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Isis, kurdi, medioriente: serve una rivoluzione anche del pensiero

Un tentativo di comprendere al di là della retorica internazionale

Di Suveyda Mahmud

Corrispondenza da Makhmur (campo profughi di curdi in nord Iraq)


Il ghiaccio frantumato viene messo nei secchi, con le bottiglie di acqua e bevande da raffreddare. Ma sotto un sole caldo a 50°, il ghiaccio si scioglie rapidamente, e l’acqua che rimane evapora… Questi cubetti di ghiaccio sciolti, ed evaporano nella calura del deserto, sono forse la migliore metafora per descrivere quanto sta accadendo in Medio Oriente. Qui, tutti i sistemi sociali con i loro relativi impianti teorici e cognitivi, congelati da 5000 anni come in un freezer, si stanno dissolvendo, oggi, evaporando rapidamente. Una evaporazione che è uno stato di caos.

Nelle colline retrostanti Mahmura come nel Medio Oriente, ma non solo, si possono vedere all’opera tutte le versioni delle attuali potenze dominanti e anche una combinazione di tutte le dinamiche sociali che resistono.

Il sistema capitalista è il responsabile della creazione e del foraggiamento delle bande di ISIS, che hanno occupato e saccheggiato la cittadina e il campo profughi di Mahmura.

I guerriglieri sono arrivati dai monti Qandil, e hanno attacato le bande di predoni di I.S. con un continuo tiro di fuoco; mentre sul lato posteriore della valle il PUK e i peshmerga del PDK e Gorran aspettavano con preoccupazione. Da Mahmura, intanto, vengono sparati continuamente colpi di mortaio verso le colline circostanti. I guerriglieri tengono sott’occhio le postazioni dominanti del campo, ne seguono 24 ore su 24 i movimenti, e i cecchini tengono sotto tiro con un’arma a lunga gittata che hanno costruito in montagna e che hanno chiamato “Zagros”. Un rumore nel cielo si avvicina e poi svanisce, segnalando che i droni americani stanno sorvolando le nostre teste. Nel deserto, dall’orizzonte, giungono fin sulle colline lampi ed esplosioni, ad annunciare un bombardamento da parte del governo di Baghdad.

Le forze della guerriglia, provenienti da quasi ogni parte della Mesopotamia e composte da gente di ogni età, colore, sesso, dai dintorni di Mahmura scrutano con attenzione i movimenti dei banditi nel campo profughi e in città. Ma chi sono questi banditi? Questa, denominata ISIS, è una banda che ha trascinato in una spirale di violenza e brutalità soprattutto il Kurdistan occidentale (Rojava), in Siria, e il Kurdistan meridionale, in Iraq, fino a Mahmura, che si trova proprio nel mezzo delle principali città e regioni del Kurdistan meridionale come Kirkuk, Mosul, Suleymania, Hewler (Erbil). L’ISIS occupa e saccheggia Mahmura il 5 di agosto; il 10 di agosto comincia la controffensiva dei guerriglieri del PKK e della milizia di Mahmura, insieme sotto la bandiera della difesa del Kurdistan unito, che dalle colline scendono su Mahmura. Le bande di ISIS non riescono a opporre resistenza e sono costrette a una fuga precipitosa dalla città, senza avere il tempo di minare il terreno, né di portar via i propri mezzi, armi, munizioni, e nemmeno i corpi dei propri morti, si ritirano nel deserto verso il fiume Tigri.

Entriamo così nel campo di Mahmura, con tutte le precauzioni per la sicurezza: preceduti dalle unità di esperti in esplosivi e sotto la copertura di combattenti rimasti a sorvegliare il campo dalle colline contro possibili agguati, le squadre di guerriglieri e miliziani si dividono in piccole unità per setacciare il terreno quartiere per quartiere, strada per strada, casa per casa, stanza per stanza. Si verifica solo una breve sparatoria, con un membro di ISIS che era rimasto ferito e non era riuscito a fuggire, e che verrà neutralizzato dai nostri cecchini. A Mahmura, nelle case saccheggiate e abbandonate da questi banditi, sono cadute tutte le falsità raccontate dall’ISIS a tutta la gente che è venuta a combattere da ogni parte del mondo pensando di partecipare a una “guerra santa”. In tutte le case abbandonate dai banditi in fuga, l’irruzione delle forze della guerriglia ha smascherato i loro veri obiettivi, trovando le valigie piene di soldi, oggetti di valore, oro, gioielli, pronte per essere trafugate. Quel che ci siamo trovati di fronte non sono i segni di una sacra causa e dei suoi militanti, quanto piuttosto le tracce lasciate da una

banda di ladri in fuga. Tra i membri morti delle bande abbiamo trovato arabi, curdi, turchi, ceceni, afghani, europei e americani, una rete di ladri e assassini quasi universale.

