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Torino, fiaccolata contro la guerra

Pubblichiamo di seguito il volantino distribuito ieri sera durante l’iniziativa:

La di questa sera vuole essere un primo e deciso NO a quello che sembra essere un oramai imminente intervento italiano in Libia: il governo del PD di Renzi, il nostro partito unico della Nazione, sta promettendo agli Stati Uniti l’invio di uomini e mezzi, proponendosi -tra brusche accelerazioni e frenate- come guida della coalizione che dovrebbe riportare “ordine” in una Libia nel caos, lacerata da conflitti interni che, le stesse potenze occidentali che oggi si proclamano esportatrici di pace e democrazia, ieri hanno contribuito a creare.
l’Italia, dopo anni di partnership con il regime Gheddafi, oggi scende in campo a difesa dei propri interessi economici minacciati da Daesh: numerose sono le aziende che speculano sulla miseria, la devastazione e l’instabilità politica in terra libica, sfruttandone da anni le risorse petrolifiche e di gas (da Eni a Finmeccanica); Renzi non vuole essere da meno dei suoi colleghi europei e americani nel combattere l’Isis quanto basta per poter avere un posto al tavolo quando sarà ora di spartirsi i profitti.

Riconosciamo chiaramente il pericolo di una guerra che facilmente diventerebbe un nuovo paradigma di gestione della crisi: centinaia di migliaia di euro verranno investiti nel settore militare, mentre nuovi tagli si abbatteranno sulla scuola, la sanità, i servizi ecc. in un utilizzo delle risorse che non solo non ci vede partecipi ma ci schiaccia. In una città come Torino ,dove la colpevole gestione delle risorse pubbliche si è palesata in maniera così evidente con grandi opere come la Tav in Valsusa o le maxi speculazioni delle Olimpiadi 2006, viviamo tutti i giorni le contraddizioni che simili scelte politiche hanno procurato: un Comune che è il più indebitato d’Italia, una città capitale degli sfratti.

Mentre la fortezza Europa lascia morire migliaia di migranti alle sue frontiere (ed è facile immaginare le conseguenze disastrose che una nuova guerra significherebbe per migliaia di nuovi profughi) guerrafondai di tutte le risme inneggiano ora allo scontro di civiltà, ora a una dottrina di sicurezza, ora a una più spudorata difesa dei “nostri interessi economici” (di chi poi? Certo non nostri). Dalla stampa sino a dentro le Università queste sono le posizioni che hanno spazio per esprimersi. Si levano gli scudi da parte di tutto l’apparato istituzionale se qualche professorone “interventista” viene contestato dagli studenti e ancora non abbiamo verità per Giulio Regeni, che faceva ricerca ed è stato torturato e ucciso in Egitto. Nella nostra città, nelle nostre università vengono negate le aule agli studenti per parlare di Palestina ma si consente a gruppi neofascisti di propagandare contenuti razzisti e xenofobi negli stessi luoghi di studio.

Non ci stiamo a un governo che vorrebbe ci stringessimo a coorte intorno a una ragione di Stato che persegue solo i propri interessi sistemici e che per noi significa solo ulteriore impoverimento; non ci stiamo allo scatenarsi di un processo che lascia presagire all’orizzonte un utilizzo strumentale della paura e della sicurezza come mezzo di una più semplice e profonda negazione delle nostre libertà; non ci stiamo a questa guerra perché significa solo morte, devastazione e sfruttamento; non ci stiamo a questa guerra perché è una loro guerra, mentre nostri sono i morti.

Torino contro la guerra

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