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La contraddizione ecologica e l’opposizione alla guerra: riflessioni sulla mobilitazione contro il G7 Ambiente e Energia.

Le giornate di mobilitazione appena trascorse e quelle che abbiamo di fronte ci dicono alcune cose rispetto alle tendenze dell’oggi, dei soggetti che si muovono, delle lotte che si intrecciano. Prima di pubblicare il contributo di notav.info che ritorna sulle ragioni della mobilitazione verso il G7 Ambiente Energia di Venaria e sulla cronaca delle giornate di lotta, diamo alcuni spunti di riflessione..

La ricchezza e la complessità delle istanze e dei contenuti rappresentati dalle varie realtà che hanno animato la mobilitazione rispecchiano una profonda capacità di analisi delle contraddizioni attuali, in particolare il nodo della contraddizione ecologica ed energetica risulta centrale. Si esprime la necessità di ritradurre questi contenuti in maniera ampia, da un lato individuando e colpendo i centri nevralgici del sistema capitalista attuale, nella sua capacità di ristrutturarsi a fronte di passaggi epocali, dalla pandemia alle guerre imperialiste, dall’altro esprimendo i paradossi dei nuovi paradigmi che il mondo Occidentale vorrebbe imporre per garantire la propria riproduzione. Le istanze che hanno accompagnato questi momenti di mobilitazione sono le stesse che animano le attivazioni degli anni recenti, componendo un soggetto sociale trasversale, che a tratti difficilmente comunica nelle sue differenze di appartenenza e di classe, ma che si articola in più ambiti della vita e dell’esistente. La crisi della riproduzione sociale diventa così l’asse su cui si sovrappongono strati di sentimenti di rifiuto, inaccettabilità delle condizioni materiali, insofferenza per una valorizzazione soggettiva inevasa dagli itinerari proposti dal sistema capitalista. Il compito per noi oggi diventa allora quello di una ritraduzione in termini popolari di ciò che trasversalmente si percepisce come insopportabile su tutti i livelli del dominio, alimentandone le rigidità.

La guerra, in particolare quella protratta dallo Stato illegittimo di Israele che sta preparando in queste ore l’invasione via terra di Rafah, dando così continuità al piano di sterminio di un popolo nella complicità dell’imperialismo occidentale, sta rientrando in punta di piedi nei codici di riferimento. Se la guerra in Ucraina è stata difficilmente interpretabile come una guerra per procura in territorio europeo per garantire l’egemonia del dollaro, messa a rischio dall’emersione di altri Paesi competitivi per il cuore dell’impero, oggi la guerra alla Palestina diventa la rappresentazione lucida del sistema di dominio e di come si riproduce. La vivacità delle proteste giovanili legate alla solidarietà alla resistenza palestinese, in Europa come negli Stati Uniti, può essere una via per riattivare dei subbugli ed emersioni sociali negli strati giovanili. Se negli ultimi anni è evidente la disaffezione nei confronti delle forme classiche della protesta e il non aver vissuto gli ultimi cicli contemporanei di movimento ha avuto le sue conseguenze nella capacità di organizzarsi, possiamo leggere una rinata – seppur timida – fiducia nella lotta. L’impotenza vissuta durante la pandemia sta forse lasciando spazio a una maggior fiducia nelle possibilità date dalla responsabilità collettiva. Il riscatto dei popoli oppressi diventa slancio per attivarsi anche alle nostre latitudini, facendo del briciolo di umanità e indignazione di cui si è ancora capaci una base per approfondire la propria opposizione attiva alla direzione in cui il mondo sta andando. Diventa anche la prima occasione per tutti quei giovani di seconda generazione di mettere al centro la propria condizione, per la prima volta in un Paese di recente immigrazione come il nostro e di passaggio obbligato, spesso verso luoghi con qualcosa in più da offrire, si apre una finestra di protagonismo. Siamo di fronte a nuove necessità, a nuove tensioni e ambivalenze, nuove possibilità da esplorare nell’ottica di costruire legami che vadano al di là della semplice alleanza o alla sovrapposizione di istanze.

