InfoAut
Immagine di copertina per il post

La falsa normalizzazione tra Iran e USA

di Lorenzo Carrieri
 

Un accordo definitivo sul programma nucleare iraniano è stato finalmente raggiunto. 

L’implementazione del Joint Plan of Action firmato a Vienna nel 2013, e quello di Losanna del 2014, ha trovato la sua finale stesura nelle quasi 100 pagine stilate a Palais Coburg a Vienna, che ha ospitato le diplomazie dei P5+1 e dell’Iran, nonché gli alti dirigenti dell’Agenzia Atomica Internazionale, per più di un mese.

Era chiaro che tutti i player in campo volevano arrivare ad un accordo, e che ogni mossa mediatica era volta a mettere sotto pressione l’avversario: la deadline è stata post-posta per ben 2 volte e le conferenze stampa/annunci a mezzo stampa di Kerry e Zarif, così come i tweet di Khamenei e le dichiarazioni di Obama, sono state parte della cornice dell’accordo.

I punti dell’accordo sono quelli già ribaditi a Losanna ad Aprile: diritto iraniano all’arricchimento dell’uranio nel quadro del Trattato di Non Proliferazione e riduzione delle scorte di uranio a basso livello di arricchimento, riduzione delle centrifughe di ultima generazione,  riconversione ad uso civile e di ricerca degli impianti di Arak e Fordow, breakout time-ossia tempo medio necessario per arrivare alla bomba- di un anno esteso su 15, termine/cessazione delle sanzioni.

Su questo ultimo punto sembravano doversi arenare gli sforzi diplomatici: erano infatti gli Stati Uniti che postulavano un meccanismo di “sospensione temporanea” delle sanzioni, mentre l’Iran e gli altri player parlavano, chi più chi meno, di cessazione definitiva di queste ultime.

Alla fine della lunga maratona, fatta anche di momenti di tensione altissima – vedi risposta di Zarif alla Mogherini che accusava l’Iran di non essere abbastanza pragmatico per la firma di un accordo, a cui il ministro degli esteri della Repubblica Islamica rispondeva con un “Never threaten an Iranian” diventato poi #hashtag numero 1 su twitter – la soluzione diplomatica ha avuto la meglio: le sanzioni terminano al momento dell’attuazione degli impegni dell’Iran, che dovrà essere verificata dall’AIEA.

Le ispezioni saranno concordate con le autorità iraniane, mentre l’embargo sulle armi e sui missili balistici rimarrà attivo per 5 anni. Contemporaneamente sarà il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad approvare l’Accordo, togliendo definitivamente il dossier Iran dal capitolo 7 della carta fondativa delle Nazioni Uniti, quella relativa alle minacce alla pace: prima volta che un paese riesce ad uscire da suddetto capitolo attraverso un negoziato diplomatico.

Restano invece le sanzioni USA per le accuse di sostegno al “terrorismo”, vedi finanziamento iraniano ad Hezbollah libanese, per la violazione dei diritti umani e per i missili balistici.

Alla luce di questa firma storica, i media mainstream si sono lasciati andare alle più rosee aspettative: da un Iran nuovo poliziotto americano del Golfo (Fisk sull’Independent) ad alleato centrale che andrà a sostituire gli storici amici Arabia Saudita e Israele.

Crediamo invece che la lettura dell’accordo vada innanzitutto ponderata con una buona dose di realismo, cosa che i titoli sensazionalistici dei giornali non fanno, paventando una normalizzazione delle relazioni Iran-USA.

In chiave iraniana quindi la firma dell’accordo è, in primo luogo, una messa in sicurezza del regime degli Ayatollah da prospettive di regime change esterno.

L’accordo va dunque ad agire su un livello di potere anche economico: le lobby di regime e la borghesia iraniana sostenitrici degli Ayatollah hanno tutto l’interesse a rientrare nei circuiti internazionali del credito e del commercio, in un ottica di investimenti diretti esteri e di fine della dipendenza dal know-how estero per la tecnologia.

L’Iran sarà così in grado di sfruttare appieno la sua posizione di forza nel campo della produzione del gas naturale e del petrolio, bilanciando l’egemonia dei paesi del Golfo come Arabia Saudita e Qatar.

In chiave americana e occidentale, reinserire Tehran all’interno del circuito del comando capitalistico significa avere a che fare con un mercato da 80 milioni di consumatori che, nonostante il regime sanzionatorio, stava “cadendo” nelle mani di imprese cinesi e russe (ma anche indiane): ecco perché nel calcolo dei costi e benefici l’amministrazione americana e le élite europee hanno visto di buon occhio la firma di un agreement con l’Iran.

