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No Coop si dignità! Sulla lotta dei lavoratori Coopservice

Questa è gente che io voglio come compagni
Con una forza dentro contro ogni potere
Qualcosa che nemmeno immaginavo di avere
 (Assaltri Frontali – Mappe della libertà)

Ad una settimana dallo scoppio dei primi picchetti su via Zamboni, picchetti condotti con determinazione da lavoratori dell’università di Bologna appaltati alla cooperativa Coopservice e da studenti solidali, torniamo con un testo più complessivo che affronti i temi più importanti sollevati da questa breve ma intensa settimana di mobilitazione.

Una mobilitazione conclusasi con una vittoria. Questo è il primo dato da sottolineare, per evitare approcci lamentosi da perenne insoddisfazione e per rendere giustizia a quelle che sono stati i risultati ottenuti seguendo un preciso metodo di condurre vertenza, diverso da altre volte in cui lo sfruttamento interno all’università-azienda era rimasto circoscritto a pratiche di lotta immediatamente incapaci di porre il rifiuto incondizionato come presupposto per fermare l’agitazione. Ciò perchè le pratiche messe in campo hanno immediatamente rotto lo scenario della mediazione per impostare invece una rottura politica immediata e incondizionata, fino all’ottenimento del risultato.

Infatti i lavoratori di palazzo Paleotti, che da novembre erano sottoposti all’infame contratto da 2,80 euro l’ora netti, hanno ottenuto un aumento complessivo di 274 euro lordi, sebbene non essendo tornati al livello salariale precedente al passaggio d’appalto. Mentre i lavoratori delle altre sedi in oggetto, che temevano di subire lo stesso destino di abbassamento di regime contrattuale e quindi salariale, hanno ottenuto la continuità retributiva, contrattuale ed occupazione rispetto ad ora.

Certo, non si può parlare di vittoria completa: rimangono temi da affrontare e combattere che sono temi specifici e fondanti dello sfruttamento nell’università e in generale nel mondo del precariato dei servizi: adeguamento dei livelli retributivi e contrattuali in base alle mansioni effettivamente svolte, ad esempio. Eppure ci sembra che per essere stata solo una settimana di mobilitazione, questi parziali risultati sono assolutamente significativi.

 

Due sono i dati che ci interessa principalmente sottolineare in questa vicenda.

Primo, la diffusione della battaglia alla Granarolo, a livello di immaginario, è riuscita a materializzarsi in una nuova lotta. Esiste quindi quell’effetto contagio che tanto auspicavamo sin da quando questi stessi studenti partecipavano e costruivano i picchetti. Questo è successo tramite l’intreccio tra i gruppi che hanno partecipato, e ancora partecipano, a quella lotta e i soggetti di questa nuova vertenza. La determinazione dei facchini, e la loro de facto vittoria nel riuscire a mettere la Granarolo e le altre controparti ad un tavolo sulla spinta di blocchi e scontro irriducibili alla mediazione, sembra aver fatto da sfondo a questa battaglia. Vincere si può, inanzitutto: ma anche la lotta paga, e solo tramite quella si può sperare di rompere il muro dello sfruttamento coatto. Certo, in questo anche il fatto di essere a ridosso delle elezioni, la necessità di Poletti di evitare di rovinarsi subito l’immagine appena arrivato all’interno del ministero del Lavoro, lo scontro interno, da considerare, anche all’interno di Legacoop tra le varie cooperative (la classica concorrenza intra-capitalistica) hanno aiutato nell’ottenere subito un risultato. Sempre riguardo a Granarolo, ci preme anche sottolineare il razzismo implicito nella narrazione della vertenza Coopservice rispetto a quella dei facchini, con i giornali che hanno applaudito alla lotta dei lavoratori, le cui condizioni di lavoro sicuramente non erano migliori di quelle dei facchini della logistica, che hanno però probabilmente il demerito di essere di colore e non elettori. Questo senza togliere niente ovviamente alla dignità e alla determinazione di una battaglia come quella appena conclusasi.

Secondo, lo scoperchiamento ormai ufficiale dell’università come vera e propria azienda, e del modello delle coop come pervasivo di una grande parte ormai del mondo del lavoro. Parlare dell’ateneo di Bologna come di una università gestita in termini di azienda ormai è quasi scontato: lo vediamo nel passaggio sempre maggiore dello studente a cliente (aumento delle tasse richieste per accedere a servizi, taglio sempre maggiore del welfare studentesco) ma soprattutto nei livelli di precarietà e sfruttamento che avvengono al suo interno. Oltre a questa vicenda dei subappalti, non dimentichiamoci il terreno degli stage e dei tirocini (costruiti come opportunità di inserimento lavorativo e invee consistenti in vero e proprio lavoro nero e non pagato), né la questione di come i saperi offerti dall’università sempre più si inseriscano all’interno di dinamiche di valorizzazione capitalistica (corsi finanziati da aziende esterne per creare profili professionali ad hoc, aumento esponenziale dei corsi a numero chiuso).