All’attivazione giovanile si aggiunge, e si rende indispensabile tenerne conto, una movimentazione sociale spuria, dei piani bassi della classe, di quel ceto medio impoverito che non vuole veder perse le ultime tutele di un sistema politico in cui non c’è possibilità di mediazione né di contrattazione, in una generale indisponibilità di risorse che vanno esaurendosi. E non solo, anche di quei piani alti della classe che dalle dimensioni garantite della loro riproduzione sociale vedono andare in crisi i compromessi che hanno permesso di mantenere uno stile e una qualità di vita più alto della media. La crisi del comparto sanitario, della formazione, del lavoro salariato in genere e, al contempo, l’inesistenza di un’offerta credibile da parte del capitale sono elementi da scomporre e ricomporre.

In questi giorni, ma in generale negli ultimi mesi e in quelli che verranno, queste spinte e questa variegata composizione pensiamo saranno al centro di una auspicabile nuova fase. La manifestazione popolare che si è tenuta ieri a Venaria per contestare l’avvio del G7 Ambiente e Energia ha raccolto in parte queste esigenze, le ha nominate, ha rappresentato uno spaccato di cosa c’è oggi in grado di mobilitarsi e di qualificarsi come soggettività in opposizione con l’esistente. Non siamo di fronte a movimenti dispiegati né di massa ma a una piccola sacca di resistente qualità, con i suoi limiti e con le sue potenzialità. Quello che potremmo definire una spinta autonoma nella società del consumo che tenta di smarcarsi da essa, una lucida determinazione nel volersi autodeterminare, una profondità di sguardo che abbiamo l’esigenza collettiva di massificare e praticare in tutti i momenti che saremo in grado di cogliere.

Chiudiamo questi appunti sparsi con un’osservazione rispetto ai giornalisti e alla controparte. La narrazione trita e ritrita della stampa locale che vede ogni occasione come uno spazio in cui parlare di Askatasuna come “regia” e come soggetto politico che userebbe i contesti di mobilitazione per i propri fini, è piuttosto banale dire che venga utilizzata per strizzare l’occhio a chi vorrebbe gestire il potere politico oltre che l’ordine pubblico in questa città. Come ha sottolineato una attivista di un comitato territoriale torinese afferente alla rete Resistenza Verde in apertura del corteo, nonostante i giornali parlassero di manifestazione “dei centri sociali” per creare allarmismi e spegnere la partecipazione, è evidente che questa insinuazione venga superata dalla realtà, fatta da normali cittadini che hanno deciso autonomamente di prendere parte a un percorso di mobilitazione che vuole andare oltre una singola data e schierarsi con una posizione ben precisa. L’ignoranza di questi presunti giornalisti nel comprendere e raccontare quanto accade nei contesti sociali e di attivazione che si danno non vede limiti né confini, la strumentalità è l’unica ragione della loro esistenza. C’è da dispiacersi di fronte a tanta miseria.

Per il racconto di queste giornate di lotta lasciamo parola al movimento no tav ripubblicando il contributo in merito alle ragioni della mobilitazione e alla cronaca delle giornate.

Lottiamo contro le vostre guerre, a difesa delle nostre terre! Voi sette, noi 99%.

Ritorno sulle giornate di mobilitazione contro il G7 Ambiente, Clima e Energia.

La Valle che resiste ha dato un segnale importante in queste giornate di mobilitazione in occasione del G7 Ambiente, Clima e Energia che sta tenendosi in queste ore a Venaria. Il futuro che viene tratteggiato dalle grandi potenze mondiali riunite in questo summit non corrisponde affatto alla nostra immaginazione, ai nostri bisogni e alle istanze che da decenni il movimento no tav mette al centro del dibattito pubblico a livello nazionale.

La grande opera inutile, utile solo alla mafia per fare in serenità i suoi affari insieme ai partiti del tondino e del cemento, rappresenta chiaramente il modello di sviluppo che fa dell’Italia un esempio di arretratezza, sperpero di denaro pubblico, dipendenza nei confronti dei Paesi europei che dettano in maniera più incisiva la direzione verso la quale andare. Il governo attuale altro non fa che alimentare la propaganda sulle grandi opere, dal tav al ponte sullo Stretto di Messina tanto agognato dal Ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini, che ahinoi ben conosciamo, indicandole come necessità condivisa. È sotto gli occhi di tutti che questa necessità sia esclusivamente quella dei governi e dei partiti che nel modello tav vedono la possibilità di fare affari e di tenere in vita un sistema che garantisca profitto a scapito dei territori.