Stiamo infatti parlando di un paese che, come afferma Stephen Walt su ForeignPolicy, possiede una delle classi medie più istruite e occidentalizzate della regione – il 50% della popolazione ha meno di 30 anni -, più simile per certi versi all’individualismo occidentale e alla ricerca del benessere economico che all’afflato rivoluzionario dei padri della rivoluzione del 1979: quei giovani scesi in piazza a festeggiare rappresentano dunque una manna per il mercato delle imprese occidentali.

In conclusione dunque la firma degli accordi non significa in alcun modo la riabilitazione dell’Iran come alleato americano nella regione né la normalizzazione tra Washington e Tehran.

Certo, il grand bargain con il Grande Satana americano è una timida apertura voluta dai leader, Obama e Khamenei, entrambi portatori di interessi differenti.

Il presidente americano guadagna forse il primo vero successo di politica estera, sostituendo alla politica del premptive strike di Bush II, il contenimento/engagment di Tehran nella comunità internazionale. Obama è in grado così di tenere a freno sia gli sprezzanti sauditi, autori di politiche a volte di aperta ostilità verso Washington – vedi politica petrolifera, ambiguità verso ISIS e sostegno a Sisi in Egitto – sia il mal digerito alleato israeliano Netanyahu, ma anche l’indipendenza di Erdogan: ecco perché un Iran legittimato anche solo in piccola parte – lotta contro ISIS in Iraq a fianco di expertise USA – va a costituire un blocco di potere sciita che bilancia le politiche di Israele, Arabia Saudita e Turchia, e contesta l’emergere di un solo egemone nell’area. Obama si è già detto pronto a porre il veto ad ogni azione del Congresso americano volto ad ostacolare l’approvazione dell’IranDeal.

Khamenei invece securizza l’ordine interno ed esterno, aprendo l’Iran ad un flusso di denaro ed investimenti senza precedenti, scongelando asset per miliardi di dollari e, in ultimo, si pone in diretta concorrenza, questa volta “legittimato” dalla comunità internazionale, nella corsa all’egemonia regionale.

Vedremo come si declinerà nei prossimi anni la firma di questi accordi: nell’influire su vari livelli – economico, politico, militare – lo scontro tra Iran ed egemoni regionali potrebbe affievolirsi o inasprirsi, seguendo un dilemma della sicurezza tipico di un sistema realista di stati, e portare ad una corsa agli armamenti senza precedenti. A vedere dalle prime reazioni di Israele e Arabia Saudita lo scenario più probabile è proprio quest’ultimo.

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

geopoliticairannuclearestati uniti

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Smascherata la politica di Meta sul sionismo: Ciberwell si scatena dopo la rivelazione di legami con Israele

Il 10 luglio è stato annunciato che il gigante dei social media Meta avrebbe ampliato la portata della sua censura e della soppressione dei contenuti relativi al Genocidio di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Eni: basta finanziare guerre

ENI e Ithaca Energy si uniscono per produrre oltre 100mila barili di petrolio al giorno nel Mare del Nord. Peccato che la britannica Ithaca Energy sia controllata per l’89% dalla israeliana Delek Group, nella lista nera dell’ONU per operazioni nei Territori Palestinesi occupati illegalmente.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Virus della Polio rilevato nell’acqua di Gaza

Componenti del poliovirus di tipo 2 sono stati trovati in campioni di acque reflue provenienti da Gaza, ha annunciato giovedì il ministero della Salute israeliano.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Napoli: liberi di lottare contro la guerra e affianco al popolo palestinese

Alle 6 di stamani la polizia è andata a casa di 4 compagn per notificare l’applicazione dell’obbligo di firma e contestare vari reati per la manifestazione in solidarietà al popolo palestinese del 13.02 di quest’anno fuori le sedi della RAI di Napoli. da Laboratorio Politico Iskra Giovedi 18 luglio, Presidio h 10, Sede Rai via […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Combattenti stranieri per Israele: mercenari o guardiani “dell’unica democrazia” del Medio Oriente?

