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Riflessione di uno dei 17 compagni palermitani sottoposti all’obbligo di firma

Pubblichiamo qui la riflessione di una delle 17 persone colpite dalle misure cautelari a Palermo martedì 10 marzo. Per tutte e 17 sono stati predisposti obblighi di firma e l’imputazione del capo di associazione a delinquere. Venerdì 20 marzo, per le strade di Palermo si terrà una manifestazione che partirà alle 17.30 da piazza Massimo per ribadire ancora una volta che lottare per i propri diritti non è un reato. Intanto continua la campagna di solidarietà per i 17 compagni di Anomalia ed ExKarcere lanciata con l’hashtag #sui17cimettolafirma.

Sono cresciuto in un quartiere popolare, uno come tanti. Uno di quei quartieri in cui non c’è luce la notte e d’inverno non escono neanche i cani, uno di quei quartieri abbandonati dai trasporti, dalle istituzioni, dai servizi, lasciati con le strade scarificate e gli allagamenti ogni mese.

In questo quartiere sono cresciuto e da questo quartiere ho imparato come si affrontano le difficoltà. La mia famiglia ha vissuto dei sacrifici delle generazioni precedenti, mio padre è da quattro anni in cassa integrazione e sulle nostre spalle grava uno di quei tanti mutui che affligge le vite delle famiglie proletarie. Il periodo della scuola è stato pesante, è stato difficile comprare i libri, difficile vedere piangere mia madre, difficile non poter contare su aiuti economici o su facilitazioni. E’ stato difficile anche voler imparare, avere fame di conoscenza, aver voglia di saperi e ricevere invece concetti striminziti e falsificati al servizio delle aziende. E’ stato difficile imparare da solo tutto quello che non t’insegnano a scuola, è stato difficile non avere possibilità nè occasioni. E’ stato (ed è) orribile vedere gli amici del quartiere, i parenti, i compagni di scuola morire o andare in galera, partire e andare via, soccombere di fronte l’assenza di opportunità e di assistenza.

In questa condizione io sono diventato un militante politico di quella che è un’organizzazione politica con una storia tenace e incancellabile, ma che non è un’associazione a delinquere. In cinque anni ho imparato da zero cosa vuol dire superare le avversità, collettivizzare le esperienze e le inesperienze, leggere e comprendere la realtà circostante, ho imparato come si piange e come ci si sporca, ho imparato come si alza la voce e come si sorride. In questi cinque anni sono cresciuto come uomo, come soggetto sociale, come militante politico. In questi cinque anni ho imparato cosa vuol dire odiare per amore, cosa vuol dire alzarsi la mattina e sentire di non poter vivere senza fare quello che faccio, cosa vuol dire rompere l’isolamento e la frammentazione col sostegno dei miei compagni e delle mie compagne, cosa significa avere il sostegno della gente.

In questi cinque anni ho capito che non voglio che nessun’altro viva dei sacrifici nei quali ho vissuto io, ho capito che combattere affinchè la qualità di vita della gente migliori non è un hobby ma un dovere.

Ieri ero schiacciato e frustrato da un meccanismo irrefrenabile.

Oggi siamo la leva che ferma questo meccanismo.

Ho rotta la gabbia del ghetto e adesso sono comunità.

Ho cancellato la tristezza, la disperazione, la stanchezza, l’individualismo, l’indifferenza, la solitudine, la manipolazione. Ho guadagnato una nuova vita, fatta di sforzi e sperimentazioni continue, di esperienze e di comunità, di coscienza e riflessione, di scambi e di solidarietà, di riappropriazione e di determinazione, di cambiamento dello stato di cose presenti.

Sono fiero di quei 50mila studenti che hanno marciato al mio fianco contro la Gelmini, fiero dei lavoratori e dei precari insieme ai quali ho difeso il diritto al reddito, fiero delle famiglie di senza-casa con le quali ho affermato il diritto alla casa, fiero dell’esperienza del TMO coi quali ho sostenuto che una cultura differente è possibile.

C’ho messo vent’anni a diventare quello che sono.
Non ho la minima intenzione di fermarmi adesso.

Carlo, uno dei 17 compagni colpiti dalle misure cautelari

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