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Yemen: accuse e “colpevoli” nei giochi geopolitici

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Pubblichiamo questo articolo che propone un buon quadro delle tensioni geopolitiche avvenute negli ultimi giorni in Medio Oriente. Il conflitto tra la coalizione composta da Arabia Saudita – Israele – USA, schierata contro l’Iran ed i suoi alleati, ha attualmente raggiunto un apice con il recente attacco alla Saudi Aramco. La produzione petrolifera saudita è stata messa in ginocchio nel giro di un giorno. I due alleati dell’impero a stelle e strisce vivono oggi una fase di discreta instabilità politica interna. Diretta conseguenza di ciò è il tentativo, da parte della fazione imperialista, di trascinare sul campo il conflitto per adesso fatto di sanzioni e provocazioni ai danni potenza sciita, che a sua volta trova al suo interno un’ala più dura e una più “dialogante”. Gli U.S.A. per il momento temporeggiano: Trump è evidentemente spaventato dalla prospettiva d’apertura di un nuovo conflitto, i cui esiti sono tutt’altro che scontati. La strategia americana del “caos controllato” mostra oggi tutta la sua fallacia. Similmente il tentativo di contenimento operato nei confronti della Russia in Medio Oriente, dopo la tenuta di Assad in Siria, sembra non aver funzionato. L’amministrazione statunitense dovrà fornire risposte celeri ai suoi alleati strategici nell’area, pena la perdita totale d’influenza. Le opzioni sono sostanziate in un possibile nuovo accordo sul nucleare, in cui l’Iran potrebbe chiedere condizioni favorevoli alla sua causa, per via della posizione strategica del paese sullo stretto di Hormuz, oppure un conflitto aperto, a cui gli Stati Uniti ed i suoi alleati non sono pronti. Con le elezioni israeliane che non hanno consegnato un vincitore certo e quelle statunitensi a breve distanza è difficile prevedere la risoluzione della questione, ma la certezza è che i grattacapi per gli USA sono appena cominciati e una brezza di guerra si muove ben oltre il conflitto regionale dello Yemen.

Di Andrea Caiulo

Martedì 17 settembre missili da crociera e droni-bomba hanno colpito le strutture della compagnia petrolifera Aramco, in Arabia Saudita. L’azione è inserita all’interno del contesto della guerra civile yemenita, scoppiata nel 2015, e vede coinvolti attori regionali ed internazionali. Sul piano strettamente locale, la fazione Houthi (guerriglieri sciiti) ha il possesso della capitale, Sana’a, ed è affiancata alle forze fedeli all’ex presidente Alì Abdullah Saleh. In opposizione vi è il governo del presidente Hadi, che occupa la zona di Aden e tutta la parte est del paese. Il conflitto si è articolato in fasi alterne a partire dal 2004, sino ad arrivare nel 2015 ad una forte acutizzazione, quando gli Houthi, insoddisfatti per la ripartizione territoriale yemenita e per la deriva autocratica assunta dalla presidenza Hadi, hanno conquistato gli edifici presidenziali nella capitale ed hanno forzato le dimissioni dell’intero governo. Nel marzo dello stesso anno l’Arabia Saudita è intervenuta nel conflitto ed ha sostenuto i fedeli del presidente Hadi, temendo l’avanzata delle forze Houthi e pro-Saleh su Aden. Lo Yemen si è quindi configurato negli ultimi quattro anni come terreno di scontro fra Arabia Saudita ed Iran.

Il conflitto non è ancora giunto ad una effettiva risoluzione. I bombardamenti sauditi continuano. Dopo quattro tregue a cui sono seguite nuove acute fasi di scontro, nel giungo 2019, si è assistito ad un nuovo ipotetico zenit d’attrito.

La repubblica islamica iraniana è attualmente coinvolta nel sostegno del gruppo armato sciita degli Houthi. L’apporto iraniano alla causa degli Houthi è cresciuto negli ultimi due anni. Ufficiali iraniani appartenenti al Sepāh-e Qods (un’unità speciale del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica) hanno espresso l’idea di aumentare il processo di potenziamento dell’apparato bellico Houthi, inviando via nave armi e risorse alla fazione sciita, impegnata da anni nella lotta per il riconoscimento delle proprie istanze politiche. L’Arabia Saudita ha continuato a sostenere le forze del presidente Hadi tramite interventi militari e raid aerei nell’ovest del paese, al fine di limitare quella che Riyad ha definito come “l’esportazione dello sciismo” al di fuori dei confini iraniani.

Gli attacchi coordinati alle strutture saudite della Aramco hanno messo temporaneamente in ginocchio la metà della produzione petrolifera del paese, più di cinque milioni di barili in fiamme. All’indomani dall’attacco le previsioni sul prezzo del petrolio hanno registrato valori record: 62,90 dollari al barile, un tale aumento dei prezzi di mercato non veniva registrato sin dal 2009. Trump ha replicato ignorando le rivendicazioni effettuate dagli Houthi, ha accusato Teheran di aver fornito le armi al gruppo sciita operante in Yemen ed ha minacciato pesanti ritorsioni nei confronti della repubblica islamica. Il senatore Lindsey Graham ha affermato, in linea con la posizione espressa dal presidente Trump, che “gli Stati Uniti dovrebbero considerare l’opzione di un possibile attacco alle raffinerie di petrolio iraniano”, nonostante l’incertezza mostrata dal governo statunitense nel definire il responsabile dell’azione.

Al fine di approfondire le indagini sugli attacchi, il governo saudita ha permesso ad esperti internazionali di analizzare il sito dell’attacco. Dalle indagini condotte e dai comunicati stampa emessi da Riyad si evince che l’attacco è stato condotto con missili e droni che hanno sorvolato l’Iraq del sud e lo spazio aereo del Kuwait prima di arrivare sul bersaglio. Il governo saudita ha fatto sapere che, nonostante l’entità delle perdite petrolifere, nelle prossime settimane intensificherà la produzione di petrolio allo scopo di non compromettere il mercato internazionale.

Dall’Europa, la posizione del governo tedesco è favorevole alla distensione. La Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha affermato di preferire un processo diplomatico, che si dice pronta a portare avanti nel tentativo di preservare lo status quo.

Javad Zarif, ministro degli esteri iraniano, ha condannato il coinvolgimento statunitense nel sostegno alla coalizione guidata da Riyad, e tramite un tweet ha affermato: “Agli Stati Uniti non importa quando i suoi alleati bombardano senza alcun riguardo i bambini in Yemen per oltre quattro anni, con le sue armi e la sua assistenza militare. Ma il governo Trump interviene improvvisamente quando vengono colpiti gli impianti petroliferi sauditi”.

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