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Riccardo Zampagna: acciaio, rovesciate e pugni chiusi

Ettore Zampagna è un operaio. Uno dei tanti a Terni, dove la vita è scandita dalle sirene delle Acciaierie; è così da prima della guerra e non c’è ragione di pensare che le cose possano cambiare. Si lavora fino a riempirsi i polmoni d’amianto, e quando si è troppo vecchi arriva qualcuno a dare il cambio; magari un figlio, che tanto gli orizzonti uno non se li sceglie. Negli anni ’80, per la famiglia Zampagna, l’orizzonte è la ciminiera di una fabbrica.

Riccardo, il figlio di Ettore, sa già cosa lo aspetta: nella Manchester d’Italia si fanno i turni in catena di montaggio, si esce con la ragazza il sabato e magari si va in Curva Est la domenica. Terni sembra un inno alla working class, che farà pure impazzire i fan del britpop, ma non chi ci vive tutti i giorni.

“Figliolo, non andare mai a lavorare alle Acciaierie;
lì nessuno ti darà mai la pacca sulla spalla e ti dirà bravo se fai un buon pezzo”.
«Ecco, io ho sempre giocato per ricevere quella pacca e sentirmi dire: Bravo Riccardo.
I soldi vengono molto dopo tutto questo».

Riccardo gioca a pallone, e come tutti i ragazzi sogna di sfondare. Nonostante la fiducia e i sacrifici della famiglia, quando compie 20 anni si è ormai capito che il calcio è divertente, ma non dà da campare: «Guadagnavo 800 mila lire al mese come lavorante nella tappezzeria di Giampiero Riciutelli e altrettanti me ne dava il presidente dell’Amerina». Durante la settimana monta e smonta le tende; la domenica gioca in attacco. Ha ottime doti atletiche, ma non è un fenomeno, anche perché la scuola calcio non l’ha fatta: «Calciatori si nasce e io non ci sono nato. Il calciatore cresce passando attraverso i settori giovanili, con gente che gli spiega cosa fare». Probabilmente, non sarebbe servito granché: sarà istinto o innata sfiducia nell’autorità, ma Zampagna in campo fa di testa sua.

Nel 1996 lo contatta la Pontevecchio, società di Ponte San Giovanni che milita in Interregionale: il padre gli compra una Fiat Tipo con i soldi della pensione: «La trasformammo a metano per consumare meno […] Crescevo di categoria ma ci rimettevo economicamente, 100 mila lire al mese in meno come calciatore e gli spostamenti a mie spese». Zampagna si accorda con il titolare della tappezzeria, che ne asseconda la passione: «Lavoravo dalle 6 alle 13, poi mangiavo un panino guidando verso Perugia». Se è stanco, in campo non si vede: in 22 presenze segna 13 gol. Tanti, tantissimi in quei campi fangosi dove l’erba è un’utopia e i difensori non fanno tanti complimenti.

Ormai, tutto lascia credere che Riccardo Zampagna resterà un onesto bomber di periferia, di quelli che non campano con il pallone; finché un osservatore non invia a Trieste una videocassetta con le sue giocate. La Triestina è una nobile decaduta, appena tornata in Serie C2 dopo il fallimento; ha bisogno di piedi buoni, più che di nomi altisonanti. Il ds Walter Sabatini si guarda il VHS, e il tappezziere 22enne si ritrova di colpo professionista.

Trieste, poi Arezzo, Catania e infine Perugia, dove arriva con una dubbia operazione della famiglia Gaucci che coinvolge anche Baiocco, Tedesco ed Olive. Neanche il tempo di esordire in A che Zampagna torna a sgomitare nel campionato cadetto: Cosenza, poi Siena (10) e il boom nel 2002 a Messina (17). Nell’estate 2003 la Ternana diventa comproprietaria del suo cartellino, e Riccardo Zampagna torna a casa. Il debutto in casa è proprio contro l’agguerrito Messina che a fine stagione deciderà con i rossoverdi il suo futuro.

«Quando mi hanno detto “Sarai un giocatore della Ternana”, mi sono venuti i brividi […]
Sono andato sotto la curva per togliermi la maglia.

Guardo la curva per vedere chi conoscevo, e conoscevo un po’ tutti.
Ad un certo punto, vedo mio cugino che piange».

L’estate successiva il Messina riscatta Zampagna, costretto ad abbandonare la sua Terni per una Serie A che mai gli era interessata così poco. Ma se proprio bisogna farlo, tanto vale presentarsi alla grande, con un pallonetto che annienta la Roma. Un cucchiaio fantastico, proprio sotto gli occhi di un certo Francesco Totti.

Il 16 gennaio 2005, in occasione di Livorno-Messina, Zampagna saluta a pugno chiuso gli ultrà amaranto«Si è trattato di una cosa privata. Prima della partita sono venuti a parlare con me dei ragazzi di Livorno e di Terni, perché le due tifoserie sono gemellate. È stato molto emozionante. Eravamo avversari, eppure ci siamo messi a parlare in mezzo al campo». L’episodio, nella miseria del racconto pallonaro italiano, ne fa il personaggio antitetico a Di Canio; pagare la multa non basta a stemperare le polemiche, ma basta a Zampagna per conquistarsi la simpatia delle curve (poche) e degli intellettuali (troppi) di “sinistra”.

Dopo due anni e sedici gol, Zampagna passa all’Atalanta: visto lo storico gemellaggio, una seconda casa per chi tifa Ternana. Zampagna contribuisce a far tornare in Serie A i bergamaschi, per poi continuare a deliziarli con alcuni dei suoi gol più belli. Un pallonetto al volo contro la Lazio, una rovesciata contro la Roma e un’altra contro la Fiorentina, che gli vale il premio AIC Oscar del calcio per il miglior gol del 2007. Dopo una parentesi a Vicenza, nel 2010 passa al Sassuolo; durante una trasferta, duecento tifosi dell’Atalanta bloccano il pullman della squadra emiliana e improvvisano una festa in mezzo di strada per il loro ex bomber.

Ternana e Atalanta, l’addio a Zampagna. Credits: Stefano Principi

Nel 2011 passa alla Carrarese di Buffon e Lucarelli, ma dopo soli 3 mesi decide di abbandonare il calcio dei professionisti: si tessera per l’ASD Comunista “Primidellastrada” di Terni. Una presa di posizione netta; come scendere in piazzaper protestare contro gli esuberi alle Acciaierie Ternane, ora di proprietà della Thyssen: «Sfilerò in corteo. Le acciaierie mi hanno dato da mangiare».

Zampagna nel 2013 diventa allenatore del Macchie, squadra di un piccolo paese umbro: «Quasi tutti svolgono lavori umili e cacciano il cinghiale. La squadra di calcio è il vero orgoglio del paese e anche agli allenamenti c’è sempre gente che ci segue. Una volta a settimana coi dirigenti e i tifosi più fedeli ci si ritrova a mangiare il cinghiale a bordo campo. Qui si respira quell’umanità che è l’essenza del calcio vero e genuino».

Gli Zampagna sono fatti così: la semplicità prima di tutto.
E se poi la palla si alza un po’, si può sempre tentare una rovesciata.

da Zona Cesarini

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