InfoAut
Immagine di copertina per il post

Ecco chi finanzia Hillary Clinton

Senza ombra di dubbio Donald Trump, dal punto di vista dei personaggi della comunicazione politica, rappresenta un’originale interpretazione americana di una, diremo nel nostro linguaggio, sintesi tra Bossi e Berlusconi. Ovvero un incrocio, immancabilmente di destra, tra “quello che non le manda a dire”, per attirare l’elettorato frustrato e travolto dalle ristrutturazioni dell’economia, e l’imprenditore che spende la propria fama per alimentare la mitologia dei grandi creatori di ricchezza.

L’originalità, dal punto di vista italiano sta nell’incarnarli entrambi (Berlusconi invece faceva la parte del moderato) radicalizzando gli archetipi contenuti nelle figure che interpreta. Trump interpreta il ruolo dell’uomo libero da vincoli che dice “le cose come stanno” e, allo stesso tempo, quello di colui che ha accumulato ricchezze favolose con un tocco che può contagiare anche l’istituzione della presidenza americana. Per il resto, possiamo dire, dopo un ventennio di Bossi-Berlusconi, che quanto visto in Usa appare straordinariamente familiare: un establishment ripetitivo (il partito democratico) o bollito (il partito repubblicano), qualcuno che si propone come nuovo che avanza facendosi forza sulle frustrazioni di una parte importante dell’elettorato. Magari irridendo e delegittimando linguaggi, simboli, idee della politica che lo hanno preceduto.

E qui se gli Usa, all’inizio degli anni ’80, innovavano in comunicazione politica candidando un attore alla presidenza (Ronald Reagan) evidenziando il primato della funzione comunicativa su quella politica, l’Italia non è rimasta indietro. Essendo stato un paese televisivo come pochi in Europa alla fine degli anni ’80, si è posta come terreno di innovazione comunicativa (forme tecnologiche, stili, linguaggi) nella liquidazione di un sistema politico morente. Peccato, viene da sorridere, che la sinistra di queste innovazioni non se ne sia accorta, se non nella forma dell’anatema, scomparendo, alla fine, assieme al vecchio sistema politico (e non era scontato). E viene ancor di più da sorridere se si pensa alla legione di consulenti della comunicazione che, dagli Usa, negli anni sono venuti in Italia per fare consulenza, ben pagati, su un terreno dove erano stati gli italiani a innovare (lo stesso Berlusconi se ne era lamentato dicendo “questi americani conoscono poco l’Italia”). Segno, oltre che gli analisti americani del settore sanno occupare il mercato, che in Italia si è conosciuta la pratica della innovazione comunicativa ma si è difettato in teoria (e qui il disastro delle facoltà e dei dipartimenti che si occupano di comunicazione, qualcosa ci combina, e si vede).

Quindi, vedere dall’Italia lo scontro Trump-Clinton è qualcosa di familiare. Non solo, nelle accuse che i democratici, in coro, rivolgono a Trump non solo ci sono tutte le retoriche dell’antiberlusconismo e persino dell’antigrillismo che abbiamo visto fiorire in Italia. E che dire della presenza del Bertinotti del Vermont, Bernie Sanders? Uno che quando criticava (giustamente, dal punto di vista etico) Wall Street già mostrava di conoscere poco i meccanismi antitrust del suo stesso paese (su questo Bloomberg è stata impietosa), ed è arrivato a concludere un accordo, “per senso di responsabilità” contro Trump in appoggio con Hillary Clinton?

Diciamo che rischia di fare la fine del Prc a suo tempo: prima ondata di perdita di un elettorato deluso dall’accordo, seconda ondata, bagno di sangue vero in caso di vittoria elettorale della Clinton. E qui, dopo la comunicazione, si passa alla dimensione materiale. Così si capisce, fin da subito, del perchè ilBertinotti del Vermont è destinato a veder travolte le proprie preteste di contrastare la Clinton, all’interno del partito democratico, sui temi dello strapotere di Wall Street e sulla politica estera. Basta dire che i primi cinque finanziatori della campagna della Clinton, secondo le stime del Center for Responsive Politics, sono fondi di investimento o di consulenza finanziaria tra cui l’immancabile Soros Management group. Ci sono anche associazioni di insegnanti, lavoratori, carpentieri ed ingegneri. Ma sono del tipo di associazioni di alleanza tra capitale e lavoro che piace ai Clinton, marito e moglie: sono tutti legati a fondi pensione, quelli per dare un rendimento certo alle loro pensioni private vanno a caccia di rendimenti nel pianeta favorendo privatizzazioni, dismissioni e bolle finanziarie.

