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Il nostro Tsunami, il vostro fango‏

Quella sperimentazione è arrivata ed è ovviamente il primo passo di un autunno che si preannuncia caldo di lotte e di mobilitazioni, con lo spettro di Expo 2015 nel medio orizzonte. Non che le lotte, quest’estate, si siano fermate: dalla Val di Susa a Niscemi, passando per la contestazione al Tap in Salento e quelle contro le basi Nato in Sardegna. 
La settimana di mobilitazione, però, non l’abbiamo aperta noi. Non in maniera diretta, quantomeno. Ci ha pensato la mala politica, il malaffare, quella gestione tutta cemento e burocrazia dei territori che ha inondato, con il suo fango, la città di Genova. Il fango ha ricoperto le strade della città ma ha anche ricoperto quei politici e quei burocrati che hanno le mani sporche di tangenti e sangue. Quelle braccia, come hanno chiaramente scritto i compagni genovesi, che toglievano i detriti e la melma dalle vie in quel momento ripulivano l’ex repubblica marinara e il paese da quel modello di abitare basato sul “lavora, consuma, crepa”, perchè l’alluvione non ha solamente scoperchiato il Bisagno ma un intero apparato di governance dei territori, che si è ben espresso nel’arroganza di quel poliziotto che voleva arrestare chi, giustamente, gli diceva di darsi da fare a spalare.

Per noi invece la settimana di mobilitazione si è aperta il 10 ottobre con il presidio a piazzale Clodio durante l’udienza del tribunale del riesame per Paolo e Luca e con il corteo per la libertà di movimento, in connessione con le manifestazioni studentesche contro la “buona scuola” di Renzi & Giannini. Qualche giorno dopo, abbiamo portato sotto Acea la rabbia di centinaia di persone contro i distacchi dell’acqua ordinati dall’art 5 del piano Renzi-Lupi, bloccando per ore piazzale Ostiense. 

Il 16 ottobre è stata poi una giornata cruciale: in tutta Italia abbiamo visto cosa possono creare le connessioni fra le lotte, quale potere compositivo e ricompositivo hanno. A Torino, con le cariche e la  resistenza davanti al CAAT e la tragica morte di un lavoratore del mercato (per la quale hanno gioito i vari Esposito d’Italia, pronti a spalare merda sui movimenti anche con atti di sciacallaggio), a Bologna dove l’intero Interporto è stato bloccato dai facchini e dai solidali, a Roma dove l’unione della lotta fra facchini ed occupanti di case ha prodotto un blocco della produzione e un corteo spontaneo che ha unito, ,simbolicamente, i luoghi di sfruttamento ma anche di lotta (i magazzini SDA) alla vicina occupazione di via di Sambuci, e in tante altre città d’italia.

Il 17 abbiamo assistito alle contestazioni al vertice torinese con le solite, imbarazzanti, dichiarazioni dal palco di Landini, ma anche alla nascita di nuove occupazioni abitative e sociali. 
Il 18, infine, è stata la giornata dei cortei dislocati nelle città contro sfratti, sgomberi e privatizzazioni, contro il rifiuto della gestione autoritaria dei territori, contro il razzismo e il fascismo, mentre Torino ha continuato a contestare il “vertice dell’ipocrisia”. 

In poche parole, la volontà di esercitare un contropotere reale unendo lotte concrete che non hanno nessuna paura degli uomini in divisa dietro scudi e manganelli posti a protezione degli interessi del governo e delle lobby che lo sostengono.

Non ci dilunghiamo però, troppo, sul racconto delle date. Hanno già scritto tanto, e bene, le varie realtà di movimento che le hanno animate e percorse. Ci interessa piuttosto dare una lettura globale della settimana. Il primo dato positivo che vogliamo provare a trasmettere è quello della forza. Troppo spesso ci piangiamo addosso, anche nel movimento, sulla nostra insufficienza e sulla nostra incapacità ma, seppur in modo parziale, abbiamo visto come in realtà sappiamo essere una spina nel fianco capace di creare conflitto e consenso, di essere l’unica opposizione sociale credibile e non concertativa al governo Renzi e alle politiche UE, di come le lotte per la riappropriazione di reddito e quelle contro lo sfruttamento nei posti di lavoro si intrecciano in maniera del tutto naturale. 

