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Le madri non scrivono, vengono scritte

Pubblichiamo il contributo della Mala Servenen Jin – Casa delle donne che combattono di Pisa su quanto accaduto a Roma questo fine settimana.

Vogliamo riportare questo esempio di narrazione tossica conseguente a una violenza patriarcale difficile da nominare e riconoscere.

Queste righe sono piene di rabbia ma anche di voglia e necessità di lottare insieme, per affrontare le violenze che viviamo nell’individualità ma che possono essere cambiate solo collettivamente.

I titoli si affollano, colpevolizzanti verso la madre, verso le ostetriche, verso le infermiere… dipende dalle testate.

Potremmo chiamarla violenza ostetrica, è qualcosa che già abbiamo sentito nominare, in Venezuela è così definita dalla legge “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.

Ma “violenza ostetrica” è estremamente riduttivo. Non si tratta del parto e post-parto e basta, ma del processo violento che subisci dall’inizio della gravidanza, spesso e volentieri in ambito “sanitario” ma non solo, in cui ti inculcano la sottomissione ad un ruolo patriarcale della maternità fatto di sacrificio, sofferenza, solitudine, competizione, vergogna in cui la tua identità non esiste più e non deve esistere, deve essere sepolta nel ricordo, non devi chiedere ne pretendere niente, devi riuscire da sola se no non sei buona, non sei forte abbastanza, non sei abbastanza “autodeterminata”. Ti sottoponi a livelli di stress, di carico di lavoro emotivo, fisico e mentale CONTEMPORANEAMENTE, è impensabile ma il mondo intorno a te è lì a dirti continuamente che non fai niente di speciale, niente di straordinario, tutto ordinario e “naturale”.

In una crisi sociale, economica, ecologica, pandemica e altre amenità di questa epoca, diciamocelo da sole che invece facciamo troppo!

E più facciamo e più ci viene chiesto, anzi preteso!

E se ti viene concesso qualcosa è sempre in cambio di qualche altro sacrificio TUO, ma in quel momento non puoi farne a meno, non hai scelta.

Così funzionano le istituzioni sanitarie, sociali, educative…e purtroppo non solo le istituzioni ma anche tanti rapporti umani, in una società intrisa di patriarcato, classismo, sessismo e razzismo invisibilizzati.

Per concludere riportiamo solo un esempio condiviso con noi e che probabilmente sarà comune a tantә.

Se scegli (?!) un reparto maternità in cui fanno rooming-in (neonato in camera) sei sola, con altre neo-mamme doloranti e neonatə urlanti 24h/24h. L’alternativa è non avere scelta nel rapporto con tuә figlә, che vedrai solo a orari preordinati.

Dicono che è per rafforzare il rapporto mamma-figlə, come se non avessi anni davanti a te per costruirlo. Se devi andare in bagno (con il tempo e il coraggio che ci vuole in quelle condizioni), mangiare o dormire un po’ devi chiedere e non sempre ti è concesso, te lo fanno pesare (salvo eccezioni) quasi fossero capricci, dimostrazione di incapacità, fallimento…

Per com’è organizzato, spesso e volentieri, è più un modo per il sistema sanitario nazionale di risparmiare sul personale, come su tutto ovviamente, ma su queste cose ci vanno giù di colpevolizzazioni sulle donne (e sul personale, con conseguenze diverse).

Ciò che spacciano come sostegno all’autonomia e alla scelta lo è solo a certe condizioni, pesanti condizioni. Sei mamma devi patire. Lo devi capire da subito!

Pensiamo a questa donna, a come si sentirà.

Mediatimo vendetta per tutto questo male che ci fanno da millenni!

“Hermana, si mañana soy yo, si mañana no vuelvo, destruyelo todo”

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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