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No Tav: fermarci è impossibile

L’operazione poliziesca “Sì Tav” è anzitutto un messaggio politico, un messaggio mediatico. È rivolto, oltre che al movimento, all’intero paese. Si vuole dare una rappresentazione della lotta che ottenga l’obiettivo che la schiera di giornalisti prezzolati non è finora riuscita ad ottenere: rendere i No Tav antipatici alla massa dei telespettatori/elettori/consumatori (gli italiani, così come sono considerati dal potere). L’operazione poliziesca vorrebbe creare una rappresentazione secondo cui, dietro a una “etichetta”, il No Tav, esiste una rete nazionale di oppositori ideologici, estremisti, lontani dalla valle ma vicini ai fantasmi di cui lo stato ha sempre bisogno per sconsigliare ai cittadini di organizzarsi e resistere. I mezzibusti del tg sono stati ben attenti a qualificare gli arrestati non come No Tav “ordinari”, ma come “antagonisti No Tav”: non una parte del movimento, ma una parte estranea al movimento. Illusi. Loro stessi non credono più a ciò che dicono, si vergognano quasi nel dirlo, perché sanno di non essere più creduti. Ormai tutti sanno la terribile e splendida verità: questa valle, tutta la valle, ha preso la strada della resistenza. Le lobbies del Tav, non essendo riuscite quest’estate, proprio attraverso i giornalisti, a infinocchiare la Val Susa con la storia dei black bloc (la valle aveva risposto: “Siamo tutti black bloc!”), provano ora, in modo odioso e patetico, a infinocchiare il resto d’Italia attraverso i magistrati. La valle ha risposto ieri sera, con le fiaccole a Bussoleno: “Siamo tutti colpevoli!”.

Sanno che è un gioco rischioso: la solidarietà valligiana è in queste ore fortissima, quella nel resto d’Italia si sta dimostrando altrettanto estesa e determinata, in un momento in cui un numero sempre più alto di soggetti sociali si ribella alla politica dei sacrifici che vengono assurdamente chiesti per foraggiare la grande finanza. La situazione italiana parla di una degenerazione economica a sociale che è condanna storica del modello di sviluppo che i No Tav hanno sempre contestato; quel modello di cui il governo Monti è ultimo difensore, nel tentativo di arginare la crisi del neoliberismo rendendo l’Italia ancora più liberista. Il movimento No Tav è stato precursore dei conflitti sociali e delle critiche culturali e politiche che si affermeranno, che si stanno già affermando; per questo essere No Tav, per molti in questo paese, è l’ultima bandiera possibile, l’unica pulita: la prima, in verità, di un’epoca di cambiamento che è sempre più urgente veder arrivare.

Non è un caso che la magistratura, nel mettere le manette ai polsi ai No Tav, abbia scelto come volto pubblico il personaggio mediaticamente più spendibile, Giancarlo Caselli; spendibile perché, per la parte più distratta dell’opinione pubblica, può apparire come la persona “onesta” del sistema: quella che non ordinerebbe mai un arresto, se l’arrestato non fosse una persona pericolosa per la collettività. La storia professionale di Giancarlo Caselli è in realtà costellata di pagine tristi, odiose e autoritarie, che nulla hanno a che fare con la lotta contro i potenti, e molto con la lotta contro i movimenti; e questa è storia, anche se troppo poco conosciuta. Non è su questo, tuttavia, che vogliamo qui insistere riguardo alla sua figura. Caselli benedice i poliziotti che sorprendono i No Tav nel sonno perché i No Tav hanno mostrato che contro le mafie si vince davvero, e in maniera trasparente, se ci si organizza dal basso, insieme, in massa; soprattutto, se si evita di propinare una versione comoda e distorta della realtà, secondo cui lo stato e le mafie, all’atto di metter in piedi un cantiere supermiliardario, sarebbero due cose distinte. Caselli benedice le nostre manette perché siamo pericolosi; pericolosi, certo, perché abbiamo mostrato che non ci sono ideologie o partiti di cui abbiamo bisogno per ribellarci: gli schemi sono rassicuranti, noi, invece, imprevedibili. La valle e il Tav sono inconciliabili, così come la militarizzazione e la dignità, la politica cialtrona e l’intelligenza, i lacrimogeni e la libertà di manifestare. Né i valsusini, né coloro che con essi sono stati o sono solidali, in Italia e in Europa, sono uniti tra loro da un’ideologia: la realtà da combattere e quella da affermare sono un vincolo molto più solido, più comprensibile, e per nulla neutrale.

