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UniCal: Assalto 2.0, liberiamo spazi per resistere

Questi luoghi erano stati sottratti agli studenti ed alle studentesse che li autogestivano e li facevano vivere di cultura, socialità e lotta. Tutte cose scomode ed indigeste al potere che, soprattutto nel campus di Arcavacata, ha reazioni sconsiderate ogni qualvolta la rabbia e l’autorganizzazione si incontrano nelle occupazioni, nelle autogestioni, nei movimenti; mentre non perde tempo ad erigere monumenti allo spreco( come il nuovo Centro di Aggregazione Giovanile) con i fondi delle tasse degli studenti, abbassando contemporaneamente il livello dei servizi.

La riappropriazione di questi spazi è stata la miglior risposta che si poteva dare agli sgomberi, orchestrati dalla mano di un rettore che in un delirio di autoritarismo ha cercato di imporre la trasformazione del campus in un non-luogo, un mero esamificio vuoto di attività e contenuti in cui la voce dei precari e degli studenti venisse ridotta al silenzio.

L’incuria e la rovina a cui erano destinate queste aule non sono solo l’emblema di una gestione feudale e dispotica dell’ateneo, che si protrae da quasi venti anni a colpi di rinnovo del mandato e di contentini elargiti a baroni e faccendieri, ma anche sintomo della crisi che sta attraversando l’università italiana distrutta da decenni di scellerate contro-riforme e tagli, ultima delle quali la tanto contestata Riforma Gelmini-Tremonti.

Dentro e oltre questa “crisi” e questi luoghi abbiamo portato avanti percorsi e battaglie, con ancora maggiore determinazione attraverso iniziative, assemblee, dibattiti ed azioni politiche, espressioni della rabbia e del disagio sociale che nel collasso del capitalismo diventano sempre più irrappresentabili, incompatibili ed irriducibili alla mediazione.

Il feroce attacco ai diritti, alle libertà ed alle condizioni di vita vorrebbe trasformarci sempre di più in agnelli sacrificali da portare all’altare dello spread, del debito e della speculazione finanziaria.

In questo contesto occupare spazi significa opporsi alla crisi sistemica di un modello di sviluppo che per rigenerarsi non può che accrescere la polarizzazione sociale tra chi è costretto a pagare i costi della crisi e chi su questi costi continua ad arricchirsi. Opporsi e lottare quindi, ma anche iniziare a praticare dal basso nuovi modelli sociali aggregativi che dovranno inevitabilmente andare a soppiantare quelli esistenti.

Far vivere questi posti significa, anche, dare voce e corpo a tutti quei movimenti sociali che dalle montagne della Val Susa fino alle sponda sul del Mediterraneo parlano il linguaggio conflittuale di quelle comunità  resistenti che stanno trovando dentro la crisi lo spazio per iniziare il proprio percorso di liberazione . Le stesse comunità che in ogni 25 Aprile dal 45 in poi non vedono un punto di arrivo ma l’inizio di un nuovo percorso di un nuovo Assalto.

Un 25 Aprile può ripetersi sempre!

L.S.A. Assalto 2.0

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