Abbiamo già rivoluzionato il nostro presente recuperando reddito occupando una casa, acquisendo salario e diritti con le nostre lotte sul posto di lavoro e l’abbiamo fatto con migliaia di persone. Sappiamo che la strada è lunga ma non impraticabile e che l’unica via è quella di sviluppare connessioni fra le lotte, di inchiestare i territori e capirne le contraddizioni e le difficoltà, ragionando insieme con quale approccio agitarle.
La seconda questione sta nella realtà delle lotte. Lo sciopero sociale del 16 ottobre non è calato da assemblee raffazzonate ma è nato dall’incontro in Valle tra realtà sociali che compongono il panorama delle lotte in Italia e l’esigenza reale di due sindacati di categoria, SI COBAS e ADL COBAS, che da diverso tempo hanno scelto la strada del sindacalismo conflittuale e la esercitano nelle fabbriche della logistica.

Una connessione nata non dalla necessità di incerementare i numeri ma attraverso un riconoscimento reciproco tra percorsi reali, anche se differenti. Così mentre gli studenti picchettavano le scuole, bloccavano il traffico e occupavano nuovi spazi nelle università, gli occupanti di case, i precari e i lavoratori scioperavano a loro volta, dando vita a numerosi picchetti in grado di paralizzare, in diverse parti del paese, le attività produttive di uno specifico settore e pezzi di città. 
Praticando nei fatti ciò che abbiamo evocato, numerose piccole vertenze che tante soggettività stanno portando avanti nel proprio territorio hanno trovato nuova linfa e spazio nel #16o. 

Sappiamo bene che tutto ciò non basta per rivoluzionare tout court questo paese, ma abbiamo anche gambe e braccia che non vogliono più aspettare il “momento giusto” e vogliono mettere in gioco tutta la loro forza sperimentandosi insieme, a piccoli o grandi passi che siano. 
Riteniamo sia importante, in terza fase, dare spazio all’ambito europeo. In un’Europa dilaniata dalla crisi, dalle politiche neo liberiste e dai diktat di BCE e Troika, è stato importante dare unconnotato transnazionale alla settimana di mobilitazione. In una crisi che tocca i “poveri d’Europa” arricchendo i pochi, la risposta dei movimenti sociali non può che essere di ampio respiro. 
E’ importante contrastare dal basso i venti anti europeisti di facciata che soffiano dalla destra (Lega Nord, Front National e affini), perchè l’Unione Europea (con le sue ramificazioni amministrative ed economiche) è la principale nemica dei “proletari”. 

Bisogna contrastare con forza la narrazione delle destre che parlano di un’Europa dai confini aperti, riportando il tutto alla realtà: quella di un’Europa che importa schiavi da sfruttare nel mercato del lavoro e poi li reprime con leggi liberticide. Un Europa che prima innesca guerre, in Medioriente come in Ucraina, e poi assiste ai massacri mentre respinge i profughi che da quelle stesse guerre fuggono. La stessa Europa che fomenta con i suoi diktat una pericolosa guerra fra poveri. La nostra base meticcia deve essere il punto dirimente, per questo è necessaria una mobilitazione contro Mare Nostrum e quel che verrà dopo e contro quella vergogna di Mas Maiorum, che ricorda molto le deportazioni naziste. 

La giornata conclusiva di questa settimana di mobilitazione ha portato un’ondata di energia importante all’interno del movimento. Le piazze meticce del 18 ottobre, con precari, operai, studenti che da Torino a 
Palermo, passando per Bologna, Firenze, Roma e Milano (più tante altre) hanno sfidato oggi i divieti, le provocazioni fasciste e quelle di professori e ministri dell’ipocrisia, lanciando ancora una volta segnali 
di rottura contro le politiche neoliberiste di Renzi, la speculazione, la rendita, gli sfratti sono l’esempio di quanto sia necessaria una pratica quotidiana delle lotte reali per la costruzione di un ampio movimento “di classe”. 

Le nuove abitazioni di cui ci siamo riappropriati, i nuovi spazi sociali, le nuove occupazioni studentesche ma anche quelle facce stanche dal lavoro usurante ma fiere della lotta che stanno portando avanti, quelle resistenze al fango di un sistema che attacca con i suoi cani da guardia e i suoi giornali ma che mostra la sua debolezza e la sua fragilità davanti ad alluvioni e contestazioni, sono le basi necessarie per costruire quelle connessioni reali fra le lotte, fra le soggettività e per rovesciare questo presente e conquistare un futuro migliore. 

D’altronde, con tutto quello che sta accadendo..se non ora quando?

Movimenti per il diritto all’abitare

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