Israele sta usando i combattenti stranieri nella sua Guerra Genocida contro Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’INTIFADA NON SI FERMA NEANCHE IN ESTATE

Assemblea nazionale al Festival Alta Felicità venerdì 26/07/2024 ore 18.00 dell’Intifada Studentesca

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La partenza dei coloni israeliani è aumentata del 150% dal 7 ottobre

I media israeliani evidenziano un notevole aumento di coloni israeliani che lasciano la Palestina occupata, con preoccupazioni per la sicurezza e l’incolumità che guidano questa “migrazione inversa”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Mesopotamia: cos’è Hezbollah? Intervista a Fabio Merone

Grazie al contributo di Fabio Merone, ricercatore che si occupa di islam politico e, in generale, di politica nel mondo arabo, in questa puntata andiamo scopriamo il movimento sciita libanese Hezbollah (“Il partito di Dio”).

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Elezioni in Regno Unito. L’analisi del voto e gli scenari di scontro possibile

Abbiamo chiesto a George, del collettivo politico e d’inchiesta militante Notes From Below, una panoramica sui risultati delle elezioni in UK e sulle conseguenze politiche per l’area britannica.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Italia: l’aeronautica militare e la marina nell’Indo-Pacifico. Continua l’investimento nell’ambito bellico

L’Aeronautica Militare va nell’Indo-Pacifico con un consistente numero di aeromobili e personale per partecipare all’esercitazione Pitch Black 2024 in Australia, alla Rising Sun 24 in Giappone, nonché per addestrarsi insieme alla Marina Militare in mare aperto.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

American way of death

Pochi giorni dopo la sparatoria di Butler che ha causato una ferita all’orecchio di Trump, un morto, due feriti e uno scossone nell’andamento della campagna elettorale più folkloristica di sempre, Trump torna alla carica alla vigilia della convention repubblicana di Milwaukee che lo incoronerà ufficialmente candidato, dicendo “Non mi arrenderò mai, vi amo tutti”. Il […]

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Le guerre per l’acqua: attualità in Francia, prossimo futuro in Italia?

Lunga intervista realizzata dal progetto Confluenza a un attivista della regione del Poitou dove, in Francia, da quasi dieci anni va avanti un’importante lotta per la difesa del territorio contro il progetto dei mega bacini idrici.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Niger, Ciad e Senegal: l’Africa non vuole più i militari francesi e statunitensi

Mentre cresce la presenza militare russa, in Africa si estende il rifiuto di quella occidentale, considerata un indesiderabile retaggio storico del colonialismo pur giustificata dalla necessità di contrastare un tempo i movimenti guerriglieri e oggi le organizzazioni jihadiste.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Assange vince all’Alta Corte di Londra: potrà fare appello contro l’estradizione negli USA

Julian Assange ha ottenuto un’importante vittoria nella sua battaglia giudiziaria contro l’estradizione negli Stati Uniti d’America.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Le proteste dei campus per Gaza dimostrano che quando i vertici universitari falliscono, sono gli studenti a guidare

Che gli studenti costruiscano mille accampamenti. Che occupino gli edifici di ogni amministrazione universitaria che si è dimostrata incapace di promuovere un luogo di libera indagine e apprendimento.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La lotta per fermare il genocidio nelle università statunitensi: un reportage dall’Università del Texas

Abbiamo tradotto questo interessante reportage apparso su CrimethInc sulle proteste che stanno coinvolgendo i campus degli Stati Uniti contro la complicità del governo USA nel genocidio del popolo palestinese.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Attacco iraniano a Israele: quali conseguenze per il Libano?

Lo Stato ebraico potrebbe intensificare la lotta contro Hezbollah, ma secondo gli esperti una guerra aperta sul territorio libanese è improbabile.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’obiettivo finale di Netanyahu e le ambizioni regionali dell’estrema destra israeliana

Gli eventi degli ultimi giorni suggeriscono che potremmo vedere prendere forma l’obiettivo finale di Israele. Gli obiettivi del governo di estrema destra di Netanyahu non si limitano a Gaza: vuole conquistare tutta la Palestina e iniziare una guerra anche con Hezbollah e l’Iran.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Raid israeliano a Damasco: un quadro degli attori e delle strategie nel conflitto in Medio Oriente.

Proviamo a dare un quadro del clamoroso attacco dell’esercito israeliano contro la sede consolare iraniana nella città di Damasco (Siria), avvenuto lunedì 1 aprile, a cui ha fatto seguito l’attacco israeliano contro i convogli umanitari della WCK del 2 aprile.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Lettera dei teleriscaldati di Torino verso il G7 Ambiente & Energia.

Ripubblichiamo questa lettera aperta scritta dai teleriscaldati di Torino in quanto viene messa in evidenza la stretta relazione tra narrazione green propugnata dal governo e le soluzioni fallimentari di una transizione energetica e ecologica imposta dall’alto.