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Pescara del Tronto, arrestato terremotato che non voleva lasciare il suo paese

Enzo Rendina, 58 anni, era tornato tra le macerie della sua Pescara del Tronto e, con nuova voglia di ricominciare, aveva dichiarato che non l’avrebbe lasciata perché troppo innamorato della sua terra. In un primo periodo aveva continuato a dormire in tenda, ma a causa di una forte nevicata aveva poi deciso di chiedere ospitalità ai vigili del fuoco. Era così riuscito a trovare un nuovo riparo per resistere anche al freddo, peccato che a metter fine alle sue azioni determinate ci abbia pensato la Procura di Ascoli Piceno arrestandolo con l‘accusa di “interruzione di pubblico servizio”.

In un paese normale sarebbe a dir poco onorevole una Procura così solerte dopo un sisma o un qualsiasi grande incidente, ma verso i responsabili di eventuali crolli o di chi ne ha scatenato la causa e non certo contro chi è stato vittima di una tale tragedia e ha visto perdere tutto davanti a sé.
Verrebbe da considerare questa vicenda un fatto assurdo. 
Osservando meglio però, è come se ci fosse un filo che collega questa vicenda ad un disegno spietato più ampio, in qualche modo la Procura sta giocando un ruolo di mera esecutoria dei voleri di poteri più alti. Bisognerebbe considerare chi decide di evacuare, che cosa e perché.

Ormai sembriamo abituati ad un paese che aspetta la tragedia e gli stati di emergenza per sguinzagliare, magari con poteri speciali, grandi task force di uomini, grandi risolutori, almeno presentati così dalle tv e dai giornali, ultra stipendiati, il cui compito (lo vediamo da l’Aquila ad oggi) è esclusivamente quello di sgomberare tutto e di obbedire esclusivamente ad un apparato burocratico freddo e schematico che fa svolgere quel compito come una legge matematica, senza la comprensione di fattori più “umani”. 
Se il terremoto ha fatto sparire case ed edifici, loro fanno sparire la popolazione: un ruolo da caterpillar.

Di ricostruzione a L’Aquila non se ne vede ancora traccia.
Ricordiamoci anche casi come Bertolaso, investito dal governo di poteri speciali, autore delle imponenti zone rosse, militari e polizia a difesa di interi paesi svuotati, gente lasciata in tende e lamierati ed a distanza di 7 anni niente è stato prodotto in termini di ricostruzione.

L’orologio de L’Aquila batte ancora le 3.32, quello di Amatrice le 3.36 e se le prospettive son queste la vita non ripartirà ancora per molto, ecco perché gesti di sacrificio come quelli di Enzo racchiudono un gesto di dignità, voglia di non arrendersi e ricominciare.
In molti sicuramente è racchiusa la paura dell’aver perso la propria terra per sempre, per questo per gente come lui rimaner lì, seppur in tenda e senza acqua calda, ha tutta una sensazione di “normalità”, quotidianità dei propri spazi, padronanza del proprio territorio: non voler accettare di sentirsi un alieno in una casa calda e sicura lontano però dalla propria.

 

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