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Paris est à nous

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Riprendiamo da ACTA questo testo su quanto avvenuto sabato scorso a Parigi, Acte XVIII dei Gilets Jaunes. ACTA è un nuovo sito di informazione di parte che nasce dalla volontà di tradurre e dare voce alla ricomposizione politica in corso in Francia. ACTA esce pubblicamente da metà febbraio di quest’anno. E’ creato da diversi gruppi autonomi e da compagn* provenienti dalle lotte degli ultimi anni – da quella contro la Loi Travail nel 2016, agli scioperi dei ferrovieri, passando per le mobilitazioni nelle università e le rivolte contro le violenze poliziesche. Traduzione a cura della Redazione di Infoaut.

Mai prima d’ora gli Champs-Élysées si erano mostrati in tutto il loro splendore come la ” plus belle avenue du monde “. Per un giorno, l’arteria simbolo del lusso e della merce è diventata l’incarnazione di una ritrovata forza comune.

Certo, l’apparato repressivo, nonostante alcuni tentativi più o meno riusciti di escursioni e cortei selvaggi, è riuscito a contenere i disordini dentro gli Champs Elysées e nelle immediate vicinanze. Questo XVIIIesimo atto ha guadagnato in forza ed intensità ciò che ha perso in termini di estensione geografica. Chi era presente questo sabato ha infatti potuto assistere a quanti fra i Gilet Jaunes scandivano “Révolution, Révolution ! ” per tutto il pomeriggio. E’ bastato vedere la folla staccare e poi sollevare l’enorme placca metallica che proteggeva il negozio Bulgari, e utilizzarla per caricare la polizia al grido di “On a gagné ! Abbiamo vinto!”. E’ bastato vedere gli striscioni avvicinarsi a pochi metri dall’Arco di Trionfo, i poliziotti in antisommossa che indietreggiano e poi di danno alla fuga dietro l’edificio Louis Vuitton per sfuggire agli assalti dei manifestanti. Insomma, è bastato esserci questo sabato per capire che, nonostante l’evidente squilibrio nei rapporti di forza, c’era una folle determinazione, un sentimento di fiducia diffuso: non abbiamo più paura.

In realtà, ciò che conta in una sommossa non è la quantità oggettiva di danni materiali, il numero di vetrine infrante, le pietre lanciate o le auto date alle fiamme. No, ciò che conta è il dato qualitativo: è l’energia collettiva messa in campo, e ciò che questa induce in termini di trasformazione e presa sulle coscienze. Non quindi le perdite statistiche inflitte al nemico, ma le forze politiche e ideologiche liberate tra il popolo.

Perché se i media e il governo insistono così tanto e così ossessivamente sui “1500 ultra-violenti” che avrebbero organizzato le violenze, è per nascondere il fatto meno ammissibile che, in realtà, sabato 16 marzo, tutti, tutte coloro che erano presenti sugli Champs e nei dintorni, hanno partecipato in un modo o nell’altro alla sommossa.

Contrariamente a quanto si è potuto osservare durante i primi atti del movimento, nessuno ha pensato ieri di intervenire per impedire il saccheggio dei negozi, la distruzione di negozi di lusso o gli scontri con la polizia. Al contrario, ogni boato, ogni colpo di martello era accompagnato da applausi e entusiasmo. Per le migliaia di persone presenti, tutto questo sembrava perfettamente logico – per così dire normale. Come riassume il giornale Le Monde, mosso da un’imprevista lucidità d’analisi: “Durante le prime settimane del movimento, c’erano sempre manifestanti pronti a protestare contro i saccheggiatori. Questa volta, neanche l’ombra”.

