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Sulla strage di Port Said…un massacro di Stato

La capitale egiziana è esplosa perché solo due dei nove ufficiali imputati per la strage sono stati condannati; Port Said si è ribellata perché ritiene che la maggior parte dei condannati siano giovani innocenti individuati come capri espiatori dell’accaduto.
Forti le divergenze tra le due parti, ma comune la rabbia contro un verdetto che non riconosce il ruolo politico-istituzionale nella strage.

Al Cairo in migliaia sono scesi per le strade per manifestare la propria contrarietà al verdetto, in particolare contro la quasi totale assoluzione degli apparati di polizia. Migliaia di Ultras Ahlawy si sono ritrovati ieri mattina di fronte alla loro sede e da lì si sono diretti in varie direzioni della capitale egiziana, bloccando letteralmente la città: attaccate stazioni di polizia, incendiata la sede centrale della lega calcistica, bloccato il traffico ferroviario, bloccati diversi ponti.
Per tutta la giornata l’intera città è stata militarizzata: elicotteri, camionette e carri armati hanno per ore presidiato le più importanti zone della capitale egiziana, soprattutto la zona rossa, quella del parlamento e dei ministeri, il cui accesso è tuttora vietato.
Molte dunque le azioni degli Ultras Ahlawy, a cui sono seguiti duri scontri con le forze dell’ordine. Scontri che sono durati per tutta la giornata e che hanno portato, nei pressi di Qasr al-Nile, non lontano dalla città vecchia e da Piazza Tahrir, alla morte di due manifestanti.

Sia al Cairo che a Port Said c’è tanta rabbia e indignazione per l’assoluzione di larga parte dell’apparato di polizia, ma le visioni discordano sulla colpevolezza o meno degli altri imputati.

A Port Said, infatti, in migliaia sono scesi in piazza per manifestare contro le condanne dei giovani che si ritiene siano stati individuati come capri espiatori della strage. Qui, consapevoli di come la strage abbia invece una matrice politico-istituzionale, si chiede di andarne a ricercare le cause e i colpevoli esclusivamente in quest’ambito e tra le forze dell’ordine. Molta dunque la rabbia a seguito della conferma delle condanne a carico dei 21 giovani di Port Said che, secondo tutta la cittadinanza, niente hanno avuto a che fare con la strage.
Molte le azioni di protesta durante la giornata: blocco dei collegamenti marini del porto di Suez, blocchi stradali e migliaia di persone in piazza.

Da diversi giorni ormai Port Said è in fiamme, giornalieri sono gli scontri con le forze dell’ordine. Almeno 8 sono le vittime solamente nell’ultima settimana, l’ultima registrata nella giornata di venerdì.

Dunque da una parte ci sono gli Ultras Ahlawy – lo ricordiamo, gruppo molto attivo nelle giornate che hanno portato alla caduta di Mubarak – dall’altra Port Said che accusa le autorità egiziane di aver condannato degli innocenti solo per non soccombere alle pressioni di un settore sociale forte come quello degli Ahlawy.

Port Said con la sua ammirevole battaglia di disobbedienza civile e di autogestione; gli Ultras Ahlawy con l’altrettanto rispettoso passato di primo piano nella rivolta egiziana. Molte le divergenze al momento, ma in queste possiamo comunque rintracciare una richiesta comune: da entrambe le parti – pur se al momento in forte contrapposizione – si chiede che per la strage di Port Said siano processati gli apparati statali.

Questa richiesta è accompagnata dalla consapevolezza comune di trovarsi di fronte ad un regime che, pur di cancellare le pagine buie della storia recente dell’Egitto come quella della strage di Port Said, non ha alcun problema a condannare ed uccidere.
E, ciò che conta di più, è che da una parte all’altra dell’Egitto l’obiettivo rimane sempre lo stesso: la caduta del regime, adesso!

La corrispondente di Infoaut dall’area mediorientale

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