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Paris nous appartient

Ieri a Parigi si è assistito al più imponente corteo dopo tre mesi di mobilitazione contro il progetto di riforma del mercato del lavoro. Difficile stabilire se si tratti del colpo di coda di un movimento che comunque si è dimostrato capace di durare, attraversando diversi cicli con l’attivazione di composizioni estremamente distanti, ma sempre aggiornandosi nell’intensificare la conflittualità contro la normalizzazione liberista della legge El Kohmri. Qualche elemento di bilancio dopo lo straordinario corteo di ieri può essere in ogni caso delineato.

Sulla stampa francese, in riferimento alla giornata di ieri, a tener banco è lo scandalismo per qualche vetro danneggiato dell’ospedale Necker durante il corteo. Un moralismo repubblicano debole, spia della difficoltà a stigmatizzare la figura del ‘casseur‘, parte integrante, e anzi punta avanzata nella dimensione di piazza, di un movimento sicuramente eterogeneo ma sicuro della propria direzione. Soffermarsi su quest’episodio ingigantito dai media di Francia può essere utile per cogliere alcuni aspetti. Il movimento contro la Loi Travail sorge sullo slancio posto dai gruppi organizzati giovanili nei cortei studenteschi di guadagnare la testa delle manifestazioni per condurle scontrandosi contro l’apparato di contenimento poliziesco. Ciò ha di fatto portato in sequenza a: radicalizzare sul piano dell’ingovernabilità di piazza i cortei di protesta contro la Loi Travail; a investire una composizione giovanile mista, di differenti estrazioni sociali, dell’immediata politicizzazione di un movimento potenzialmente soggetto a un rapido recupero sul piano della concertazione sindacale; a costringere le organizzazioni sindacali a seguire per non strappare con la propria base sempre più attiva nelle mobilitazioni sorte su questa premessa conflittuale.

Per tornare all’episodio dell’ospedale Necker risulta più facile capire com’è successo che dei vetri finissero danneggiati nell’ostacolare una delle decine e decine di manovre che vedevano la polizia provare a costeggiare il corteo per aggredire la testa al successivo incrocio nel tentativo di spezzare la manifestazione. Le teste dei cortei. Per rendersi conto di quello di cui si sta parlando bisogna fissare questo dato: un corteo che potremmo definire unitario – nel senso di esser diventato riferimento per tutti i soggetti che si rappresentano come interni al movimento e non frutto di una convocazione a tavolino tra organizzazioni –, rispetto al quale la CGT ha dichiarato la partecipazione di un milione e trecentomila persone e di centinaia di migliaia di suoi iscritti, è stato condotto, nella sua testa, da uno spezzone autonomo, determinato a farsi strada contro i mille e duecento agenti predisposti per incanalarlo e contenerlo. Obiettivo: effetto straripamento.

Nella giornata di ieri, fin dal primo metro, a ogni incrocio, ogni presidio di polizia, fuori o dentro le reti di contenimento, diventava bersaglio. In particolare l’incrocio tra Boulevard du Montparnasse e rue de Sevres è stato teatro di scontri protrattisi a lungo, con tentativi, prima riusciti, poi attaccati e infine respinti, di spezzare il corteo nella sua testa, determinata a marcare un’inconciliabilità di base dell’ostilità alla Loi Travail e al suo mondo. Nonostante gli appelli a moltiplicare le teste di un’idra incontrollabile, la testa è rimasta una: determinante e conflittuale, oggetto delle preoccupazioni della polizia, affannata nel tenerle… testa. In quell’incrocio abbiamo visto anche operai, portuali, ferrovieri, salariati del pubblico impiego in genere, muoversi singolarmente con la loro bandiera della CGT o di altre organizzazioni nella marea che resisteva a ondate alla polizia, nonostante i vertici del sindacati più rappresentativi avessero staccato la spina nei giorni precedenti ad alcuni scioperi nevralgici (uno su tutti quello dei netturbini di Parigi) e gioissero per l’apertura di un tavolo di trattativa venerdì con la Ministra El Kohmri.

Per quanto una fase recente del movimento sia stata segnata da scioperi massicci che hanno attivato i salariati e ruota le loro organizzazioni, processi ricompositivi ancora stentano a darsi compiutamente. Ma certo questi non nascono per sommatoria quanto piuttosto scorgono le proprie premesse nelle indicazioni fornite dal movimento conflittuale che si sprigiona e dai solchi che questo è in grado di scavare. Tre mesi di cortei di testa (cortege de tete) e della possibilità da questi indicata hanno richiamato a Parigi centinaia di migliaia di persone disposte a farsi carico di una direzione di conflitto mettendo in crisi le forme del governo politico della forza lavoro in Francia. Eppure nella battaglia sulla spianata des Invalides, durata circa un’ora, mentre la coda della manifestazione ancora partiva da Place d’Italie, in cui i manifestanti resistevano alle cariche, ai lacrimogeni e agli idranti della polizia che faceva irruzione nella piazza per liberarla dalle migliaia e migliaia di partecipanti al corteo di testa e consegnarla ai sindacati, si leggeva la volontà politica da parte della polizia di separare composizioni organizzate per codici differenti ma non per questo non attraversate da una certa fluidità – quella dell’invarianza di vite messe in ginocchio laddove i flussi capitalistici si intensificano – e disponibilità a contaminarsi nell’intransigenza contro il modello Loi Travail.

Probabilmente una delle variabili su cui il movimento verificherà la sua tenuta nelle settimane a venire risiederà nella capacità a organizzare questa disponibilità in nuove forme, tanto sfasciando le forme del sindacato che apre alle trattative quanto riaggiornando quelle della militanza autonoma alla complessità che è stata in grado di far emergere. Perché il punto di partenza resta questo: è stata l’ostinazione nel voler rompere un governo delle forme della protesta, a partire dallo scontro con la polizia, a innescare un processo che sta spostando equilibri più complessivi e aprendo a nuove possibilità per l’organizzazione di una traiettoria di un conflitto di classe, fosse pure, per iniziare, anche solo quello dei settori salariati e garantiti del pubblico impiego o di una gioventù, in prevalenza bianca, proletarizzata e non proletaria ma strozzata e capace di reagire.

Nelle dichiarazioni degli esperti di turno, si legge la paura del sistema per il disconnettersi di un’intera generazione dal patto repubblicano: si parla di malaise française, di rischio anni di piombo, di un ’77 francese. I nomi sono solo nomi, spesso servono soltanto a coprire l’inquietudine di un qualcosa di imprevisto, visibile solo in  superficie (gli scontri con la polizia) ma spia di qualcosa di più profondo. Sotto sotto si agita il rifiuto di essere capitale variabile, cavie di laboratorio di un’ingegneria sociale volta alla creazione di un infinitamente ri-plasmato cittadino-consumatore. Questa Francia non ci parla di rivendicazioni o piattaforme, ci indica in quali forme, oggi, arriva ad esprimersi un rifiuto.

Un ultimo pensiero va infine al giovane in fin di vita per l’uso criminale delle granades de desencerclement della polizia (il secondo in un mese), punta dell’iceberg di un esercito di invalidati dalle flash-ball. Gli opinionisti del media mainstream, in questo caso, smettono di indignarsi, rendendo evidenti la distanza e l’irriducibilità che corre tra i due lati della barricata. Sì la Francia è divisa, come il resto dell’Europa (anche se non si vede). Si tratta di approfondire questa divisione, polarizzando, dando un volto ai nostri nemici. I/le francesi lo stanno facendo, cominciando a prendersela con quella sinistra che da decenni rappresenta la punta più avanzata della governamentalità tardo capitalista.

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