Il G7 Ambiente e Energia rappresenta esattamente a queste caratteristiche: il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica straparla di nucleare come alternativa pulita al fossile, senza neanche preoccuparsi del fatto che la sua proposta sia irricevibile. In Italia, in particolare in Piemonte, ancora non è stato trovato il luogo idoneo per stoccare le scorie del Deposito Unico Nucleare e il signor Gilberto Pichetto Fratin dice di voler puntare sul nucleare di quarta generazione. In Italia i soldi del PNRR che dovrebbero essere utilizzati per mettere in sicurezza i territori, per la manutenzione ordinaria di tutto ciò che concerne la loro buona gestione, vengono utilizzati per le più ridicole opere dalla finta veste ecologica, imposti dall’alto senza alcun confronto con la popolazione locale, senza rispondere ad alcuna esigenza ma anzi, contribuendo a distruggere quelle poche zone in cui permane un ecosistema naturale da preservare e da tutelare. A dimostrarlo sono le decine e decine di comitati territoriali spontanei che nascono nelle nostre zone, dalle valli alle città che, da anni alcuni e di recente altri, si stanno attivando per prendersi cura dei territori in cui si abita. Intanto i terreni agricoli, di recente portati al centro della scena dalle proteste dei trattori, vengono destinati a enormi campi di agrifotovoltaico, nell’ottica di una finta transizione ecologica che fa delle energie rinnovabili l’unica soluzione tecnologica per mantenere lo stesso sistema di produzione, senza nessuna attenzione a garantire la biodiversità, la possibilità di coltivare la terra in maniera sostenibile sia economicamente che ecologicamente, ma concependola soltanto come risorsa da consumare.

È l’emblema di uno scontro tra un modello di sviluppo che vuole definirsi al passo con le esigenze del progresso ma che in realtà punta soltanto a conservare gli interessi di sempre, e un modello che nasce dal basso e che si alimenta di istanze reali con l’obiettivo di curare e difendere ciò che ancora è possibile tutelare dalla devastazione ambientale. Un paradosso a fronte della consapevolezza che il cambiamento climatico e il modello di produzione attuale siano due aspetti completamente legati e ai quali i famosi ministri e capi di Stato non pongono alcuna attenzione, anzi è chiaro che non abbiano alcuna intenzione di intervenire realmente di fronte a un disastro annunciato.

Questo G7 è anche all’insegna della guerra, come dimostra l’intenzione di continuare a finanziare l’industria bellica e a sostenere lo Stato di Israele rendendo il nostro Paese complice di un genocidio. Il movimento no tav ha da sempre avuto come prerogativa quella di stringere relazioni con tutti i popoli oppressi, con tutte le lotte che si riconoscono nell’obiettivo comune di una società più giusta e sostenibile ed è stata questa l’occasione per ribadirlo a gran voce.

Durante gli incontri di Venaria si discuterà molto di come rendere l’Italia un Paese neocoloniale per garantire il proprio approvvigionamento energetico, facendo del Piano Mattei una priorità per il governo italiano per trasformare il nostro territorio in hub del gas, come già dimostrano i progetti sparsi da Nord a Sud di rigassificatori come quello di Piombino, Vado Ligure, Ravenna dove hanno trovato una opposizione attiva da parte della cittadinanza. Per tutte queste ragioni le giornate di mobilitazione contro il G7 Ambiente, Clima e Energia hanno preso avvio proprio dalla Val Susa, luogo simbolo della devastazione ambientale e di una gestione criminale del territorio.

A partire dal 25 aprile le tappe di avvicinamento verso Venaria, dove si è tenuta la manifestazione popolare di ieri, sono state molte e hanno toccato i centri nevralgici della devastazione del tav. Riscendendo verso la pianura, si è partiti con una passeggiata resistente verso il nuovo fortino di Salbertand durante la quale sono stati ricordati i tanti Partigiani dell’alta Valsusa che nel corso della Resistenza hanno imbattuto per difendere la propria terra da chi con brutalità la stava occupando. La serata è proseguita, poi, con una cena a cura della neonata palestra popolare “Rabel” e uno spettacolo teatrale ambientato in una Parigi post bellica che ha tenuto con il fiato sospeso tutte e tutti i presenti parlando loro di coraggio, antifascismo e antirazzismo.