Essendo il mondo dei media, grazie anche alle capacità della rete diplomatica dei Clinton, già schierato con Hillary se l’ex first lady vincerà le elezioni i dubbi saranno pochi: il solito cortocircuito di media, finanza ed establishment politico che ha prodotto le più devastanti bolle finanziarie di sempre potrà continuare l’opera. Certo, alla convention democratica è stato approvato il ritorno, in materia di controllo sulla speculazione finanziaria, allo stato del Glass-Steagall act del 1933 in piena grande depressione. Una misura evidentemente gradita a Sanders. Ma c’è da ricordare che l’abolizione del Glass-Steagall, che ha permesso alle grandi banche di usare i fondi dei risparmiatori per ogni speculazione finanziaria, è stata proprio voluta dai Clinton, firmata da Bill nel 1999. Ed è stata all’origine di almeno due grandi bolle finanziarie, immettendo la liquidità dei risparmiatori nel mercato del capitale di rischio: quella dei tecnologici del 2000-2001 e il grande botto supbrime del 2008. Farsi finanziare dai fondi di investimento, e dai titolari di fondi pensione, e restrigere le occasioni di speculazione, con il ripristino del Glass-Steagall act, ovviamente è un’operazione impossibile. O meglio, possibile solo in campagna elettorale, puntando tutta l’attenzione sulle doti di pagliaccio di Trump per allargare l’effetto spaventapasseri (e Trump si dà da fare per guadagnarsi il ruolo), in modo da attirare alle urne il tremulo elettore americano di sinistra spingendolo a votare contro il nuovo fascismo. All’arrivo dello scoppio di qualche altra bolla finanziaria favorita dalle politiche dei Clinton, l’Economist del 20 agosto ha puntato di nuovo sul mercato immobiliare già sinistrato nel 2008, qualcosa a chi ha votato “Hillary” si racconterà. O meglio, piuttosto che tagliare alle grandi banche, e ai fondi di investimento che finanziano la sua campagna, magari si punterà all’aggiornamento del Dodd-Frank act. Stiamo parlando della riforma di Wall Street, voluta da Obama ed entrata a regime del 2013, che deve monitorare ed impedire nuove bolle finanziarie. Sui limiti e l’efficacia del Dodd-Frank act questa infografica, su fonti della agenzia federale americana OCC, aiuta parecchio.

Come si vede nel primo quarto del 2015, le prime cinque banche americane detenevano ancora 200 trilioni di derivati, una quantità di titoli tossici in grado di far saltare l’economia del pianeta (nel 2007 secondo Forbes i titoli tossici in Usa ammontavano a 130 milioni). Mentre Goldman Sachs e Citigroup, come si può constatare nell’infografica, hanno visto aumentare, dal 2009, la loro esposizione in derivati. E quali rapporti ci sono tra Goldman Sachs, dove Draghi ha lavorato (esponendo tra l’altro, quando era direttore generale del tesoro, il nostro paese a derivati che costano l’interno ammontare delle recenti privatizzazioni) e Hillary Clinton?

Fonte CNN: dopo l’approvazione del Dodd-Franklin act, l’asse temporale ce lo mettiamo noi, che per Goldman, non è andato male in esposizione in derivati, Hillary Clinton ha tenuto per questa corporation finanziaria 92 conferenze a 225 mila dollari l’una per un totale di 21,8 milioni di dollari.

Come dire, avrà molte materiali ragioni la Clinton, come componente della coppia Bill e Hillary che fece fuori il Glass-Steagall act che durava dal 1933, per reiterare l’appoggio al mondo dei titoli tossici. Magari revisionando i limiti delle leggi, come il Dodd-Frank, in modo che chi ha finanziato le conferenze, ed è attore di primo piano della finanza tossica globale, trovi una certa soddisfazione.

Il partito democratico, secondo un articolo del Manifesto esprime la piattaforma elettorale più a sinistra degli ultimi anni. D’altronde chi, a suo tempo, ha creduto a babbo natale in Italia non può che credere, oggi, alla befana che arriva con la calza e i dolcetti in America. Ma il punto qui non è la fine politica delBertinotti del Vermont, che appare comunque solo questione di tempo, è che Hillary ha un’esposizione economica impressionante verso i maggiori protagonisti del gioco d’azzardo, i cui costi vengono pagati dal resto del pianeta, della finanza globale.

Se si vuole, invece, l’esposizione, in materia di finanziamenti da zone di crisi geopolitica, è persino, o altrettanto, preoccupante. E spiega come tanta campagna elettorale americana si sia giocata sullo schierarsi o meno nei confronti di Putin. Fermo restando la politica in medio oriente, che appare interventista, suggeriamo di guardare questo grafico, fonte Wall Street Journal, sulla nazionalità dei finanziatori esteri, negli ultimi dieci anni, della Clinton Foundation.

