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Alain Badiou: ‘Mi chiedo a cosa serva la filosofia se non è immediatamente critica radicale’

Nel testo che riportiamo di seguito, Alain Badiou* risponde ad un articolo di Jean-Luc Nancy (in inglese qui: “What the Arab peoples signify to us”), apparso in francese su Libération. Pur non condividendo del tutto l’impianto, che tende a mettere un po’ troppo al margine gli interessi materiali e la competizione inter-imperialista tra le potenze europee e tra queste e gli Stati Uniti, lo riteniamo un contributo utile alla riflessione e all’azione all’interno del movimento contro la guerra. Infatti, facendo un po’ di chiarezza sulle forze in campo, arriva a ripudiare qualsiasi possibilità di prestare il fianco alla propaganda degli interventisti e sostiene con forza la necessità di schierarsi contro la guerra condotta dalla NATO. Speriamo possa essere utile anche per far maturare alcune riflessioni all’interno di quelle realtà che finora sono rimaste un po’ “freddine” dinanzi alla mobilitazione contro la guerra.

 

Mi chiedo a cosa serva la filosofia

se non è immediatamente critica radicale

di Alain Badiou

 

Sì, caro Jean-Luc, la posizione che adotti a favore dell’intervento “occidentale” in Libia è stata una triste sorpresa per me.

Non ti sei reso conto fin dall’inizio della palpabile differenza tra gli avvenimenti in Libia e ciò che succedeva altrove? Come, sia in Tunisia che in Egitto, abbiamo davvero visto grandi mobilitazioni popolari, mentre in Libia non c’è nulla di simile? Un mio amico arabista si è dedicato nelle ultime settimane a tradurre i manifesti, le insegne, i cartelli e le bandiere che avevano caratterizzato le manifestazioni tunisine ed egiziane: non ha potuto trovare un solo esempio di tutto ciò in Libia, neanche a Bengasi. Una delle cose che colpisce di più dei “ribelli” libici – che sono sorpreso tu non abbia notato – è che non si vede nemmeno una donna, mentre in Tunisia ed Egitto erano molto visibili. Non sai che i servizi segreti francesi e britannici stavano organizzando la caduta di Gheddafi dallo scorso autunno? Non sei sorpreso che, differentemente che in tutti gli altri sollevamenti arabi, in Libia siano venute fuori armi di provenienza sconosciuta? Che bande di giovani hanno subito cominciato a sparare raffiche in aria, qualcosa di inconcepibile negli altri luoghi? Non ti colpisce l’emergere di un presunto “consiglio rivoluzionario” guidato da un ex complice di Gheddafi, mentre da nessun’altra parte c’è stata la possibilità per le masse di scegliere persone per un nuovo governo?

Non capisci come tutti questi dettagli, e molti altri, si accompagnano col fatto che qui, e da nessun’altra parte, sono state chiamate in aiuto le grandi potenze? Che canaglie come Sarkozy e Cameron, i cui obiettivi sono chiaramente sciagurati, sono applaudite e osannate – e tu improvvisamente gli vai in soccorso. Non è lampante che la Libia ha offerto la possibilità di entrare a queste potenze, in una situazione che dovunque è scappata loro dalle mani? E che il loro obiettivo, chiarissimo e più che “classico”, era trasformare una rivoluzione in una guerra, mettendo la popolazione fuori gioco e aprendo la strada alle armi e agli eserciti, per quelle risorse che sono monopolizzate da queste potenze? Questo processo si dipana ogni giorno dinanzi ai tuoi occhi, e tu lo approvi? Non ti accorgi come, dopo il terrore dal cielo, saranno offerte armi pesanti per le operazioni a terra, insieme con istruttori militari, veicoli corazzati, strateghi, consiglieri e caschi blu, e che in questo modo comincerà la riconquista (si spera complicata e non definitiva) del mondo arabo per mano del dominio del capitale e dei suoi stati vassalli?

Come puoi tu, tra tutte le persone, cadere in questa trappola? Come puoi accettare qualsiasi tipo di missione “salvifica” affidata a quelle stesse persone per le quali la vecchia situazione era positiva, e che vogliono assolutamente tornare indietro, con mezzi violenti, per questioni di petrolio ed egemonia? Puoi accettare così semplicemente l’ombrello “umanitario”, l’osceno ricatto in nome delle vittime? Le nostre armi uccidono più gente in più paesi di quelle che sarebbe capace di ammazzare il dittatore locale Gheddafi nel suo paese. Cos’è questa fiducia improvvisamente accordata ai più grandi macellai dell’umanità contemporanea, a quelli colpevoli del mondo con cui abbiamo familiarità? Tu credi – puoi credere – che rappresentino la “civiltà”, che le loro mostruose armi possano essere strumenti di giustizia? Sono stupefatto, devo ammetterlo. Mi chiedo a cosa serva la filosofia se non è immediatamente critica radicale di questo tipo di opinioni incoscienti, che la propaganda di regime riesce a mettere nelle nostre menti e a far passare come nostre, che le ribellioni popolari nelle regioni che ritengono strategiche hanno messi sulla difensiva e che sono alla ricerca della vendetta.

Nel tuo testo dici che “dopo” spetterà a “noi” (ma chi è questo “noi”, se oggi include Sarkozy, Bernard-Henri Lévy, i nostri bombardieri e i loro sostenitori?) assicurarci che non si torni indietro rispetto a contratti petroliferi e militari. Perché “dopo”? è ora che dobbiamo assicurarcene, fermando le grandi potenze, per quello che possiamo, dall’interferire nei processi politici in atto nel mondo arabo. Facendo tutto questo è possibile che queste potenze non possano reintrodurre – sotto il deteriorato nome della “democrazia”, della morale e dei pretesti “umanitari” che hanno sempre usato fin dalla prima conquista coloniale – contratti petroliferi e altri accordi, che sono gli unici accordi che interessano questi stati.

Caro Jean-Luc, in tali circostanze, per te o per me, non ha senso essere d’accordo con la regola del “Western consensus” che dice: “dobbiamo assolutamente rimanere in attesa di qualunque cosa accada”. Dobbiamo sollevarci contro questa regola e dimostrare che il vero obiettivo dei bombardieri e dei soldati occidentali non è in alcun modo lo spregevole Gheddafi, un ex cliente di quelli che ora si stanno sbarazzando di lui alla luce di interessi più grandi. L’obiettivo dei bombardieri è la ribellione popolare in Egitto e la rivoluzione in Tunisia, il loro carattere inaspettato ed intollerabile, la loro autonomia politica, in una parola: la loro indipendenza. Opporsi agli interventi distruttivi delle potenze significa sostenere l’indipendenza politica ed il futuro di queste ribellioni e di queste rivoluzioni. Questo è qualcosa che possiamo fare, ed è un imperativo assoluto.

Saluti amichevoli, Alain.


Nota e traduzione a cura di Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

Alain Badiou, nato a Rabat nel 1937, allievo di Althusser, è attualmente professore all’école Normale Supérieure di Parigi.

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