda. Un Pil così basso non può aiutare il sistema bancario e un sistema bancario da speculazione anni 90, ormai fuorigioco, non può aiutare il Pil. Ma anche cercando di tenere in vita lo zombie bancario italiano, licenziando qualche dozzina di migliaia di lavoratori, al governo Renzi al momento mancano le risorse. Già l’esecutivo stima che dovrà chiedere, e sarà una dura battaglia, quasi dieci miliardi di sforamento di deficit alla governance dell’eurozona per la prossima legge di stabilità. Se il “salvataggio” MPS non entra a regime, se continuano le grandi difficoltà in borsa del sistema bancario italiano, in un listino borsa Milano dove i finanziari sono molto diffusi, il governo avrà anche il problema di dover trovare fondi per evitare il cupio dissolvi delle banche nazionali. In ogni caso la spettrale estate delle banche italiane è destinata a gettare ombre sinistre sull’autunno. Nel migliore dei casi si faranno salvataggi che non servono, o servono poco, all’economia. Nel peggiore sarà come se gli istituti di credito saranno sottoposti a bombardamento. Nel mezzo c’è una stagione di forti turbolenze per tutti, dai risparmiatori alle famiglie, alle banche, all’economia.

Naturalmente non è un problema solo italiano. I crediti “avariati” delle banche europee superavano il 9% del Pil dell’Ue a fine 2014, per un valore pari a 1.200 miliardi di euro, ovvero più del doppio rispetto ai livelli del 2009, quando si era attorno al quattro nel primo anno del dopo Lehman-Brothers.

James Quinn sul Telegraph, parlando della annunciatissima crisi della banca HBSC, non proprio un nano nelle banche globali, ricordava la crisi di redditività globale del settore. Va cambiata la visione delle banche, da dei che hanno sete, a giganti ai quali manca il sangue. Non è una questione di adattare estetica e racconto ai fenomeni, ma di saper costruire le politiche. Intanto cercano didiffondersi le banche Uber, sulle quali ci sono già modelli diffusi nel mondo anglosassone.

Ad un certo punto statene certi questo o una cosa simile, o il concorso di cose simili FUNZIONERA’. E’ accaduto per ogni bene riducibile a segno, grazie alle evoluzioni tecnologiche, figuriamoci per la moneta che è solo puro segno. Quando questo funzionerà vedremo cosa accadrà nel nostro paese. E, incidendo nel sistema del credito che è socialmente essenziale, tutto questo finirà per cambiare non poco.

Proposte fiabesche, fatte da opposizioni anche molto diverse tra loro, di “far funzionare le cose“, o di tutelare “‘pacchetti di nuovi diritti“, senza mostrare di aver ben chiaro dove e come mettere le mani in questo contesto, sono quindi destinate a rimanere quello che oggi appaiono: declamazioni pittoresche sulla superficie, retoriche di eticismi anemici in un mondo che si dirige altrove. Questo non è un contesto tecnico, poteva esserlo prima della globalizzazione dei mercati, ma è un settore sistemico chiave. Un settore nella cui crisi sono in molti, prima di tutto l’attuale governo, a rischiare il ruolo degli assediati di Aleppo. Nel frattempo le sinistre ombre estive delle Zombie Bank italiane si preparano a proiettarsi sull’autunno. E qui basta guardare i grafici italiani su consumi, produttività, investimenti e le proiezioni sul Pil per capire che parlare di decennio maledetto, quello apertosi con i primi segni di crisi nel 2007, è solo una professione di ottimismo. Certo, la crisi europea è differente da paese a paese, da Pil a Pil. In generale invece c’è da capire quanto, e come, le nostre società, che vivono di sub-sistemi sociali e tecnologici molto complessi, possono sopportare lunghe crisi come quella americana, apertasi con il crollo di borsa del 1873, che secondo alcune stime arrivò fino al 1896. Per questo le ombre sinistre appaiono tali.

da: senzasoste.it

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