Non stupisce che il paese che esprime la strategica borsa di Londra (l’Inghilterra) abbia finanziato la Clinton. Tantomeno il protagonismo, tra i donatori, del paese di tante esternalizzazioni, ed evasioni fiscali, americane ovvero l’Irlanda. Da leggere il protagonismo dei finanziatori arabi specie alla luce della complessità odierna dello scenario mediorientale. Ma quello che balza agli occhi è il primato, nelle donazioni decennali, dei fondi provenienti dall’Ucraina. Stiamo parlando del paese che, secondo la Strategic Vision del guru del primato politico americano Zbigniew Brzezinski, deve essere tolto definitivamente dall’influenza russa, facendo da spartiacque tra quel paese e l’Europa. Favorendo, secondo Brzezinski, sia un allentamento dei rapporti Usa-Russia che un indebolimento della federazione guidata da Putin. In modo da garantire una nuova egemomia politica americana in un mondo multipolare ma frammentato. Ora, senza entrare in affinità e divergenze tra Obama, Hillary Clinton e Brzezinski quando la Clinton era segretario di stato oggi si possono notare alcuni fatti. La prima è l’accusa, pubblica, della Clinton a Trump di essere quinta colonna di Putin in America, la seconda alla Russia di aver hackerato le email del partito Democratico, la terza l’evidenza del peso dei finanziamenti, provenienti dall’Ucraina, della Clinton Foundation, la quarta, la notizia, arrivata proprio dall’Ucraina e che ha avvantaggiato la Clinton nei sondaggi, dei finanziamenti al capo della comunicazione di Trump poi licenziato.

Senza avventurarsi in dietrologie, perchè la politica è qualcosa di diverso dalle facili associazioni tra personaggi, è evidente che c’è un rapporto reale tra finanziamenti ucraini alla Clinton, campagna elettorale americana e rapporto conflittuale con Putin. Un rapporto talmente solido, per il Counterpunch, da far scrivere che “Hillary” fa stabilmente parte del partito della guerra. Del resto la vicenda Ucraina non riguarda solo i rapporti Usa-Europa-Russia ma è ormai legata, nel più classico effetto domino allo scacchiere medio-orientale. Il partito della Clinton, che sia della guerra o delle tensioni internazionali, perlomeno, grazie anche ai finanziatori ucraini, ha mostrato aggressività e vivacità in questa serie di crisi collegate, complesse e a rischio allargamento.

Negli Usa, nella campagna elettorale, si stanno confrontando due tendenze, una che, almeno nelle intenzioni e nelle retoriche fin qui manifestate, vedono due ruoli diversi per l’ “America”. Quella di Trump che prova a innovare, e su questo ha spaccato il partito repubblicano, reinterpretando tendenze isolazioniste, nazionalistiche attraveso le quali rileggere, ovviamente da destra, l’eccezionalismo americano. Quella della Clinton, in continuità con le politiche del marito, che vede nel nesso bolla finanziaria-guerra lo strumento con il quale mantere, e accrescere, i profitti delle corporation e il peso della presenza geopolitica americana. Entrambi i modelli -al di là dei tatticismi del Bertinotti del Vermont e delle infatuazioni di stagione da parte di chi, in Italia, si è fatto spolpare, non solo elettoralmente, dall’originale- hanno pericolosi, per quanto differenti, contraccolpi per l’intero pianeta. Dal punto di vista finanziario, mondo che esprime ordigni in grado di far saltare interi paesi, e da quello della guerra sul campo. In ogni caso, l’elezione 2016 che esprima o meno continuità o meno con le politiche di Obama, è destinata a lasciare il segno sulla superficie globale.

Proprio perchè in Italia non si vota, e tantomeno in Europa, sarebbe preferibile maggiore distanza, clinica e politica, da quanto sta accadendo in Usa. Invece, grazie sia all’intreccio tra grandi media e corporation finanziarie che alla capacità diplomatica della Clinton Foundation (senza parlare dell’agitarsi di Trump che spaventa non poco), tutta la propaganda del partito democratico, assieme alla sua agenda politica, passa praticamente senza filtri. Eppure le cose vanno viste in un altro modo. Se Trump è un problema, la Clinton pure. Basta dare un’occhiata, anche sommaria, ai suoi maggiori finanziatori.

da: senzasoste.it

 

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Emilio Quadrelli, un comunista eretico contro la guerra

Non vi può essere alcun dubbio che tutto il percorso intellettuale e politico di Emilio Quadrelli, scomparso nel 2024, si situi interamente nella scia dell’eresia.

