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“Riflessioni per una letteratura del conflitto (1): intervista a Marco Philopat”

 

Abbiamo visto con interesse la decisione di chiamare l’edizione 2014 di SlamX “La rivoluzione è una ginestra”. A noi sembra un titolo appropriato per un evento artistico prodotto dal basso, nei centri sociali, da persone che li attraversano, che nel 2014 ci vivono. Siamo d’accordo che debbano essere anche loro a narrare questi anni, e che ciò avvenga in un contesto che al tono “epico” della ginestra fa riferimento ci sembra assai positivo. Perché proprio questo titolo? Anche di conseguenza all’uscita del film di Martone e Germano?


Quella di quest’anno è la sesta edizione di SlamX. Mettiamo sempre come sottotitolo la parola rivoluzione tentando di non essere retorici, è un po’ una sfida questo sottotitolo; abbiamo usato “La rivoluzione con le bombe di carta”, “La rivoluzione ad ogni costo”, “Per fare rivoluzione servono belle parole”, insomma una sfida per non essere retorici buttando dentro la parola rivoluzione. Siccome lo facciamo verso Natale, SlamX tenta di fare un po’ il bilancio di quello che è successo durante il corso dell’anno nei movimenti italiani e internazionali. Quest’anno abbiamo seguito tanto la lotta di Kobane; in mezzo a una guerra tra islamici e capitalisti nasce nel deserto un fiore rivoluzionario con caratteristiche libertarie, quindi abbiamo pensato alla ginestra di Leopardi come risvolto poetico. In quei giorni stavamo leggendo dell’uscita prossima del film di Martone e Germano su Leopardi che a noi è sempre piaciuto, è il nostro maestro, qui siamo dentro l’archivio del libraio Primo Moroni, la cui poesia preferita era proprio La Ginestra. Noi venivamo dall’esperienza punk di fine ‘70 inizio anni ’80, eravamo ignorantoni, odiavamo Leopardi dalla scuola, ma Primo ci ha cambiato la testa, ci ha fatto capire che Leopardi è un’altra pasta. Quindi per questi motivi, la resistenza di Kobane (una ginestra vera e propria) e l’uscita del film abbiamo chiamato quest’edizione di SlamX “La rivoluzione è una ginestra”.

 

Primo Moroni ha letto Leopardi, apprezzava Leopardi. Anche voi con questa edizione di SlamX, qui intorno alla Calusca, notate questo valore resistente in un Leopardi che dalla scuola conosciamo solamente come il poeta triste e malinconico. A lui il suo tempo faceva schifo, agli inizi dell’Ottocento già soffriva l’etica capitalista ai suoi albori. Leopardi sente il proprio tempo, lo soffre ma cerca disperatamente una via d’uscita, un superamento. Quindi fa politica, non è banalmente lirico della propria tristezza, ma un personaggio da attraversare ricercandoci un insegnamento etico di tipo resistente. Ciò detto, come si può oggi, secondo te, produrre una letteratura chiamiamola del conflitto che sentito questo tempo, sofferto, riesca a trasmettere, a evocare, a costruire immaginario non della rinuncia, ma che sia sprone all’azione? Secondo voi come può esserci, se ci può essere, un’arte, una letteratura che questo dica, del conflitto in questo senso?