Se le bande di ISIS hanno provato a trasformare questo mondo in una nuova Sodoma e Gomorra, hanno trovato a rispondergli le forze di difesa di un popolo, con la loro determinazione a difendere non solo i civili in fuga, ma l’onore dell’umanità. Da Zagros e Kandil sono arrivati in migliaia, unendosi agli uomini e alle donne dei tre cantoni dell’autonomia democratica del Rojava, e ai giovani yezidi sotto attacco, senza paura.

Ognuno può vederlo. I giornali, le televisioni, i social network, sembrano ora dare informazioni quotidiane sui recenti avvenimenti. Tuttavia, come in precedenza, non indagano le cause, ma costruiscono una narrazione plausibile per giustificare l’intervento occidentale.

L’America e l’Europa prendono posizione contro I.S., i peshmerge vengono armati. Si, è vero! Però contro chi e per quale motivo? Già i peshmerge avevano una superiorità numerica e militare rispetto a I.S. Rispetto alle posizioni sotto loro controllo avevano la possibilità di resistere tranquillamente, però non hanno resistito. Hanno abbandonato rapidamente i posti controllati senza opporre resistenza. I risultati più feroci e drammatici di questa scelta si sono visti a Sinjan. Se non ci fosse stato il sistema del PKK e le forze delle HPG avrebbe potuto succedere qualcosa di simile nel campo di Makhmour. I peshmerge che sia come tecnica militare sia come superiorità numerica erano meglio equipaggiati delle HPG, hanno abbandonato anche Makhmour senza resistere. Se non ci fosse stata la resistenza dei piccoli gruppi delle HPG e dei miliziani di Makhmour, Hewler (Erbil) sarebbe diventata una seconda Mosul.

La domanda è: se i peshmerge non hanno resistito contro le bande di I.S., allora perché dovrebbero essere armati? I guerriglieri del PKK e le forze delle YPG nei cantoni del Rojava (Kurdistan occidentale), a Rabbia, a Sinjan, a Makhmour, a Kirkuk, a Celewla e a Germiyan, stanno combattendo nonostante siano segnalati nella lista delle organizzazioni terroristiche di Europa ed America. Mentre si sta organizzando un sistema tipo KCK (Confederazione delle Comunità Curde) per unificare le dinamiche della zona e si sta costruendo un sistema di confederalismo democratico nella regione, perché il PKK è ancora segnalato come organizzazione terroristica da parte dell’Europa, dell’America, della Turchia, dell’Iraq e anche del Kurdistan Federale? Mentre il sistema degli stati-nazione come la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran sta franando, le quattro parti del Kurdistan stanno costruendo da sole una vita libera; contro chi stanno resistendo?

Chi sono coloro che stanno attaccando il PKK e chi rappresentano in realtà? La risposta è semplice. I.S. è la forza armata del sistema capitalistico e imperialistico che porta avanti le aggressioni. Invece il PKK è il rappresentante collettivo della vita libera dei popoli del Medio Oriente. Le dinamiche incrociate sono queste. I.S. è l’ultima evoluzione del sistema maschilista, invece il PKK è la forza che sta resistendo e che costruisce una nuova forma di vita, naturale, democratica, partendo dal locale. Il resto è un’operazione volta a costruire false percezioni e una guerra sporca. Formulare pensieri nel caos attuale fa sorgere delle domande. Ci troviamo in un momento in cui porre domande sugli eventi accaduti e che accadono in Medio Oriente. Se si pongono le giuste domande – su quel che sta accadendo ed è accaduto in Medio Oriente – le risposte saranno chiare. Basta liberarsi di paradigmi superati. E come dice A. Öcalan: “abbiate il coraggio di pensare”!

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