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Ma che schifo fa la “giustizia” italiana? Forza Mimmo

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La pesantissima sentenza nei confronti di Mimmo Lucano dovrebbe far riflettere su cosa rappresentano nel nostro paese i tribunali, le magistrature e le questure. Dovrebbe portarci ad aprire gli occhi sulla profonda differenza tra la giustizia e la cosiddetta legalità.

La condanna di Mimmo a tredici anni è solo l’ennesimo evidente caso di uso politico dei tribunali per orientare l’opinione pubblica, schiacciare l’attivismo sociale e normalizzare ogni anomalia che potrebbe rappresentare nel panorama del nostro paese una possibilità di forzare gli odiosi rapporti di sfruttamento e dominio in cui viviamo.

La persecuzione continua nei confronti degli attivisti e delle attiviste No Tav, con Dana che sta ancora scontando ai domiciliari due anni di detenzione per aver distribuito dei volantini ed Emilio che rischia di essere espatriato per aver portato la propria solidarietà ai migranti sul confine. La vicenda di Eddi, a cui è stata da poco confermata la sorveglianza speciale per essere andata a combattere in Siria contro Daesh. Le diverse inchieste per associazione a delinquere inventate di sana pianta per mettere pressione nei confronti di chi lotta a fianco di lavoratori, disoccupati e sfrattati.

Ma non si tratta solo di questo, non solo della repressione delle lotte sociali, ma di un quadro molto più ampio in cui la “giustizia” rappresenta un vero e proprio sistema corporativo, corrotto e al servizio dei potenti. Le aule di tribunale sono piene di fascisti camuffati, affaristi senza scrupoli, corrotti e corruttori che però non siedono sul banco degli imputati. Il caso Palamara che da anni ormai riempie le pagine dei giornali è solo l’apice dell’iceberg, ma centinaia di vicende simili di più piccola portata accadono ovunque e rimangono sulla cronaca locale, quando non vengono direttamente insabbiate. E’ interessante in questo senso la vicenda dei due ex-Pm anti No Tav, l’uno, Padalino indagato per vicende corruttive e di scambio di favori, l’altro, Rinaudo, che dopo aver garantito a Cirio e alla Regione Piemonte lo scudo legale rispetto alla disastrosa gestione della pandemia adesso punta a diventare assessore alla sicurezza a Torino partecipando alle “ronde per la sicurezza” in San Salvario, in prima fila.

Ben oltre la magistratura, l’intero sistema è marcio, tra torture nelle carceri e caserme dei Carabinieri dediti al traffico di droga, una banda di corsari in divisa impegnati a far valere un’unica legge, quella del più forte.

D’altronde certa sinistra in Italia si è abbeverata volentieri per anni del mito dei PM antimafia, del superpoliziotto liberale, della presunta lotta alla corruzione, quando in realtà a ben guardare la “giustizia” dei tribunali è quella su cui si è edificato dopo tangentopoli lo Stato neoliberale con tutta la sua violenza. L’uso politico della magistratura non è una novità, ma è sistematico, e non serve tornare agli anni ’70 per scoprirlo.

Da poco è uscita la serie di Netflix “Vendetta: la guerra nell’antimafia” che al di là della vicenda in sé, evidenzia come anche questo mito sia diventato logoro, uno strumento dell’arricchimento personale e della corruzione, che quando portata alla luce vede una risposta corporativa e sistemica per coprire le proprie vergogne.

Qui non si discute la moralità individuale dei singoli magistrati, giudici, ecc, ma si evidenzia come questo sia strutturalmente un sistema dedito alla sopraffazione. “Esistono anche magistrati buoni” dirà qualcuno, noi diremmo ingenui, e sì, forse esistono, ma sono quelli che vengono regolarmente cacciati.

Le poche volte che in questo paese viene fatta giustizia per davvero, magari momentaneamente, è quando sorgono motivazioni di opportunità, conflitti sociali che è meglio tentare di far rientrare (si veda la vicenda di GKN e Texprint), casi che suscitano rabbia nell’opinione pubblica (come Cucchi), oppure occasioni di carrierismo e ascesa per i singoli che tentano di mettersi in mostra di fronte ai media.

Le galere sono piene di proletari che non arrivano a fine mese, mentre coloro che hanno consciamente fatto pressioni perché durante la fase acuta della pandemia le fabbriche restassero aperte, provocando la diffusione del contagio e migliaia di morti, loro sono chiamati imprenditori.

Mimmo Lucano, come ammesso dallo stesso PM del processo, non ha tenuto un soldo per sé, un progetto nato per ridare vita ad uno dei tanti paesi morenti della Calabria viene trasfigurato nella narrativa giudiziaria in un sistema di clientele. Eppure il quotidiano porta a porta che fanno altri candidati nel periodo elettorale elargendo promesse per comprare voti, che è tutt’ora pratica comune a certe latitudini, non ha mai avuto come risposta una tale severità. La Calabria è una regione praticamente fallita, in cui un patrimonio boschivo senza precedenti è andato in fiamme quest’estate e il tribunale di Locri ha tra le sue priorità la cancellazione totale di una delle poche esperienze che, con le sue contraddizioni, ha aperto uno squarcio di futuro possibile sulla regione. Il timing elettorale è solo un aspetto di quanto sta succedendo.

Allo stesso modo la vicenda di Morisi può suscitare qualche ironia, perché mostra tutta l’ipocrisia della “Bestia”, ma non si dovrebbe essere entusiasti per quanto accaduto, perché non sarà un conflitto sociale ampio e generalizzato a portare al declino della Lega, ma le solite manovre di palazzo e ciò che verrà dopo probabilmente non sarà molto meglio.

Più la crisi di legittimità dello Stato si approfondisce, più assisteremo a situazioni del genere. Oggi non dobbiamo lasciare solo Mimmo Lucano, non va riprodotto l’eroe romantico solitario nella sua tragedia, ma dobbiamo aprire una discussione seria ed approfondita sulla necessità della contrapposizione, della costruzione di un rapporto di forza in grado di ribaltare la violenza di questo Stato. Perché la “giustizia” dei tribunali non è altro che la politica con altri mezzi, che poi è la guerra. Guerra contro i proletari e le lotte sociali, ed in extrema ratio per regolare i conti interni alla borghesia. Dunque quanto sta succedendo a Mimmo ci riguarda tutti e tutte.

A questo link l’intevista che abbiamo avuto occasione di fargli alcuni anni fa.

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