Altro nodo centrale è quello delle relazioni costruite dentro la battaglia. La cosa particolare è l’aver ridefinito come nuovi compagni di lotta quel personale tecnico-amministrativo che da sempre si invocava all’interno della costruzione di una battaglia comprensiva sull’università ma che poi rimaneva qualcosa di astratto. Questi lavoratori sono persone che da anni sono all’interno dell’ateneo: spesso vengono percepiti come invisibili, come quelli che ci aprono le aule e sistemano le attrezzature, quasi sempre mentre fanno queste cose vanno oltre le mansioni per le quali sono pagate. Ora li abbiamo avuti, per questo breve periodo, come compagni di lotta. Occorre sottolineare che questo è uno scenario che ci si riproporrà molte volte in futuro, ovvero l’emergere di vertenze da portare avanti insieme a persone che difficilmente diventeranno militanti a tempo pieno, rimanendo nella dimensione di attivismo finalizzato alla singola vertenza.

E’ evidente che proprio questa dimensione però assicura la rottura di quel dispositivo criminalizzante che si attua nelle proteste unicamente portate avanti dai soliti “studenti politicizzati” dipinti dai giornali. Sarà nostro compito condurre queste campagne in maniera vittoriosa e allargar ancora di più la nostra legittimità nel porci come parte della soluzione ai problemi dello sfruttamento.

 

E’ chiaro che la questione del sindacato assume la sua centralità; ancora una volta, questo ha senso nello svolgere il suo ruolo solamente nel momento in cui si attiene a quelle che sono le richieste e le volontà del soggetto sociale che vuole rappresentare. Il contratto vergognoso firmato dalla CGIL, e anche la ridicola integrazione del 21 marzo al primo contratto firmato, sono stati immediatamente riconosciuti come atti ostili da parte di chi portava avanti la lotta (cosa che si è vista anche nella volontà di attaccare la Camusso sabato 5 aprile). Non per niente è stato il sindacato Cub, sindacato di base, ad attivarsi sulla vicenda: dovendo però anche questo partire dalla necessità di ottenere legittimità da lavoratori che di altre delusioni non ne volevano sapere.

Non sono infatti mancati momenti in cui si è arrivati ad avere delle difficoltà. La durezza del ricatto per come questo si materializza sui lavoratori (taglio delle ore, ritorsioni, stop agli straordinari), nonché la consapevolezza di altri momenti di lotta finiti nel nulla, sono stati superabili solo con un duro lavoro di costruzione comune delle varie tappe della lotta.

 

In definitiva, e ripartendo dalla prospettiva di cui sopra, ovvero dell’ottenimento di una prima, parziale, vittoria emerge una considerazione. E’ innegabile che all’università faccia paura quello che si è sviluppato: ovvero il legarsi di studenti in lotta (quelli che occupano studentati, aprono percorsi per contrapporsi ai tagli al welfare universitario etc etc..) a soggetti sociali colpiti dalla crisi e dall’infamia del modello Poletti. Non è un caso che il primo giorno di picchetti, una volta entrati in Rettorato a chiedere una risposta concreta all’Ateneo sulla vicenda, il Rettore abbia posto gli aut-aut alla presenza di studenti e stampa nell’incontrare i lavoratori. Ciò al fine di scongiurare una ricomposizione sociale nella lotta che è la nemesi di una tranquilla gestione di un’università in grado di essere un peso massimo dei poteri cittadini e sopratutto, un’enorme macchina da soldi. Questa è la sfida che ci attende: essere in continuo movimento, inchiestando le contraddizioni del sistema della formazione, e a seconda dell’esplosione di contraddizione del momento applicare la forza dove necessario.

 

Da qui ripartiamo, in direzione Roma, in direzione 12 aprile, da studenti in lotta, da oppositori integerrimi del governo Renzi e del modello Poletti, da nemici fieri del sistema delle cooperative. Fino alla vittoria!

 

C.ollettivo U.niversitario A.utonomo Bologna

 

per info su tutte le tappe della lotta, visita UnivAut.org

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