Il 26 aprile le iniziative sono proseguite con il tradizionale apericena ai cancelli della centrale di Chiomonte per poi raggiungere dai sentieri della Val Clarea il presidio dei Mulini sotto sequestro. L’operazione giudiziaria di qualche mese fa che aveva sequestrato i presidi dei Mulini e di San Didero, ha infatti significato la volontà da parte della Questura e della Procura di Torino di colpire gli spazi di incontro e di comunità che rendono viva la lotta contro il treno ad alta velocità. Colpire anche il legame affettivo, tra gli abitanti e la propria terra rappresenta un’infima volontà di ferire l’esperienza del movimento nelle sue caratteristiche più preziose. Con l’iniziativa di venerdì sera il movimento no tav ha voluto liberare, attraverso l’abbattimento dei jersey posti sul sentiero gallo-romano e la rottura della rete intorno ai Mulini, questi luoghi tanto cari a chi li ha resi vivi per intere estati di lotta.

Sabato, la giornata ha preso avvio con una passeggiata informativa alla piana di Susa dove alcuni abitanti hanno già ricevuto gli avvisi dell’esproprio della propria abitazione e dei terreni interessati dai progetti di Telt. Un’anticipazione di quelli che sarebbero i progetti di devastazione su quella porzione di valle per i prossimi 10 anni. È proseguita poi con una cena a San Didero che ha preceduto l’iniziativa di lotta al cantiere che, su più punti contemporaneamente, è stato colpito dalla determinazione no tav. Cori, battiture alle reti, fuochi d’artificio per sottolineare che le truppe d’occupazione non sono le benvenute, metri di concertina divelti, autostrada bloccata e, come riportano i giornali, anche una azione dimostrativa nei confronti della SITAF, società interessata dalle indagini per mafia delle ultime settimane, è stata portata a compimento.

Il percorso di avvicinamento ha raggiunto poi la manifestazione popolare prevista a Venaria di domenica 28 aprile. Qui, un corteo composto da varie anime che lottano contro la devastazione ambientale e per la giustizia climatica e sociale, ha preso avvio in una giornata piovosa che è poi stata ravvivata dalla sfilata di un migliaio di persone di ogni età. Dal movimento no tav ai comitati territoriali, dalle realtà giovanili come Fridays for Future, XR e Ultima Generazione, alle istanze antimilitariste, ai collettivi universitari e studenteschi attivi e solidali con la Palestina, tutti hanno trovato un posto nella manifestazione di ieri. Alla partenza il serpentone ha deviato il percorso per bloccare la tangenziale di Torino dove è stato appeso uno striscione al cavalcavia per ribadire ancora una volta il NO al G7 e alle decisioni prese sulla testa della popolazione da parte di pochi che non hanno alcuna legittimità, e un bandierone della Palestina per ricordare l’importanza della solidarietà al popolo che resiste nella Striscia di Gaza. L’inaspettato gesto ha permesso di bloccare il flusso del traffico e creare enormi code, a dimostrare che nonostante i ministri fossero rinchiusi alla palazzina di caccia di Stupinigi per farsi pagare la cena dal nostrano Pichetto Fratin, non avrebbero avuto modo di passare una serata tranquilla.

Il corteo ha ripreso poi il normale percorso per raggiungere la Reggia di Venaria, in una città completamente blindata con uno sproposito di forze dell’ordine e controlli di sicurezza, dove davanti ai jersey posti a difesa della Reggia dei 7, sono state posizionate le facce dei capi di Stato per essere bruciate in un grande falò al centro della piazza. La manifestazione si è conclusa con un rilancio per la giornata di oggi con un appuntamento alle ore 19 per un corteo che partirà dall’università di Palazzo Nuovo verso gli hotel dove alloggiano i Ministri e, inoltre, ci si è dati appuntamento al primo maggio per partecipare allo spezzone sociale in occasione del corteo dei lavoratori, per portare ancora una volta le istanze che irrorano le piazze e che rendono vive le città, le valli, le campagne e le montagne che resistono di fronte allo scempio che i governi vogliono imporre nei loro interessi ai nostri luoghi di vita e di lotta.

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