Mentre si svuotano le tasche dei pensionati in tutta la penisola, i pensionati della Val Susa vengono arrestati per essersi opposti alla consegna gratis ai privati di 23 mld di euro di denaro pubblico (previsioni della controparte, sicuramente al ribasso). Mentre il reddito degli italiani perde ogni giorno potere d’acquisto, lo stato spende giornalmente 90.000 euro per militarizzare la valle. Mentre il mondo ruggisce contro il vecchio sistema, e il vecchio sistema porta l’umanità alla rovina, politici e tecnocrati della finanza investono in tecnologie antiquate, in opere pubbliche inutili e dannose, in megatreni, inceneritori, nella privatizzazione dell’acqua (nonostante la voce del popolo!), dei servizi utili, delle risorse. Abbiamo mostrato come combattere contro il malaffare illegale e l’accumulazione capitalistica legale, la devastazione e il governo, gli intimidatori e i partiti, il PD e il PDL, confindustria e i sindacato giallo sia in ultima analisi la stessa cosa. In tutti questi anni il movimento ha affrontato il centro-destra e il centro-sinistra, soldati e mediatori, carrieristi e ruffiani, sindaci di Torino e commissari governativi, le imprese legate al Tav e i loro squallidi servi prezzolati, vergogna della classe operaia. È un movimento che ha visto cose che molti altri italiani non hanno (ancora) visto: la violenza sistematica e oltraggiosa delle divise, gli abusi quotidiani della digos e dei ros, la malafede conclamata della magistratura.

Abbiamo superato la fase difficile di Venaus, dove abbiamo ricacciato le truppe d’invasione con una spallata che impressionò l’Italia; quella di Susa e di Col di Mosso, dove abbiamo impedito la praticabilità del progetto complessivo delle trivellazioni; oggi rispondiamo all’aggressione poliziesca di Chiomonte e all’occupazione militare che ne è seguita con una delle mobilitazioni più grandi, estese ed emozionanti che questo paese ricordi, e che ricorderà in futuro. Ad oggi, non un chiodo per il progetto Tav è stato piantato. Questo è un movimento delle persone contro i robocop, dei beni comuni contro gli interessi privati, delle intelligenze contro la brutalità e l’arroganza che non conoscono discussioni; per questo ha potuto resistere vent’anni alla demonizzazione giornalistica, alle intimidazioni, alla disinformazione, agli incendi dei presidi, alle gomme tagliate, agli arresti, alle botte. Resisteremo anche alla retata della vergogna, alla retata del 26 gennaio. I No Tav non rischiano soltanto la galera, ma la vita durante le manifestazioni; c’è chi ha riportato ferite permanenti, chi ha rischiato e rischia la vista e l’udito, chi è finito in coma. Chi è stato in valle, chi ha visto e ha rischiato con noi, lo sa. Nella turbolenta fase 2 del governo Monti, in cui ministro-strozzino Passera ha dichiarato ancora che il Tav è opera prioritaria e irrinunciabile, affrontiamo 26 arresti, 41 provvedimenti giudiziari. Non abbiamo paura. I nostri compagni in carcere non hanno paura. Non cederemo di un millimetro, resisteremo un metro e un istante in più di loro. Che sarebbe stata dura, lo sapevamo e lo sappiamo; che sarà forse ancora più dura, in futuro, ce lo aspettiamo. Ma non ci arrenderemo, e l’Italia già se lo aspetta. Vinceremo noi, alla fine. L’Italia pronta a cambiare sarà dalla nostra parte, non dei nostri persecutori. Abbiamo resistito e resistiamo a tutto, perché non rinunciamo a nulla.

Fermarci è impossibile.

comitato di lotta popolare notav di Bussoleno

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