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Fausto e Iaio

Renato Palazzi, in un recente articolo uscito sul Sole24 ore segnalava la tendenza a una “crescente identificazione del teatro con la cronaca”, in una deriva più o meno felice del teatro documento degli anni Settanta. Il rischio – mette in guardia il critico – è quello che il teatro perda “la sua vera prerogativa, la capacità di tradurre la molteplicità del reale in sintesi metaforica”.

Lo spettacolo Viva l’Italia, dedicato alle morti di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci avvenute nel marzo 1978 a Milano, non corre questo pericolo. È in primo luogo la drammaturgia di Roberto Scarpetti (menzione speciale Franco Quadri al Premio Riccione per il Teatro 2011) a scegliere un’altra direzione: i protagonisti di questa vergognosa e mai risolta vicenda italiana sono innanzitutto personaggi teatrali, guardati attraverso il prisma distanziante della scena. Fausto e Iaio sono due diciottenni che frequentano il centro sociale Leoncavallo nel 1978; ma sono innanzitutto due giovani affamati di politica, giustizia e vita, e potremmo facilmente immaginarli attivisti del G8 o manifestanti No Tav. Angela, la madre di Iaio, incarna l’archetipo di ogni Mater Strangosciàs, da Maria fino alla signora Aldrovandi: a lei sono affidati i momenti di maggiore densità tragica del testo.

È una polifonia di voci a raccontare la vicenda, a scioglierla per riannodarla poco dopo: c’è Giorgio, uno degli esecutori dell’omicidio, militante di estrema destra; Salvo Meli, il commissario titolare dell’inchiesta; e c’è poi Mauro Brutto, giornalista dell’Unità che non smette mai di indagare. Il testo di Scarpetti pare dunque, più che un mosaico unitario, un susseguirsi di pannelli: monologo si succede a monologo e a nessuno dei personaggi viene concesso a lungo il privilegio di un confronto umano.

La regia di César Brie – che di temi politici si occupa fin dal suo arrivo a Milano, proprio in quegli anni Settanta che fanno da sfondo all’episodio narrato – asseconda e amplifica le scelte del drammaturgo. “Non è un documentario”, ricorda una scritta alla fine dello spettacolo: ma si tratta di una precisazione superflua, che rimarca una scelta ben chiara allo spettatore. Brie mette in campo gli elementi che da sempre gli sono cari: una scena essenziale, densa di oggetti che trasformeranno la loro funzione nel corso della rappresentazione e una narrazione semplice e diretta capace di attivare l’immaginazione dello spettatore. Ma la cifra dell’allestimento pare soprattutto l’alternanza di registri: se il personaggio di Salvo Meli strappa non di rado risate al pubblico, e il suo capo omertoso è macchietta quasi clownesca, la madre Angela (una notevole Alice Redini) immerge invece Viva l’Italia in una profonda dimensione tragica. Si ride, si piange e ci si chiede – proprio come fa Salvo Meli – “com’è possibile che in Italia si muoia così?”.

Alla fine, una schermata ci ricorda i (nulli) risultati investigativi e giudiziari della vicenda, chiusa nel 2000. Nessun arresto, nessun colpevole e molte domande aperte: se gli esecutori facevano parte degli ambienti dell’estrema destra romana, agirono indipendentemente? È una coincidenza che Iaio abitasse in via Montenevoso 9, proprio di fronte al covo in cui le BR orchestrarono in quegli stessi giorni il sequestro Moro? E chi erano i misteriosi inquilini dell’appartamento sopra quello di Iaio, di cui ha ripetutamente parlato la madre Angela?

A fare da contralto alla natura evanescente di queste ipotesi è la concretezza terrigna delle morti. Brie ne fa il centro, anche visivo, della sua messa in scena: macchia i volti con il sangue, rinchiude i corpi in teli di plastica trasparente, amplifica l’urto fatale delle membra contro le superfici. Ed è proprio la morte lo snodo che unisce, finalmente, tutti i personaggi: muoiono Fausto e Iaio, muore il giornalista Mario Brutto (l’omicidio avvenne in novembre in circostanze poco chiare), e muore persino quel ‘Giorgio’ che incarna la figura di uno degli assassini. Una scelta drammaturgica, quest’ultima, non priva di ambiguità, se è vero che i pochi possibili colpevoli sono ancora vivi e a piede libero. Ma il compito di raccontare la realtà così com’è spetta alla cronaca. Al teatro quello di rifletterne l’immagine e restituirla alterata, trasformata in metafora universale.

Viva l’Italia
Le morti di Fausto e Iaio
di Roberto Scarpetti
regia di César Brie
musiche originali di Pietro Traldi

 

Fonte alfabeta

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