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Contributo: Lo fanno davvero per il nostro bene?

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Riceviamo e pubblichiamo…

La questione pandemica è strettamente connessa al modello di sviluppo in cui viviamo. In generale il non voler rinunciare al capitalismo sfrenato, con continuo sfruttamento eccessivo di territori, animali ed esseri umani, ci porterà sempre di più verso unepoca di devastazioni ambientali e sociali incontenibili. Tenendo conto della necessità di un altro modelll sviluppo e dei limiti di questo, ancora più chiari con il covid ed il cambiamento climatico in atto, ci chiediamo se non sia meglio prevedere delle misure di portata socio-ecologica adeguate (meno combustibili fossili, stop alla deforestazione, reddito di base, salario minimo, sanità e istruzione pubbliche..) piuttosto che perpetrare un modello di consumo che, senza dare dignità agli esseri umani e alla Terra che ci ospita, vorrebbe affiancare allideologia della continua competizione economica anche quella della limitazione e del controllo della biopolitica, reprimendo di fatto le libertà dei cittadini sia sul fronte reddituale sia su quello formativo, progettuale e ricreativo.

Di Bernardo Bertenasco

In quest’ultimo anno e mezzo ho visto succedere cose gravissime che non avrei mai nemmeno immaginato: sospensione del diritto allo studio con scuole e università chiuse, privazione delle libertà individuali di riunione e movimento, istituzione del coprifuoco, sospensione del diritto al lavoro e al reddito. Ho notato inoltre un gravissimo appiattimento della capacità critica dei cittadini, scivolati verso un pensiero unico pre-logico, aggressivo ed escludente; volto più a reprimere la libertà di opinione, tanto cara a Spinoza, che a prodigarsi per la ricerca della verità socratica o aprirsi alla possibilità dell’errore, caratteristica di tutte le scienze (se svolte in un sistema democratico). Qui spicca anche il silenzio-assenso di tanti intellettuali – di sinistra in primis– che, pur avendo una conoscenza storica, filosofica e sociologica adeguata a comprendere il contesto in cui ci troviamo, affiancata inoltre da una certa familiarità con i concetti di biopolitica e biosicurezza, rinunciano, forse per paura, a prendere posizione.

Il dibattito pubblico si è enormemente impoverito, certo con il placet dei grandi media, ad una divisione farsesca tra no mask/si mask, no vax/si vax, liberi tutti/tutti chiusi che riduce la complessità del reale al tifo da stadio, impantanati nell’eclisse della ragione, ma violenti come non mai. E, con un presunto surplus morale sugli altri, i “giusti” si sono scagliati, e continuano a farlo, contro gli “irresponsabili”, gli untori, i “negazionisti” (il rispolvero di questo termine bellico va a braccetto con il coprifuoco, la retorica della guerra e la repressione di altri diritti costituzionali di base).

Ma allora chiedo: è responsabile lasciare un bambino in 30 metri quadri incollato davanti ad uno schermo, senza scuola, attività fisica e socializzazione con i propri pari?

È responsabile lasciare milioni di adulti senza lavoro, senza reddito, senza possibilità di fare progetti?

È sensato continuare a imporre la mascherina all’aperto quando è provato che il contagio avviene al chiuso?

È salutare privare i cittadini del diritto ad una passeggiata, ad una corsa o a una domenica al lago, senza curarsi minimamente della salute psico-fisica di chi deve subire tali restrizioni? (tra l’altro eludibili andando alle Canarie al posto che nel comune limitrofo).

Tutto ciò, a detta loro, avviene “per il bene comune”.

Non vi viene il dubbio che se volessero realmente il nostro bene darebbero a tutti una vera transizione ecologica (i morti solo per inquinamento atmosferico sono 9 milioni all’anno, senza contare tutte le altre malattie legate all’inquinamento come i tumori), un reddito di base (i morti per fame e povertà sono decine di milioni all’anno), un vero diritto all’istruzione (i danni della DAD sono incalcolabili su molteplici fronti) e un diritto del lavoro (i morti sul lavoro censiti superano largamente il milione all’anno, ma sono chiaramente molti di più -senza contare i danni psicofisici derivanti dalla precarietà-)?

Il dubbio rimane: lo fanno davvero per il nostro bene?

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