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Il popolo ha detto basta ed è uscito in piazza. Lettera di un cileno in Italia

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Riceviamo e pubblichiamo…

Sono Pablo Tapia Leyton, artista in Danza Contemporanea, nato e vissuto a Santiago Del Cile. Da 5 anni vivo in Italia, lavorando come danzatore, coreografo indipendente e insegnante per il Balletto di Roma.

Ho deciso di scrivere questo testo con l’intenzione di dare visibilità ad una crisi sociale che ci ricorda i tempi bui. Essendo un cittadino Cileno che ha sempre creduto nella giustizia e nell’uguaglianza sociale, sento di dover dare il mio piccolo contributo, la mia opinione e soprattutto informare le persone in Italia su quello che veramente sta accadendo, e non solo ciò che i media vogliono far vedere.

Facciamo un gioco di empatia:

Pensa di essere in un paese di montagne imponenti, una natura vergine da film di fantascienza, con 6000 km di costa e oceano, grandi risorse minerali, con una popolazione di solo 18 milioni di persone e un terreno fertile di 400.000 km quadrati. Potrebbe sembrare un paradiso, ma non è cosi.

Il Cile è l’unico paese al mondo in cui L’ACQUA è stata privatizzata.

Lo stipendio del 65% dei cileni non supera i 450€ mensili, e il 77 % dei cileni ha una pensione inferiore a 150€ al mese, per cui pur essendo in pensione devono continuare a lavorare.

Il Cile è uno dei paesi dove le cure mediche sono più costose al mondo; inoltre le farmacie sono grandi coalizioni di aziende che decidono i prezzi di ogni farmaco. Sotto questa strategia si impone dal prezzo del latte a quello della carta igienica.

Il Sistema Sanitario Pubblico è del tutto precario, a fronte di una notevole quantità di utenti: io ho aspettato 20 ore per entrare in un pronto soccorso.

La formazione universitaria pubblica non esiste: tutti pagano un costo annuo di circa 5000-7000€; quindi un Cileno medio (che, ripeto, percepisce 450 € di stipendio) deve chiedere un prestito alle banche private per poter studiare, arrivando così a pagare, a soli 20 o al massimo 30 anni di età, un totale di 40.000 o 50.000 € cui bisogna aggiungere il costo degli interessi.

Non esistono sussidi dello Stato per le necessarie utenze di luce, gas, benzina, e ogni 6 o 7 mesi aumentano i prezzi dei consumi primari.

La qualità del cibo è pessima, nonostante sia molto costoso: molte persone riescono a fare la spesa solo utilizzando carte di debito. Per mangiare ti devi indebitare. Il 48% dei cileni fa la spesa indebitandosi a rate.

Le autostrade sono private. Le scuole pubbliche sono sovraffollate: ci sono 45-50 studenti per ogni aula, con un solo docente e senza insegnati di sostegno per chi ne ha bisogno.

In Cile si vive ancora sotto la Costituzione creata durante la dittatura di Augusto Pinochet.

Con questo panorama il governo annuncia un aumento del costo dei biglietti dei mezzi di trasporto pubblico di Santiago. Risultato: il popolo ha detto basta ed è uscito in piazza.

Sono sincero nel riconoscere che i grandi giornali italiani o internazionali danno un panorama reale su quello che sta accadendo, ma ovviamente non avendo vissuto sulla propria pelle cosa significhi vivere in Cile, è impossibile per loro scrivere in modo approfondito riguardo alle crudeltà che vivono ogni giorno le persone che hanno un minore potere di acquisto, alla macabra organizzazione dei governi che arricchisce sempre di più le stesse persone, e alla diseguaglianza, una delle più alte al mondo. L’1% dei Cileni possiede il 33% della ricchezza totale della nazione. La stratificazione di classe è altissima – le classi sono divise anche geograficamente, facendo di tutto per evitare l’integrazione fra i gruppi – e con l’implementazione del modello neoliberale degli E.E.U.U si sfocia in una repressione e una violenza perenni.

Non avendo nella propria storia questi antecedenti, molti giornalisti insistono nel paragonare queste manifestazioni attuali con la dittatura di Augusto Pinochet, ma il fatto stesso di paragonare, per me, è normalizzare o scrivere in modo superficiale solo l’unico aspetto che sembra poter essere condannabile, portando l’attenzione dei lettori lontano dalle reali motivazioni per cui il popolo Cileno è sceso in piazza.

Concentrare l’opinione pubblica sul fatto che la storia del Cile è stata distrutta da una dittatura che ha fatto sparire 1249 persone, ucciso 2460 persone e torturato 24560 persone,lasciando l’eredità di una profonda paura di esprimersi e di impedire ancora ad un intero paese di aver pace o almeno tranquillità, non è una strada giusta; tra l’altro nessuno vuole che questo accada di nuovo.

Stando alle notizie che ricevo, in Cile si parla anche di questo argomento, ma, senza dubbio, l’energia è messa tutta da un’altra parte.

Ci sono due realtà in Cile in questo momento. La prima segue la dottrina di ciò che la TV (controllata dallo Stato) dice e mostra, cioè la paura, nell’intento di mettere i cittadini gli uni contro gli altri, proponendo trasmissioni infinite contenenti una sola tematica: la delinquenza, i furti e la violenza dei propri cittadini.

Dall’altra parte esiste la maggior parte della cittadinanza che è consapevole di queste strategie mediatiche, della messa in scena ripetuta da carabinieri e militari, per incolpare il popolo dei furti ai supermercati e ai centri commerciali, e allo stesso tempo giustificare la violenza e le violazioni dei Diritti Umani.

Da una settimana ormai tutti escono per strada con paura, perché sanno che i militari sparano, che i carabinieri usano tutta la forza anche se non stai facendo niente. Ma, ed è questa la cosa più bella, tanti dei miei amici ed io stesso per la prima volta ci sentiamo Cileni, lottando per cambiare uno stato tiranno.

Nessuno avrebbe pensato di arrivare ad una situazione del genere, ma io penso che se non si fa adesso un cambiamento strutturale, non si può prevedere cos’altro potrebbe accadere nella mia terra.

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