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Commissariato Dora Vanchiglia, ovvero chi ci protegge dalla legge

Secondo quanto riportato dai giornali dopo quasi tre anni si sarebbe conclusa l’indagine che vede coinvolti due agenti del commissariato Dora Vanchiglia, il sostituto commissario Roberto De Simone e l’assistente capo Danilo Ricci, la loro dirigente Alice Rolando ed altre tre persone.

Il pm Gianfranco Colace li accusa di falso e concorso in spaccio di droga: De Simone e Ricci avrebbero fatto da “agenti provocatori”, tendendo una trappola a un pusher per far scattare altri arresti più facili. I poliziotti avrebbero messo a conoscenza delle loro mosse anche Rolando che all’epoca dirigeva il commissariato.

Ma l’avviso di conclusione indagine racconta anche gli sviluppi successivi del fascicolo: oltre ad aver trovato un borsone con 300 mila euro in contanti a casa di De Simone, tutti messi in buste sotto vuoto, e un arsenale di armi non correttamente denunciate, sono emerse nuove contestazioni. I due poliziotti devono infatti rispondere anche di peculato per aver sottratto una lunga serie di oggetti durante due perquisizioni: «Un pezzo di hashish, 8 grammi di cocaina, un bilancino e tre cellulari, un cellulare Samsung, un Lg, un vecchio Samsung Grand Prime» in un caso, e «3 profumi Hermes, due di marca Creed, una cassa Bluetooth, un bracciale Hermes, un iPhone, 2 bottiglie di Rum, due orologi Diesel, un computer Microsoft Pro, tre Polo Lacoste, due auricolari Urban, uno zaino Colmar, un monopattino elettrico, un orologio» sequestrati a un nordafricano il 18 maggio 2020, tutti oggetti omessi nel verbale di sequestro.

Il caso era esploso nel 2020 quando Elmhedi Touzi aveva denunciato l’accaduto: i due poliziotti, con l’avvallo della dirigente, avevano costretto Touzi a fare da informatore. Dopo averlo rinchiuso in una cella di sicurezza per spaventarlo De Simone avrebbe iniziato a minacciarlo: “o tu o un altro ” – se non gli avesse fatto i nomi di altri pusher, e a paventare la possibilità di portare via il bambino alla sua convivente. Ed è stato lui, secondo l’accusa, a cedergli della droga e a promettergli “un regalo” e anche dei soldi in cambio di un “buon” arresto.

Oltre ai tre agenti sarebbero in tutto sei le persone indagate: lo stesso Touzi che nel 2020 dopo la denuncia è stato arrestato per droga e corruzione su ordine dello stesso gip che sovrintendeva l’indagine sui poliziotti e Simone Graziano a sua volta coinvolto nella trappola. Infine vi è Agostino Caruso, accusato di aver picchiato un marocchino «in concorso con due albanesi rimasti ignoti». Dopo averlo convinto a venire a casa sua, gli avrebbe «legato mani piedi con delle corde e dopo avergli coperto la testa con un sacco, lo picchiava con calci e pugni facendolo anche mordere al fianco dal suo cane pitbull, impossessandosi poi del suo cellulare e di 1.800 euro contenuti nel suo portafogli». Un episodio avvenuto il 21 settembre 2021, secondo l’accusa, dopo l’arresto di De Simone e a lui collegato, secondo quanto emerso dalle indagini: si sarebbe cioè trattato di una spedizione punitiva. I giornali al momento non hanno dato maggiori dettagli rispetto a questo aspetto della vicenda.

Nonostante la loro condotta e l’indagine in corso  i tre agenti avevano ottenuto dal tribunale del Riesame la revoca dei provvedimenti di sospensione dal servizio.

Ora al netto degli interrogativi che rimangono insoluti, almeno per i comuni cittadini, come la provenienza dei 300mila euro ritrovati a casa di De Simone (ma basta aver guardato The Wire, per immaginarne la provenienza), ricordiamo brevemente che il commissariato Dora Vanchiglia aveva in capo la gestione dell’operazione che nel 2017 aveva portato alle violente cariche i Piazza Santa Giulia.

Questa vicenda è esemplificativa di alcune questioni che sono ben note, ma che forse è meglio ricordare. In primo luogo va rilevato il ruolo del “carrierismo” nella polizia che porta a cercare arresti numerosi e magari spettacolari, mediatizzati per aumentare le performance proprie o del proprio commissariato, questura o procura e scalare in fretta la gerarchia. Le martellanti operazioni a favore di telecamera e di giornali contro i movimenti sociali in Val Susa od in città sono solo la dimostrazione più evidente, ma ci sono centinaia di casi simili che si verificano senza colpo ferire. Il “carrierismo”, nella competizione feroce all’interno degli ambienti più ambiziosi della polizia, ha portato spesso a cercare le strade più facili per portare un risultato da offrire ai propri superiori, aggirando norme, regole e a volte costruendo vere e proprie realtà parallele.

In secondo luogo va sottolineata la commistione tra polizia e criminalità: i casi di questo genere si sprecano anche a Torino, ricordiamo solo brevemente che lo scorso anno esplose uno scandalo sull’Ufficio Immigrazione della Questura dove per sveltire le pratiche o rilasciare i documenti anche in assenza di tutti i requisiti alcuni poliziotti richiedevano un compenso in denaro, ma in un’occasione, uno dei due agenti dell’ufficio immigrazione finiti in manette avrebbe chiesto una prestazione sessuale. Questa commistione può portare a garantire regali in denaro in cambio di arresti facili, ma magari anche, come successo in altri casi, a stringere patti perché lo spaccio si concentri in una zona piuttosto che in un’altra per raggiungere finalità specifiche.

Quanto viene a galla dalle ormai periodiche inchieste sulla corruzione tra le forze dell’ordine è appena la punta dell’iceberg, ma già basterebbe per porsi alcune domande. Più che “alcune mele marce” ci pare di capire che “così fan tutti”. Magari anche in questo caso, come in altri, finirà tutto a taralucci e vino e a pagare sarà solo colui che ha denunciato il sistema, ma rimane il monito da non dimenticare cioè che questa “legge” protegge solo i propri interessi e quelli di chi comanda.

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