Sulla questione letteratura e conflitto noi abbiamo lavorato tantissimo. Più che su Leopardi in generale ci siamo basati sulla Ginestra in particolare, su una pianta che cresce sui vulcani, nei deserti, che con le sue radici cerca l’acqua, la terra per vivere. Questo tipo di ricerca ci è piaciuta come metafora di un pensiero radicale. Andare alla radice dei problemi. Alla fine la radice è l’uomo che resiste in condizioni difficili, come adesso, il movimento fa fatica a trovare dei denominatori comuni, c’è un po’ di disorientamento e aridità. Allora abbiamo pensato a questa pianta che fa un fiore fragile, quindi alla nostra propria fragilità e di tutto il movimento, questa assonanza con la ginestra la usiamo per portare avanti un discorso che parte da un quadro abbastanza disperato che ci troviamo a valutare, un anno che è passato senza troppi sussulti o riscossa da parte del movimento. Così proprio dove non ce l’aspettavamo è nata Kobane, dove le donne hanno ritrovato protagonismo, e ritorna l’assonanza con la ginestra, un fiore femminile. C’era sembrato anche interessante creare disorientamento tra le varie fazioni che ci sono nel movimento con molteplici riferimenti alla Ginestra di Leopardi: la sua fragilità, la ricerca di un pensiero radicale. In un momento in cui sembra che la società intera si stia rimbecillendo, l’unica cosa cui possiamo aggrapparci è un pensiero radicale, se non è radicale non serve a niente. Quest’idea abbiamo trasmesso ai diversi autori (soprattutto scrittori perché con i musicisti e più difficile) che sono arrivati a SlamX, loro ci hanno riflettuto e hanno stilano testi adatti a quello che noi pensavamo. Di solito producevamo testi legati molto allo spronare l’azione, nel tentativo di trovare terreni comuni su cui portare le lotte; quest’anno invece abbiamo cercato di guardarci dentro, abbiamo voluto guardare alla nostra fragilità e da lì partire per scoprire un terreno comune.

 

Quindi usate la Ginestra anche come metafora della fragilità del movimento?


Non bisogna aver paura della fragilità. La fragilità è umana, se una persona si rende conto di essere fragile è disponibile ad accettare le differenze. Bisogna elaborare la propria fragilità interna e riuscire ad esternarla per comunicare meglio.

 

Secondo te quindi in questo momento un’arte, o in particolare una letteratura del conflitto può esserci solo a patto che parli della nostra fragilità? Attraverso SlamX cercate anche di trovare i mezzi espressivi di un disagio che voglia superarsi? Abbiamo sentito questa volontà nel manifesto di indizione, e secondo noi, ad esempio, la lettura delle lettere dal carcere di Claudia e Niccolò è stata una scelta positiva. Gli anni dieci sono difficili, un po’ come tutti gli anni, noi che ci siamo lo soffriamo ma non serve narrarlo per narrarlo. Cosa pensi dunque a proposito di una letteratura con ciò coerente, del superamento, che sia creatrice di immaginario positivo? Cosa deve comunicare questa letteratura del conflitto?


Io non credo nei geni e l’arte fine a se stessa non mi interessa. O l’artista è militante o non ha neanche troppo senso, scrivere diventa un esercizio di stile, ricerca di percorsi narcisistici, di carriera. Per me l’arte è una sola: la fai per comunicare e quando comunichi riesci anche a capire. La comunicazione è bidirezionale: ascolti prima di comunicare. Quando ascolti le persone una su cento è ricca e borghese le altre sono tutti lavoratori. Se tu assorbi questa sensibilità capisci che il tuo bisogno di comunicare è una cosa che hai sentito. L’arte militante è l’unica arte possibile per chi ha a cuore il cambiamento radicale di questa società. La questione della fragilità è proprio qui, siamo in un mondo in cui devi essere bello, famoso, nel piccolo devi avere qualcosa più degli altri, devi essere pieno di energia, bello e sorridente. Quando ti rendi conto che non è così allora ti butti in una situazione di orizzontalità con l’altro, quest’orizzontalità è la fragilità. Tu butti fuori “io sto male!” e proprio perché sto male devo tirare fuori qualcosa che faccia stare bene te e in qualche modo anche me. Questa ricerca è l’arte come la vedo io, la letteratura ancora di più. Io dico sempre che è molto faticoso scrivere, però poi quello che scrivi rimane sulla carta o sul computer e se non l’hai fatto per soldi o fama, ma l’hai fatto per il bisogno urgente di comunicare a quel punto lì diventa arte militante. Bisogna stare attenti che quest’arte militante non cada in trappole ideologiche o in percorsi retorici, lavorare sul crinale tra la tua urgenza di comunicare e la necessità di creare un terreno comune. Le tue parole potrebbero funzionare per spronare all’azione l’altro da te.

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