Immagine di copertina per il post
Culture

Le guerre del Nord e il futuro degli equilibri geopolitici ed economici mondiali

A ben guardare, però, lo scontro apertosi ormai da anni, per il controllo delle rotte artiche e delle materie prime custodite dal mare di ghiaccio che corrisponde al nome di Artico ricorda per più di un motivo la saga della corsa all’oro del Grande Nord che l’autore americano narrò oppure utilizzò come sfondo in molti dei suoi romanzi e racconti.

Immagine di copertina per il post
Culture

Imparare a lottare: la mia storia tra operaismo e femminismo

Torna disponibile in una nuova edizione ampliata, nella collana Femminismi di ombre corte,  L’arcano della riproduzione di Leopoldina Fortunati, uno dei testi di riferimento nella teoria femminista marxista italiana — e non solo.

Immagine di copertina per il post
Culture

Un’Anabasi post-sovietica. Storia del Gruppo Wagner

Gli uomini in mimetica camminano soli o a coppie dentro fitti banchi di nebbia, a malapena si intravedono i campi desolati attorno alla lingua di cemento.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il primo vertice antiterrorismo internazionale – Roma 1898

Un evento spesso trascurato dalla storiografia italiana, anche da quella che si è occupata del movimento operaio e delle sue lotte, ma che obbliga a riflettere su una serie di nodi ancora tutti da sciogliere

Immagine di copertina per il post
Culture

Frankenstein, quel mostro nato dalle ombre oscure della guerra

Al mostro viene negato un nome e una individualità, esattamente come al proletariato

Immagine di copertina per il post
Culture

“No Comment”: i Kneecap tornano a colpire con Banksy

Dalla Belfast ribelle al cuore dell’establishment londinese, i Kneecap tornano a colpire.

Immagine di copertina per il post
Culture

Israele sull’orlo dell’abisso

Ilan Pappé, La fine di Israele. Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina, Fazi Editore, Roma 2025, pp. 287

Immagine di copertina per il post
Culture

Se la Cina ha vinto

Se l’obiettivo di un titolo apodittico come “La Cina ha vinto” è convincere il lettore della validità della propria tesi, Alessandro Aresu vi riesce pienamente.

Immagine di copertina per il post
Culture

Mala tempora currunt

Don’t let this shakes go on,It’s time we have a break from itIt’s time we had some leaveWe’ve been livin’ in the flames,We’ve been eatin’ out our brainsOh, please, don’t let these shakes go on(Veteran of the Psychic Wars, 1981 –Testo: Michael Moorcock. Musica: Blue Oyster Cult) di Sandro Moiso, da Carmilla Che per l’Occidente […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Viva Askatasuna! Torino e la deindustrializzazione

Una volta chiamavano Torino la città dell’automobile.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Aska è di chi arriva. Chiedi del 47

In questo momento più del solito, ma non è un fenomeno specifico di questi giorni, sembra esserci una gara a mettere etichette su Aska e sulle persone che fanno parte di quella proposta organizzativa.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Sanzioni per lo sciopero generale del 3 ottobre: il governo Meloni prova a vendicarsi

La Commissione di Garanzia sulla legge 146 ha emesso la sua prima sentenza contro gli scioperi dello scorso autunno, facendo partire una prima pesante raffica di sanzioni contro l’agitazione che è stata proclamata senza rispettare i termini di preavviso a causa dell’attacco che stava subendo la Flotilla.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Allevatori ed agricoltori di nuovo in protesta in Belgio e Francia.

Di seguito ripotiamo due articoli che analizzano le proteste degli agricoltori che in questi giorni sono tornate ad attraversare la Francia ed il Belgio.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Torino: “difendere l’Askatasuna per non far spegenere la scintilla di ribellione che Torino ha dentro”

“La grandissima manifestazione di risposta allo sgombero è stata la reazione di Torino che si è riversata nelle strade per difendere quella sua radice ribelle che non si vuole che venga cancellata.”

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

La violenza che non fa notizia

La violenza dello Stato: sgomberi, gas CS, idranti ad altezza persona e una narrazione mediatica che assolve chi colpisce e criminalizza chi resiste.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ha vinto Kast e il Cile si aggiunge all’ondata di ultradestra

È il primo pinochetista a giungere a La Moneda in democrazia.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

È solo imperdonabile ignoranza?

Ecco che afferra l’immagine, la tira, la strappa, se ne impadronisce e con violenza la butta via, in modo che chi è fuori veda che si cancella tutto.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino città partigiana: Que viva Askatasuna! 

Ripubblichiamo il comunicato uscito dal centro sociale Askatasuna in merito alla giornata di lotta di ieri. Alleghiamo anche un video racconto della giornata.