Ed è questo che fa così terrore al governo: l’evidente impossibilità di introdurre qualsiasi tipo di divisione all’interno delle soggettività che partecipano alle manifestazioni. L’orrore di vedere pacifici padri e madri di famiglia che si fotografano sorridenti seduti in mezzo ai viali sui divani di velluto di Fouquet’s [il ristorante degli Champs-Elysées dove erano soliti banchettare i regnanti francesi] in fiamme a pochi metri di distanza, gli stessi padri e madri di famiglia che non si dissociano dai “casseurs”, come invece vorrebbe Castaner (il Ministro dell’Interno francese). Ma tutti questi discorsi sono vani, inudibili: l’arroganza del potere e la brutalità della sua polizia hanno raggiunto livelli così elevati che non c’è più spazio per alcuna dissociazione.

E’ un’ulteriore prova che qualsiasi rivolta popolare scuote coloro che vi partecipano, provocando attraverso il contatto con la pratica un’evoluzione nelle loro convinzioni e certezze. Oggi, il pacifismo di principio e l’ingenuità nei confronti dell’apparato repressivo dello Stato sono (quasi) scomparsi dai cortei dei Gilets Jaunes. Avviso a coloro i quali, solo poche settimane fa, affermavano di poter etichettare il movimento in questa o quell’altra maniera, assegnandogli questa o quella identità ideologica intrinseca.

Ma chi è il principale responsabile di questa progressiva “radicalizzazione” dei Gilet gialli, che è riuscito nel convincerli che solo l’antagonismo paga, se non il governo stesso? “Concedendo” all’inizio di dicembre l’aumento dello SMIC (il salario minimo), raggiungendo dopo tre settimane di insurrezione ciò che il movimento sociale tradizionale non era stato in grado di realizzare in diversi decenni di lotta, Macron ha confermato (se mai era necessario) la seguente lezione: lo Stato ascolta i bisogni popolari solo quando è costretto a farlo, quando non può più fare altrimenti. I Gilet gialli lo hanno capito perfettamente. “Ci siamo resi conto che è solo quando si distrugge che si viene ascoltati” (Johnny, 37 anni, direttore di un centro ricreativo); “È bello che si rompa, la borghesia si sente così al sicuro nella sua bolla, che deve avere fisicamente paura, per la sua sicurezza, perché mollino” (Anne, una postina di Tolosa, 33).1

Il fatto che il movimento si elevi ad un tale livello di conflitto dopo 18 settimane dalla sua nascita è già di per sé un fatto non usuale. Ma l’ultimatum, così era stato definito il XVIII atto dei Gilet Gialli, di questo sabato 16 marzo non si accontenta di essere un ultimo canto del cigno, per quanto fiammeggiante possa essere, prima di spegnersi. Niente potrebbe essere più pericoloso che accontentarsi di questo ultimo sabato. Questa giornata infatti prende senso solo nel momento in cui riesce ad agire come trampolino di lancio. Siamo di fronte ad una biforcazione: si tratta di usare questa data per lanciare una nuova fase per costruire una primavera di lotta.

Le forti mobilitazioni che si sono tenute in parallelo per il clima e contro la violenza della polizia confermano che la sfida della convergenza delle lotte è decisiva. Perché la sommossa, anche se ripetuta, non è di per sé un mezzo d’azione sufficiente. Deve essere articolato in una ripresa dei blocchi dei flussi economici e nel proseguimento di un lavoro di chiarificazione politica e strategica. Éric Drouet (una delle teste del movimento dei Gilet Jaunes) lo ha riconosciuto subito sabato sera: le manifestazioni con percorsi dichiarati in anticipo in prefettura sono inutili. Solo il continuo sconfinamento dai quadri imposti e il sabotaggio diffuso dell’economia possono portare alla vittoria. D’altronde, noi non abbiamo scelta: i primi elementi della risposta repressiva lasciano intravedere cosa significherà, per tutti, il soffocamento di questo movimento.

Note:

1. https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/03/16/il-n-y-a-que-quand-ca-casse-qu-on-est-entendu-recit-d-une-journee-de-violences-des-gilets-jaunes-a-paris_5437197_3224.html

 

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pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

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